domenica 26 giugno 2016

Sobrietà che libera



Approvato dal concilio ortodosso il testo sul digiuno. 

(da Chania Hyacinthe Destivelle) Il Santo e grande concilio della Chiesa ortodossa ha dedicato una parte dei suoi dibattiti del 22 e 23 giugno alla questione del digiuno, inclusa nell’agenda fin dall’inizio della sua preparazione. Nel 1961 si pensava di adattare le regole del digiuno, ispirate in gran parte dall’ideale monastico, alle condizioni di vita dei fedeli. Con il titolo «Adattamento del regolamento del digiuno alle esigenze della nostra epoca», le prime bozze dei documenti preconciliari sul tema proponevano regole generali abbreviando o rendendo meno rigidi alcuni digiuni.
La terza conferenza panortodossa preconciliare del 1986 pubblicò per la prima volta il documento esaminato in questi ultimi giorni dal concilio, con un titolo nuovo: L’importanza del digiuno e la sua osservanza oggi. Il cambiamento del titolo era significativo: l’accento non veniva più posto sull’adattamento delle regole — il che resta comunque un elemento importante del documento attuale — ma sull’importanza del digiuno nella vita spirituale del cristiano. L’adattamento non dovrebbe dunque avvenire attraverso una modifica delle regole, ma mediante l’applicazione del principio dell’oikonomìa, vale a dire rendendo meno rigida l’applicazione della regola canonica (akribìa) per il bene spirituale dei credenti, caso per caso. Nel gennaio 2016, la sinassi dei primati ha inserito questo tema al quarto posto nell’ordine del giorno del concilio.
Il digiuno «è una istituzione antichissima [...] stabilita sin dal paradiso». È con questa citazione di san Basilio che inizia il documento, il quale dichiara che il digiuno è «l’espressione migliore dell’ideale ascetico dell’ortodossia», e ricorda che la Chiesa ortodossa «ha sempre proclamato il grande valore del digiuno per la vita spirituale dell’uomo e la sua salvezza». Basandosi sulle fonti bibliche e apostoliche del digiuno, e soprattutto sul suo «significato cristologico», il documento afferma che «tutti i fedeli sono chiamati a conformarvisi, ognuno secondo le proprie forze e le proprie possibilità, senza però avere la libertà di ignorare questa istituzione sacra» al fine di «raggiungere la theòsis durante la loro vita». In effetti, «è impossibile accedere alla vita spirituale ortodossa senza la lotta spirituale del digiuno».
Il digiuno, prosegue il testo, è legato alla preghiera, al pentimento e alla beneficenza, «soprattutto nella nostra epoca in cui la distribuzione ineguale e ingiusta dei beni giunge a privare interi popoli del loro pane quotidiano». Ma «digiunare non significa astenersi semplicemente da alcuni alimenti precisi»: di fatto, «l’astinenza da alcuni alimenti e la frugalità […] costituiscono gli elementi visibili di quella lotta spirituale che è il digiuno».
Il testo ricorda i digiuni prescritti dalla Chiesa ortodossa. Si tratta di quattro periodi dell’anno liturgico che precedono le festività di Pasqua (Grande Quaresima), dei santi apostoli Pietro e Paolo, della Dormizione, di Natale, ma anche i digiuni giornalieri dell’Esaltazione della Santa Croce, della vigilia dell’Epifania e della Decollazione di san Giovanni il Precursore, e i digiuni infrasettimanali del mercoledì e del venerdì. Infine il documento ricorda l’esigenza del digiuno eucaristico (prima della mezzanotte), come pure i benefici spirituali del digiuno «in segno di pentimento, per la realizzazione di un voto spirituale, per il successo di un santo intento, in un periodo di tentazione, per accompagnare una supplica a Dio, prima del battesimo (quello degli adulti), prima dell’ordinazione, in caso di penitenza, durante i santi pellegrinaggi e in altri casi analoghi».
Tuttavia, precisa il testo, «con clemenza pastorale» la Chiesa ortodossa applica anche «il principio ecclesiastico di economia». In effetti, «oggi è un dato di fatto che molti fedeli, sia per negligenza sia a causa delle condizioni di vita, quali che siano, non rispettano tutte le prescrizioni che riguardano il digiuno». Questi casi, «siano essi generali o individuali», devono essere trattati dalla Chiesa «con sollecitudine pastorale».
La Chiesa «lascia dunque alle Chiese ortodosse locali la cura di fissare la misura di economia misericordiosa e di indulgenza da applicare al fine di alleggerire il “peso” dei digiuni sacri per quanti hanno difficoltà a rispettare tutto ciò che questi prescrivono, sia per motivi personali (malattia, servizio militare, condizioni di lavoro, e così via), sia per motivi generali (condizioni climatiche, difficoltà di trovare alcuni alimenti magri)».
Come si può vedere, il documento non apporta alcun cambiamento alle regole ortodosse riguardanti il digiuno: al contrario, le conferma e le promuove. Quanto alla possibilità di renderle meno rigide, dà prova di realismo: piuttosto che fissare regole generali, come era stato previsto, lascia a ogni Chiesa locale la cura di fissare, mediante l’applicazione del principio di economia, eventuali adattamenti in funzione del contesto.
Dalla sua pubblicazione nel 1986 il testo in pratica non è stato modificato e, di tutti i testi preconciliari, è l’unico a non essere stato contestato in questi ultimi mesi dall’una o dall’altra Chiesa autocefala. Al momento della sua prima pubblicazione, il teologo ortodosso Olivier Clément sottolineava la necessità, per parlare di digiuno, «di utilizzare il linguaggio contemporaneo, particolarmente suggestivo, del desiderio e del bisogno: limitare i bisogni per liberare il desiderio, che è desiderio di Dio». Proseguiva dicendo: «In una civiltà circondata dal nulla e dove molti cercano le vie del silenzio, della pace delle profondità, di una consapevolezza del corpo, parlare di ascesi permetterebbe di portare lontano la testimonianza dell’ortodossia, attualizzando l’immensa esperienza spirituale di cui essa dispone».
Il documento del Santo e grande concilio sul digiuno è una profonda testimonianza della tradizione ascetica ortodossa e un incoraggiamento per tutti i cristiani. Tale testimonianza è particolarmente necessaria in un’epoca segnata al tempo stesso da una cultura consumistica e dalla ricerca di uno stile di vita più moderato e più frugale. Allargando la prospettiva al rapporto del cristiano con il suo corpo e con la creazione, si è tentati di fare un parallelismo con l’enciclica Laudato si’ di Papa Francesco, che in essa lancia un appello alla sobrietà: «La sobrietà, vissuta con libertà e consapevolezza, è liberante. Non è meno vita, non è bassa intensità, ma tutto il contrario» (n. 223).
Tale parallelismo è ancor più giustificato in quanto Papa Francesco, all’inizio della sua enciclica, cita il patriarca ecumenico Bartolomeo: «[Bartolomeo] ci ha proposto di passare dal consumo al sacrificio, dall’avidità alla generosità, dallo spreco alla capacità di condividere, in un’ascesi che “significa imparare a dare, e non semplicemente a rinunciare. È un modo di amare, di passare gradualmente da ciò che io voglio a ciò di cui ha bisogno il mondo di Dio”» (n. 9).
L'Osservatore Romano