sabato 11 giugno 2016

Piano per eliminare il cristianesimo dal Medio Oriente. E non solo...



El cardenal Ricardo Blázquez: «Estamos en una encrucijada de nuestra historia» 
 ABC Sociedad 
El presidente de la CEE, Ricardo Blázquez, reconoce en «Herrera en COPE» que «estamos en momento crucial» en el terreno político y espera de la sociedad española «un gran sentido de la responsabilidad». El cardenal recuerda a los futuros gobernantes que nuestra Constitución contempla la libertad religiosa y «no debemos salirnos de esa órbita de convivencia», porque, insiste, «estamos en una encrucijada de nuestra historia». (...)

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Il card. Tauran: "Piano per eliminare il cristianesimo dal Medio Oriente"
Il Foglio
Sono parole pesanti quelle che ha pronunciato ieri il cardinale Jean-Louis Tauran, presidente del Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso, in merito all' appello lanciato su questo giornale dall' associazione Aiuto alla chiesa che soffre affinché anche il Parlamento italiano (dopo quello europeo, il Congresso americano e il Dipartimento di stato di Washington) definisca "genocidio" quanto sta capitando alle popolazioni cristiane del vicino e medio oriente. "Sì, sono sostanzialmente d' accordo", ha detto il porporato francese, sottolineando che in Siria e Iraq "i cristiani vengono uccisi, minacciati, ridotti al silenzio o cacciati via, con le chiese che vengono distrutte o rischiano di trasformarsi in musei". Frasi come queste assumono un rilievo notevole se a farle proprie è un esponente di altissimo rango della gerarchia vaticana, qual è appunto Tauran. Diplomatico di carriera, è stato segretario per i Rapporti con gli stati (cioè il numero tre della Segreteria di stato) dal 1990 al 2003 e - dopo la parentesi da archivista e bibliotecario vaticano - è stato scelto da Benedetto XVI per presiedere il dicastero che si occupa delle relazioni con le altre religioni. Tauran, poi, ha organizzato il recente e storico incontro tra il Grande imam di al Azhar e il Papa. Fino a oggi, molti osservatori si domandavano quale fosse la reale posizione della Santa Sede circa la richiesta - comune alla gran de maggioranza dei vescovi siro-iracheni - di riconoscere che in corso è un genocidio e non una semplice mattanza. La prudenza, dettata dal pericolo di non aggravare la condizione delle popolazioni già costrette all' esodo dalla piana di Ninive e martoriate dagli attentati nelle città e nei villaggi siriani, finora aveva suggerito di non usare la parola "genocidio". La situazione reale sul campo, però, non consente più di tergiversare. Le migliaia di uomini e donne e bambini spariti nel nulla a Mosul, le fosse comuni che spuntano un po' ovunque, le "N" di nazareno impresse sulle case occupate dai miliziani, sono un fatto incontrovertibile, che rende sterile il dibattito su quanti sono i cristiani macellati e quanti invece gli sciiti o gli yazidi. Già la scorsa Pasqua, in occasione della benedizione Urbi et Orbi, il Papa aveva ricordato "i nostri fratelli e sorelle perseguitati per la fede e per la loro fedeltà al nome di Cristo". Ora è il cardinale responsabile del dialogo interreligioso a dirlo: "Il cristianesimo rischia di non essere più presente, proprio nella terra in cui è nata la fede di Cristo. Nel 1910, il venti per cento della popolazione mediorientale era cristiana. Ora è meno del quattro per cento. Evidentemente - ha chiosato Tauran - c' è un piano d' azione per cancellare il cristianesimo dal medio oriente e questo può chiamarsi (o quantomeno richiamare) il genocidio".

