mercoledì 15 giugno 2016

Ubi fides ibi libertas



Il cardinale che diffondeva e garantiva certezza
di Giuliano Ferrara

Il libro “Ubi fides ibi libertas. Scritti in onore di Giacomo Biffi” (Ed. Cantagalli, pag. 350, € 18) è stato presentato ieri a Bologna nella Biblioteca dell'Archiginnasio. Il libro è composto da una serie di scritti, tra cui quelli di Papa Francesco, Benedetto XVI, Angelo Bagnasco, Angelo Scola, Carlo Caffarra, Matteo Maria Zuppi, Luigi Bettazzi, Giorgio Guazzaloca, Marcello Pera, Luigi Giussani. A un anno dalla morte dell'indimenticabile “italiano cardinale”, per gentile concessione dell'editore, proponiamo ai lettori della “Nuova Bussola” un estratto del contributo al libro di Giuliano Ferrara, già Direttore del quotidiano “Il Foglio”. 

«...Come memorialista e critico letterario, nelle Memorie di un italiano cardinale o negli scritti su Collodi e sul Risorgimento, Biffi seppe essere witty, seppe fecondare con lo humour del suo occhio scrutatore e del suo spirito di grandissimo moralista un discorso anche pubblico sull’incontro e sul conflitto tra cristianesimo e modernità. Si occupò con trasparenza, figlio di un papa Giovanni, di un Paolo, di due Giovanni Paolo e di un Benedetto, del profilo laico, ma sanamente laico, della politica e della storia contemporanea.
Fu sempre attento – “l’italiano cardinale” – al paese di Dante, cui attribuiva una coscienza universale e un rango di primissima classe in ragione della sua aderenza, fin dalla tarda antichità, allo svolgimento della storia della salvezza secondo il vangelo e la sua Chiesa Cattolica casta meretrice. In questa enfasi predicatoria, sempre umilmente sottoposta alla norma parrocchiale e oratoriana dell’understatement, della chiarezza e della semplicità di lingua e di forma, quell’uomo di Dio e di Chiesa dall’ovale perfetto del volto, dalla mente lucida e svagata ma intima a sé stessa, e dalla fede intrinseca mai ostentata come fede personale, ma più spesso ragionata sorridendo come fede per il pubblico, in questa enfasi seppe togliersi grandi soddisfazioni intellettuali. 
Disse che Cristo negli anni della predicazione era ricco e amico di ricchi. Che il dubbio è parte costitutiva della persona umana (a dubitare ci arrivo da solo, aggiungeva) ma la funzione della Chiesa è diffondere, elaborare, garantire certezza. Che l’anticristo di Solovev era un pacifista, un vegetariano pieno di buoni sentimenti. Che nessuna ecologia è credibile se non parta dall’abbraccio a una visione intransigente di ciò che è difesa della vita. Che essere chiamati integralisti, per i cattolici seri, può equivalere a essere chiamati cristiani. Ebbe parole di fuoco sacro contro la demolizione della fede dall’interno, intesa come costrizione dei semplici a diventare cattolici adulti. Derise i falsi profeti non di sventura ma di serenità e di ore tranquille imminenti. Gli attentati alla libertà di giudizio cominciano dal linguaggio, disse, e così chiosò la prevalenza del politicamente corretto. Si scatenò con bonaria ferocia contro coloro che a forza di comprensione e dialogo non riuscivano più a denunciare l’intossicazione della fede cristiana e del suo sostrato di cultura e di civiltà.
Ma tutto questo, e molto, moltissimo altro ancora, non era mai disgiunto da una benevolenza vera verso le persone, verso gli erranti, verso coloro che potevano essere censurati con la nota vivacità ma sempre restavano, e non solo nel loro cuore ma nel cuore di Biffi che li segnava a dito, uomini di Dio. Non era un pedante, non voleva una Chiesa prescrittiva e moralistica nel senso della teologia morale ormai ossificata, ma assertoria e sicura di sé nel suo magistero di umanità e di divinità. Nelle conversazioni con l’emerito era spettacolare la sua irruenza, la sua secchezza chiara e distinta nell’eliminazione dell’equivoco, non meno della sua carezzevole sicurezza del fatto che nella Chiesa si ama e si è amati in un modo speciale, tutto proprio, il che naturalmente rendeva effervescente e a suo modo santa, per uno come me che stava fuori dalla Chiesa in senso tecnico, la vitalità di idee e di sentimenti che si godeva intra muros.
Biffi parlava della Madonna con un fondo lacrimale che non stingeva le linee diritte del discorso, e considerava la fede come la quintessenza che qualcuno doveva pur alchemicamente distillare, compito non bigotto ma umanistico, non mistico ma di razionalismo cristiano. Con i razionalisti immanentisti, negatori di ogni possibile trascendenza, aveva nulla da spartire. Con chi credeva nella possibilità della fede e nella Rivelazione come origine del mondo cristiano, come notizia, come scrittura e sacra doctrina, sapeva tenere il timone della discussione su una rotta appunto laica e sempre risonante di idee storiche, di atteggiamenti non fideisti.
Insomma, il Cardinale esercitava una paternità indicibilmente autorevole, dava un senso liturgico, inteso come convocazione continua del creato di fronte al mistero del suo essere creato, anche alle polemiche del basso mondo. E finì con quella splendida predicazione degli Esercizi Spirituali, sentendo e facendo sentire alla corte teologico-papale di Benedetto XVI la voce immensamente allegra e annunciatrice dei cherubini. Un testo di tale bellezza, estroversione, e caratura letteraria, che mi sembrò giusto, opportuno, pubblicarlo su un piccolo giornale quotidiano, di cui portavo la responsabilità, come testamento di un prete pieno di immaginazione, di obbedienza, di fede e di amore del mondo nel senso in cui il mondo può essere amato da un principe della Chiesa. Pubblicarlo integralmente, certo, e forse anche integristicamente».

