sabato 25 giugno 2016

Santa Messa nella Piazza Vartanants di Gyumri. Omelia del Santo Padre.



Santa Messa nella Piazza Vartanants di Gyumri. Omelia del Santo Padre. "Nelle vostre voci risuonano quelle dei sapienti santi del passato; nelle vostre parole c’è l’eco di chi ha creato il vostro alfabeto allo scopo di annunciare la Parola di Dio; nei vostri canti si fondono i gemiti e le gioie della vostra storia. Pensando a tutto questo potete riconoscere certamente la presenza di Dio: Egli non vi ha lasciati soli.
Sala stampa della Santa Sede

Verso le 10.30 di questa mattina, il Santo Padre Francesco è giuntoall’aeroporto Internazionale “Shirak” di Gyumri, accolto dal Sindaco della città, dall’Arcivescovo Ordinario per gli Armeni Cattolici dell’Europa Orientale e dal Vescovo Armeno-Apostolico del luogo. A salutare l’arrivo del Papa anche un gruppo di bambini orfani, con un coro. Il Papa si è poi trasferito in piazza Vartanants dove, alle ore 11, ha celebrato la Santa Messa votiva della Misericordia di Dio, secondo il rito latino. Era presente il Catholicos Karekin II, che in apertura di celebrazione ha rivolto un saluto al Santo Padre. Al termine della Santa Messa sarà S.E. Mons. Raphael François Minassian, Arcivescovo titolare di Cesarea di Cappadocia degli Armeni e Ordinario per gli Armeni Cattolici dell’Europa Orientale, con sede a Gyumri, a rivolgere al Papa un indirizzo di saluto. Di seguito riportiamo il testo dell’omelia che Papa Francesco ha pronunciato dopo la proclamazione del Santo Vangelo:
Omelia del Santo Padre 