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I vescovi francesi su una riforma scolastica che fa discutere. Libertà da difendere
L'Osservatore Romano 
Un attacco al principio stesso della libertà di insegnamento contenuto nella Costituzione: così la Conferenza episcopale francese definisce la riforma delle modalità di apertura delle scuole private fuori contratto, presentata ieri dal ministro dell’Educazione nazionale, Najat Vallaud-Belkacem, durante una conferenza stampa nella quale ha illustrato nuove misure per garantire il diritto all’istruzione per tutti i bambini, nel rispetto dei valori della Repubblica e della libertà di insegnamento. 
In un comunicato — firmato dal cardinale arcivescovo di Bordeaux, Jean-Pierre Ricard, presidente del Consiglio episcopale per l’insegnamento cattolico — i presuli francesi parlano di «libertà di insegnamento in pericolo» in quanto la riforma avrebbe l’obiettivo di sostituire il regime attuale di apertura, che prevede la presentazione e l’accettazione di una dichiarazione preventiva, con una più apparentemente restrittiva «autorizzazione amministrativa». 
Da molti decenni, scrive Ricard, la Chiesa ha mostrato quanta attenzione abbia nei confronti della libertà di insegnamento. Ora, «tale nuovo dispositivo di autorizzazione preventiva sarebbe, malgrado le assicurazioni date, un attacco al principio stesso di questa libertà costituzionale ponendo delle condizioni all’apertura degli istituti scolastici». L’episcopato esprime «inquietudine e forti riserve» per una riforma le cui motivazioni — prima fra tutte la lotta ai focolai di radicalizzazione islamica nelle scuole — vanno tuttavia «giustamente esaminate». Questa lotta «è necessaria ma non a qualunque prezzo e sicuramente non a quello della libertà di insegnamento», osserva il porporato, per il quale il sistema attuale di dichiarazione, «pienamente applicato e al bisogno rafforzato, risponde già alle legittime esigenze di controllo da parte dello Stato». Non vi sarebbe dunque alcuna necessità di riformare «con premura e strumenti inappropriati» questioni così importanti. 
«Il nostro Paese — conclude il presidente del Consiglio episcopale per l’insegnamento cattolico — ha bisogno di pacificazione quando deve resistere alla violenza che l’affligge, ha bisogno di confermare la sua scelta di libertà quando il modello democratico è in discussione. Credo alla saggezza del buon senso. Mi appello alla responsabilità del Governo e del ministro dell’Educazione nazionale». In Francia gli istituti di insegnamento privato sono sottoposti al controllo dello Stato siano essi legati o no da un contratto. Alla preventiva dichiarazione di apertura (da consegnare al sindaco, al procuratore della Repubblica, al prefetto o al rettore degli studi) si può fare opposizione nell’interesse dei buoni costumi oppure per motivi di igiene o di ordine pubblico. 
Dopo cinque anni di esercizio, un istituto privato fuori contratto può chiedere di legarsi allo Stato con un contratto, d’associazione o semplice, che obbliga la scuola ad accogliere alunni senza distinzione di origine, opinione o credo. Come contropartita, lo Stato remunera gli insegnanti, e le collettività pubbliche finanziano il funzionamento dell’istituto nella stessa proporzione delle scuole statali. Attualmente, degli oltre otto milioni di ragazzi che frequentano la scuola dell’obbligo, l’82,7 per cento studia negli istituti pubblici, il 16,5 in quelli privati sotto contratto (quasi tutti cattolici), lo 0,5 in quelli privati fuori contratto (un quarto di essi sono cattolici) e lo 0,3 a domicilio. Va precisato che le scuole private sotto contratto con lo Stato devono rispettare gli stessi programmi di insegnamento seguiti nelle scuole pubbliche, a differenza di quelle fuori contratto, decisamente più indipendenti e libere. Come detto, il principale obiettivo della riforma guidata dal ministro Vallaud-Belkacem è di intensificare la prevenzione dei fenomeni settari e della radicalizzazione attraverso uno specifico gruppo di ispettori che affiancherebbe quelli già predisposti dalle autorità accademiche. 
Il nuovo sistema di apertura degli istituti privati fuori contratto — si legge nel sito in rete del ministero — «è un regime di autorizzazione che consentirà di passare da un controllo a posteriori a un controllo a priori, impedendo quei progetti contrari al diritto all’istruzione e non rispettosi dei valori della Repubblica. Garantirà dunque agli studenti il diritto di ricevere un’istruzione di qualità». Con le nuove regole, per aprire un istituto occorrerà presentare la domanda con almeno quattro mesi di anticipo, il tempo necessario al ministero per fare le opportune verifiche su programmi, corpo docente, amministrazione e gestione. Verifiche che riguarderanno naturalmente anche l’istruzione a domicilio, da autorizzare solo in caso di esigenza di cure mediche, situazione di handicap, attività sportive o artistiche, genitori itineranti o grande lontananza geografica dal più vicino istituto scolastico. Gli ispettori dovranno assicurarsi che l’alunno non venga sottoposto a una «influenza ideologica o politica contraria ai valori repubblicani». 
L’inquietudine dell’episcopato è stata espressa nei giorni scorsi anche dal suo portavoce, monsignor Olivier Ribadeau-Dumas, secondo cui la riforma «rimette in causa un equilibrio costruito nell’arco di decenni», mentre l’Associazione dei genitori degli allievi dell’insegnamento libero parla (come il cardinale Ricard) di «attacco alla libertà di insegnamento» e, di conseguenza, «alla libertà di scelta dei genitori». Dal canto suo il segretario generale di Enseignement catholique, Pascal Balmand, in uno scambio di lettere con il presidente della Repubblica, François Hollande, ha sottolineato come le «restrizioni» a questa libertà, restrizioni con «interesse operativo» incerto, appaiano ai suoi occhi sproporzionate in rapporto all’obiettivo da perseguire.
L'Osservatore Romano