***
Biffi, un maestro che ha dominato il suo tempo
di Luigi Negri*

L'uscita di un libro che raccoglie gli interventi di importanti personaggi in onore del cardinale Giacomo Biffi, ricorda l'ormai prossimo primo anniversario della morte dell''arcivescovo di Bologna (11 luglio). Oltre a proporvi a parte un brano del libro edito da Cantagalli (clicca qui), abbiamo chiesto a monsignor Luigi Negri, arcivescovo di Ferrara, che lo ha conosciuto bene, un breve giudizio sull'opera del cardinale Biffi.
Con l'avvicinarsi del primo anniversario della morte del grande cardinale Giacomo Biffi condivido volentieri alcuni pensieri per rievocarne la straordinaria figura.
Biffi ha dominato il suo tempo, ha servito la Chiesa con una chiarezza intellettuale insuperabile, con una capacità pastorale che si scopre e si riscopre man mano che il tempo passa. La raccolta dei suoi interventi pastorali per la diocesi di Bologna comincia ad essere, per me, un classico della riflessione pastorale.
Ha servito la Chiesa come ultimo fra gli ultimi; ma in questo suo essere servo della Chiesa di Dio, lo ha fatto con la grandezza intellettuale e morale che lo caratterizzava e che ne fa uno dei cristiani più grandi di questo secolo, ma soprattutto uno dei più grandi maestri. Ha dominato il suo tempo lavorando prima a Milano e poi a Bologna, due città singolarmente martoriate dal dilagare della mentalità laicista anticattolica, decisamente avversa alla stessa esistenza della Chiesa. 
Ha dominato sottolineando con molta chiarezza che ogni attacco portato alla Verità e alla Libertà della Chiesa sarebbe diventato, come  purtroppo è apparso chiaro in questi ultimi anni, un attacco al popolo. Alla persona e al popolo; il popolo umano, che anziché essere accudito da coloro che gestiscono il potere, viene progressivamente e programmaticamente vilipeso.
Grande uomo di Chiesa e padre della patria. Io credo che in questo, senza esagerazione, consista la sintesi straordinaria di quest’uomo del quale tutti, poco o tanto, e io per primo, ci siamo sentiti umili discepoli.

* Arcivescovo di Ferrara-Comacchio