Udienza ai partecipanti al Convegno per persone disabili promosso dalla Conferenza Episcopale Italiana (11-12 giugno 2016). Discorso del Santo Padre. "Le nostre comunità cristiane siano “case” in cui ogni sofferenza trovi compassione, in cui ogni famiglia con il suo carico di dolore e fatica possa sentirsi capita e rispettata nella sua dignità"
Sala stampa dlla Santa Sede
Alle ore 12 di questa mattina, nell’Aula Paolo VI, il Santo Padre Francesco ha ricevuto in Udienza i partecipanti al Convegno “…e tu mangerai sempre alla mia tavola!” (2 Sam 9, 1-13), (11-12 giugno 2016), promosso dal Settore per la Catechesi delle persone disabili dell’Ufficio Catechistico Nazionale italiano in occasione del 25° anniversario della sua istituzione. Pubblichiamo di seguito il discorso che il Papa haconsegnato ma non letto preferendo rispondere a braccio a qualche domanda:
Discorso del Santo Padre
Cari fratelli e sorelle,
vi accolgo in occasione del 25° anniversario dell’istituzione del Settore per la Catechesi delle persone disabili dell’Ufficio Catechistico Nazionale italiano. Una ricorrenza che stimola a rinnovare l’impegno affinché le persone disabili siano pienamente accolte nelle parrocchie, nelle associazioni e nei movimenti ecclesiali. Vi ringrazio per le domande che mi avete rivolto e che mostrano la vostra passione per questo ambito della pastorale. Esso richiede una duplice attenzione: la consapevolezza della educabilità alla fede della persona con disabilità, anche gravi e gravissime; e la volontà di considerarla come soggetto attivo nella comunità in cui vive.
Questi fratelli e sorelle – come dimostra anche questo Convegno – non sono soltanto in grado di vivere una genuina esperienza di incontro con Cristo, ma sono anche capaci di testimoniarla agli altri. Molto è stato fatto nella cura pastorale dei disabili; bisogna andare avanti, ad esempio riconoscendo meglio la loro capacità apostolica e missionaria, e prima ancora il valore della loro “presenza” come persone, come membra vive del Corpo ecclesiale. Nella debolezza e nella fragilità si nascondono tesori capaci di rinnovare le nostre comunità cristiane.
Nella Chiesa, grazie a Dio, si registra una diffusa attenzione alla disabilità nelle sue forme fisica, mentale e sensoriale, e un atteggiamento di generale accoglienza. Tuttavia le nostre comunità fanno ancora fatica a praticare una vera inclusione, una partecipazione piena che diventi finalmente ordinaria, normale. E questo richiede non solo tecniche e programmi specifici, ma prima di tutto riconoscimento e accoglienza dei volti, tenace e paziente certezza che ogni persona è unica e irripetibile, e ogni volto escluso è un impoverimento della comunità.
Anche in questo campo è decisivo il coinvolgimento delle famiglie, che chiedono di essere non solo accolte, ma stimolate e incoraggiate. Le nostre comunità cristiane siano “case” in cui ogni sofferenza trovi compassione, in cui ogni famiglia con il suo carico di dolore e fatica possa sentirsi capita e rispettata nella sua dignità. Come ho osservato nell’Esortazione apostolica Amoris laetitia, «l’attenzione dedicata tanto ai migranti quanto alle persone con disabilità è un segno dello Spirito. Infatti entrambe le situazioni sono paradigmatiche: mettono specialmente in gioco il modo in cui si vive oggi la logica dell’accoglienza misericordiosa e dell’integrazione delle persone fragili» (n. 47).
Nel cammino di inclusione delle persone disabili occupa naturalmente un posto decisivo la loro ammissione ai Sacramenti. Se riconosciamo la peculiarità e la bellezza della loro esperienza di Cristo e della Chiesa, dobbiamo di conseguenza affermare con chiarezza che esse sono chiamate alla pienezza della vita sacramentale, anche in presenza di gravi disfunzioni psichiche. È triste constatare che in alcuni casi rimangono dubbi, resistenze e perfino rifiuti. Spesso si giustifica il rifiuto dicendo: “tanto non capisce”, oppure: “non ne ha bisogno”. In realtà, con tale atteggiamento, si mostra di non aver compreso veramente il senso dei Sacramenti stessi, e di fatto si nega alle persone disabili l’esercizio della loro figliolanza divina e la piena partecipazione alla comunità ecclesiale.
