mercoledì 8 giugno 2016

Movimenti: il nuovo documento del dicastero



A colloquio con il cardinale Müller. I movimenti rendono giovane la Chiesa. Nuovo documento del dicastero 


S’intitola Iuvenescit Ecclesia, «Ringiovanisce la Chiesa», la lettera della Congregazione per la Dottrina della fede ai vescovi cattolici, sulla relazione fra gerarchia e nuove aggregazioni e movimenti ecclesiali, approvata dal Papa lo scorso marzo. Lo anticipa al nostro giornale il cardinale prefetto Gerhard Ludwig Müller, in attesa della presentazione del documento nella Sala stampa della Santa Sede martedì prossimo, 14 giugno.Già dal titolo — spiega il porporato — appare chiaro «che la gerarchia e queste nuove realtà hanno lo scopo di far ringiovanire la Chiesa, cioè sono doni per rinnovare la vita di fede del Popolo di Dio». E ciò smentisce chi sostiene che Francesco non ami particolarmente i movimenti. Del resto, commenta il prefetto, «un Papa non può non amare ciò che lo Spirito suscita a vantaggio di tanti uomini, il cui cuore attende Dio spesso senza saperlo, e in favore di tutto il popolo di Dio, che è il primo destinatario di questi doni. Certo, questi doni sono stati spesso una novità dirompente e anche bisognosa di purificazione. Magari sono stati un po’ come figli venuti al mondo senza essere stati programmati. Ma chi è davvero padre e madre, ama i figli una volta che sono arrivati e provvede a loro come e più degli altri».
E ciò rende possibile anche conciliare le attività dei movimenti, spesso fortemente identitari, con quelle di un pontificato che ha fatto dell’abbandono dell’autoreferenzialità uno dei suoi capisaldi. In proposito il cardinale Müller si domanda se è possibile «spostare fuori di sé il proprio baricentro e amare, se non si ha una identità forte e ben delineata». E la risposta non può che essere affermativa con l’avvertenza che ciò «deve avvenire non con supponenza», ma «con rispetto degli interlocutori». Mentre, al contrario, «una certa incapacità al dialogo sincero nasce proprio da una debolezza identitaria e culturale». Dunque secondo il porporato «aver chiara la propria identità dona il gusto del dialogo autentico. Anche perché il dialogo vero comincia sempre con uno scambio di doni fra due identità. Altrimenti è solo una serie di monologhi, condita magari da tanta cortesia». Invece, prosegue nel ragionamento, «autoreferenzialità è l’incapacità di uscire da sé stessi e di scoprire che la propria riuscita si avvantaggia dall’incontrare altro rispetto a noi. Ma è necessario uscire da noi stessi, perché la realtà è più grande del nostro pensiero, come dice spesso Francesco». Con un monito, però, a fare «attenzione, perché il contrario dell’autoreferenzialità non è il servilismo di chi esegue e basta».
Eppure alcune realtà nella Chiesa sembrano in affanno a rincorrere il magistero «in uscita» di Francesco. E su questo il prefetto dell’ex Sant’Uffizio ha un’idea precisa: «è difficile — dice — tenere il passo della profezia. D’altronde non è la velocità del passo che conta. Ciò che è importante è che tutto il popolo di Dio e tutte le realtà della Chiesa, poco alla volta, ciascuno con il suo passo e i suoi doni, perfino con le sue debolezze, si instradino nella direzione giusta. E questo non avviene in modo efficace se non con una certa laboriosità e fatica, se non con un’obbedienza dialogica, e tante volte anche in modo dialettico». Anche perché, «la stessa profezia, solo nel tempo matura la sua verità e si rivela nella sua portata». E proprio «per questo, non è facile comprenderla subito» anzi «spesso implica un aspetto di “croce”, sia per chi la porta che per chi la riceve». Infatti «“uscire” davvero da sé stessi, implica sempre lo sforzo di uscire dai propri piani e ambiti rassicuranti».
Ciononostante tra le critiche ricorrenti a Bergoglio c’è proprio quella di avere con le nuove realtà un rapporto ben diverso da quello avuto dai suoi predecessori. Ma anche su questo punto il porporato tedesco prende le distanze. «Ogni Papa — afferma — ha i suoi doni e le sue preferenze. Credo che Francesco sia profondamente unito a Giovanni Paolo II e a Benedetto XVI nel desiderio di valorizzare tutte le novità che lo Spirito suscita nella Chiesa. L’occhio del Papa è l’occhio vigile e affettuoso di un padre che non solo sorregge ma anche, quando occorre, corregge. E lo fa per il bene dei suoi figli e a loro vantaggio, anzitutto».
Viene allora da chiedere cosa dovrebbero fare i movimenti per non cadere nella tentazione di ingabbiare lo Spirito dentro schemi autoreferenziali. Per Müller i migliori maestri sono i santi, che «nella storia della Chiesa hanno saputo coniugare, in modo sempre fecondo, continuità e novità. Fedeltà alla tradizione e apertura a ciò che Dio chiedeva di nuovo. E lo hanno fatto mettendosi a servizio della Chiesa e del bene autentico di tanti fratelli e sorelle del loro tempo. Amandoli e accompagnandoli davvero, coltivando nel cuore un amore sempre più grande per il destino buono dei loro compagni di strada. E anche riconoscendo sinceramente i propri sbagli e lasciandosi correggere dalla verità e dal bene». In ogni caso, conclude il prefetto, «mettersi al servizio di un disegno e di bisogni più grandi dei propri» rappresenta «il modo migliore per uscire dalla tentazione dell’autoreferenzialità. E ciò vale tanto per chi nella Chiesa è chiamato a servire nella gerarchia, quanto per i semplici fedeli, nessuno escluso».

L'Osservatore Romano