«Riedificheranno le rovine antiche, restaureranno le città desolate» (Is 61,4). In questi luoghi, cari fratelli e sorelle, possiamo dire che si sono realizzate le parole del profeta Isaia che abbiamo ascoltato. Dopo le terribili devastazioni del terremoto, ci troviamo oggi qui a rendere grazie a Dio per tutto quanto è stato ricostruito.
Potremmo però anche domandarci: che cosa il Signore ci invita a costruire oggi nella vita, e soprattutto: su che cosa ci chiama a costruire la nostra vita? Vorrei proporvi, nel cercare di rispondere a questa domanda, tre basi stabili cu cui possiamo edificare e riedificare la vita cristiana, senza stancarci.
Il primo fondamento è la memoria. Una grazia da chiedere è quella di saper recuperare la memoria, la memoria di quello che il Signore ha compiuto in noi e per noi: richiamare alla mente che, come dice il Vangelo odierno, Egli non ci ha dimenticato, ma «si è ricordato» (Lc 1,72) di noi: ci ha scelti, amati, chiamati e perdonati; ci sono stati grandi avvenimenti nella nostra personale storia di amore con Lui, che vanno ravvivati con la mente e con il cuore. Ma c’è anche un’altra memoria da custodire: la memoria del popolo. I popoli hanno infatti una memoria, come le persone. E la memoria del vostro popolo è molto antica e preziosa. Nelle vostre voci risuonano quelle dei sapienti santi del passato; nelle vostre parole c’è l’eco di chi ha creato il vostro alfabeto allo scopo di annunciare la Parola di Dio; nei vostri canti si fondono i gemiti e le gioie della vostra storia. Pensando a tutto questo potete riconoscere certamente la presenza di Dio: Egli non vi ha lasciati soli. Anche fra tremende avversità, potremmo dire con il Vangelo di oggi, il Signore ha visitato il vostro popolo (cfr Lc 1,68): si è ricordato della vostra fedeltà al Vangelo, della primizia della vostra fede, di tutti coloro che hanno testimoniato, anche a costo del sangue, che l’amore di Dio vale più della vita (cfr Sal 63,4). È bello per voi poter ricordare con gratitudine che la fede cristiana è diventata il respiro del vostro popolo e il cuore della sua memoria.
La fede è anche la speranza per il vostro avvenire, la luce nel cammino della vita, ed è il secondo fondamento di cui vorrei parlarvi. C’è sempre un pericolo, che può far sbiadire la luce della fede: è la tentazione di ridurla a qualcosa del passato, a qualcosa di importante ma che appartiene ad altri tempi, come se la fede fosse un bel libro di miniature da conservare in un museo. Tuttavia, se rinchiusa negli archivi della storia, la fede perde la sua forza trasformante, la sua bellezza vivace, la sua positiva apertura verso tutti. La fede, invece, nasce e rinasce dall’incontro vivificante con Gesù, dall’esperienza della sua misericordia che dà luce a tutte le situazioni della vita. Ci farà bene ravvivare ogni giorno questo incontro vivo con il Signore. Ci farà bene leggere la Parola di Dio e aprirci nella preghiera silenziosa al suo amore. Ci farà bene lasciare che l’incontro con la tenerezza del Signore accenda la gioia nel cuore: una gioia più grande della tristezza, una gioia che resiste anche di fronte al dolore, trasformandosi in pace. Tutto questo rinnova la vita, la rende libera e docile alle sorprese, pronta e disponibile per il Signore e per gli altri. Può succedere anche che Gesù chiami a seguirlo più da vicino, a donare la vita a Lui e ai fratelli: quando invita, specialmente voi giovani, non abbiate paura, ditegli di “sì”! Egli ci conosce, ci ama davvero, e desidera liberare il cuore dai pesi del timore e dell’orgoglio. Facendo spazio a Lui, diventiamo capaci di irradiare amore. Potrete in questo modo dar seguito alla vostra grande storia di evangelizzazione, di cui la Chiesa e il mondo hanno bisogno in questi tempi tribolati, che sono però anche i tempi della misericordia.
Il terzo fondamento, dopo la memoria e la fede, è proprio l’amore misericordioso: è su questa roccia, sulla roccia dell’amore ricevuto da Dio e offerto al prossimo, che si basa la vita del discepolo di Gesù. Ed è vivendo la carità che il volto della Chiesa ringiovanisce e diventa attraente. L’amore concreto è il biglietto da visita del cristiano: altri modi di presentarsi possono essere fuorvianti e persino inutili, perché da questo tutti sapranno che siamo suoi discepoli: se abbiamo amore gli uni per gli altri (cfr Gv 13,35). Siamo chiamati anzitutto a costruire e ricostruire vie di comunione, senza mai stancarci, a edificare ponti di unione e a superare le barriere di separazione. Che i credenti diano sempre l’esempio, collaborando tra di loro nel rispetto reciproco e nel dialogo, sapendo che «l’unica competizione possibile tra i discepoli del Signore è quella di verificare chi è in grado di offrire l’amore più grande!» (Giovanni Paolo II, Omelia, 27 settembre 2001: Insegnamenti XXIV,2 [2001], 478).
Il profeta Isaia, nella prima lettura, ci ha ricordato che lo spirito del Signore è sempre con chi porta il lieto annuncio ai miseri, fascia le piaghe dei cuori spezzati e consola gli afflitti (cfr 61,1-2). Dio dimora nel cuore di chi ama; Dio abita dove si ama, specialmente dove ci si prende cura, con coraggio e compassione, dei deboli e dei poveri. C’è tanto bisogno di questo: c’è bisogno di cristiani che non si lascino abbattere dalle fatiche e non si scoraggino per le avversità, ma siano disponibili e aperti, pronti a servire; c’è bisogno di uomini di buona volontà, che di fatto e non solo a parole aiutino i fratelli e le sorelle in difficoltà; c’è bisogno di società più giuste, nelle quali ciascuno possa avere una vita dignitosa e in primo luogo un lavoro equamente retribuito.
Potremmo però chiederci: come si può diventare misericordiosi, con tutti i difetti e le miserie che ciascuno vede dentro di sé e attorno a sé? Vorrei ispirarmi a un esempio concreto, ad un grande araldo della misericordia divina, che ho voluto proporre all’attenzione di tutti annoverandolo tra i Dottori della Chiesa universale: san Gregorio di Narek, parola e voce dell’Armenia. È difficile trovare qualcuno pari a lui nello scandagliare le abissali miserie che si possono annidare nel cuore dell’uomo. Egli, però, ha sempre posto in dialogo le miserie umane e la misericordia di Dio, elevando un’accorata supplica fatta di lacrime e fiducia al Signore, «datore dei doni, bontà per natura […], voce di consolazione, notizia di conforto, slancio di gioia, […] tenerezza impareggiabile, misericordia traboccante, […] bacio salvifico» (Libro delle lamentazioni, 3,1), nella certezza che «mai è adombrata dalle tenebre della rabbia la luce della [sua] misericordia» (ibid., 16,1). Gregorio di Narek è un maestro di vita, perché ci insegna che è anzitutto importante riconoscerci bisognosi di misericordia e poi, di fronte alle miserie e alle ferite che percepiamo, non chiuderci in noi stessi, ma aprirci con sincerità e fiducia al Signore, «Dio vicino, tenerezza di bontà» (ibid., 17,2), «pieno d’amore per l’uomo, […] fuoco che consuma la sterpaglia del peccato» (ibid., 16,2).
Con le sue parole vorrei infine invocare la misericordia divina e il dono di non stancarci mai di amare: Spirito Santo, «potente protettore, intercessore e pacificatore, noi ti rivolgiamo le nostre suppliche […] Accordaci la grazia di incoraggiarci alla carità e alle opere buone […] Spirito di dolcezza, di compassione, di amore per l’uomo e di misericordia, […] Tu che non sei altro che misericordia, […] abbi pietà di noi, Signore nostro Dio, secondo la tua grande misericordia» (Inno di Pentecoste).


Saluto alla fine della Messa
Al termine di questa Celebrazione desidero esprimere viva gratitudine al Catholicos Karekin II e all’Arcivescovo Minassian per le cortesi parole che mi hanno rivolto, come pure al Patriarca Ghabroyan e ai Vescovi presenti, ai sacerdoti e alle Autorità che ci hanno accolto.
Ringrazio tutti voi che avete partecipato, giungendo a Gyumri anche da diverse regioni e dalla vicina Georgia. Vorrei in particolare salutare chi, con tanta generosità e amore concreto, aiuta quanti si trovano nel bisogno. Penso soprattutto all’ospedale di Ashotsk, inaugurato venticinque anni fa e conosciuto come l’“Ospedale del Papa”: nato dal cuore di san Giovanni Paolo II, è ancora una presenza tanto importante e vicina a chi soffre; penso alle opere portate avanti dalla comunità cattolica locale, dalle Suore Armene dell’Immacolata Concezione e delle Missionarie della Carità della beata Madre Teresa di Calcutta.
La Vergine Maria, nostra Madre, vi accompagni sempre e guidi i passi di tutti sulla via della fraternità e della pace.