Il Sacramento è un dono e la liturgia è vita: prima ancora di essere capita razionalmente, essa chiede di essere vissuta nella specificità dell’esperienza personale ed ecclesiale. In tal senso, la comunità cristiana è chiamata ad operare affinché ogni battezzato possa fare esperienza di Cristo nei Sacramenti. Pertanto, sia viva preoccupazione della comunità fare in modo che le persone disabili possano sperimentare che Dio è nostro Padre e ci ama, che predilige i poveri e i piccoli attraverso i semplici e quotidiani gesti d’amore di cui sono destinatari. Come afferma il Direttorio Generale per la Catechesi: «L’amore del Padre verso questi figli più deboli e la continua presenza di Gesù con il suo Spirito danno fiducia che ogni persona, per quanto limitata, è capace di crescere in santità» (n. 189).
È importante fare attenzione anche alla collocazione e al coinvolgimento delle persone disabili nelle assemblee liturgiche: stare nell’assemblea e dare il proprio apporto all’azione liturgica con il canto e con gesti significativi, contribuisce a sostenere il senso di appartenenza di ciascuno. Si tratta di far crescere una mentalità e uno stile che metta al riparo da pregiudizi, esclusioni ed emarginazioni, favorendo una effettiva fraternità nel rispetto della diversità apprezzata come valore.
Cari fratelli e sorelle, vi ringrazio per quanto avete fatto in questi venticinque anni di lavoro al servizio di comunità sempre più accoglienti e attente agli ultimi. Andate avanti con perseveranza e con l’aiuto di Maria Santissima nostra Madre. Io prego per voi e vi benedico di cuore; e anche voi, per favore, pregate per me.
Discorso del Santo Padre
Cari fratelli e sorelle,
vi accolgo in occasione del 25° anniversario dell’istituzione del Settore per la Catechesi delle persone disabili dell’Ufficio Catechistico Nazionale italiano. Una ricorrenza che stimola a rinnovare l’impegno affinché le persone disabili siano pienamente accolte nelle parrocchie, nelle associazioni e nei movimenti ecclesiali. Vi ringrazio per le domande che mi avete rivolto e che mostrano la vostra passione per questo ambito della pastorale. Esso richiede una duplice attenzione: la consapevolezza della educabilità alla fede della persona con disabilità, anche gravi e gravissime; e la volontà di considerarla come soggetto attivo nella comunità in cui vive.
Questi fratelli e sorelle – come dimostra anche questo Convegno – non sono soltanto in grado di vivere una genuina esperienza di incontro con Cristo, ma sono anche capaci di testimoniarla agli altri. Molto è stato fatto nella cura pastorale dei disabili; bisogna andare avanti, ad esempio riconoscendo meglio la loro capacità apostolica e missionaria, e prima ancora il valore della loro “presenza” come persone, come membra vive del Corpo ecclesiale. Nella debolezza e nella fragilità si nascondono tesori capaci di rinnovare le nostre comunità cristiane.
Nella Chiesa, grazie a Dio, si registra una diffusa attenzione alla disabilità nelle sue forme fisica, mentale e sensoriale, e un atteggiamento di generale accoglienza. Tuttavia le nostre comunità fanno ancora fatica a praticare una vera inclusione, una partecipazione piena che diventi finalmente ordinaria, normale. E questo richiede non solo tecniche e programmi specifici, ma prima di tutto riconoscimento e accoglienza dei volti, tenace e paziente certezza che ogni persona è unica e irripetibile, e ogni volto escluso è un impoverimento della comunità.
Anche in questo campo è decisivo il coinvolgimento delle famiglie, che chiedono di essere non solo accolte, ma stimolate e incoraggiate. Le nostre comunità cristiane siano “case” in cui ogni sofferenza trovi compassione, in cui ogni famiglia con il suo carico di dolore e fatica possa sentirsi capita e rispettata nella sua dignità. Come ho osservato nell’Esortazione apostolica Amoris laetitia, «l’attenzione dedicata tanto ai migranti quanto alle persone con disabilità è un segno dello Spirito. Infatti entrambe le situazioni sono paradigmatiche: mettono specialmente in gioco il modo in cui si vive oggi la logica dell’accoglienza misericordiosa e dell’integrazione delle persone fragili» (n. 47).
Nel cammino di inclusione delle persone disabili occupa naturalmente un posto decisivo la loro ammissione ai Sacramenti. Se riconosciamo la peculiarità e la bellezza della loro esperienza di Cristo e della Chiesa, dobbiamo di conseguenza affermare con chiarezza che esse sono chiamate alla pienezza della vita sacramentale, anche in presenza di gravi disfunzioni psichiche. È triste constatare che in alcuni casi rimangono dubbi, resistenze e perfino rifiuti. Spesso si giustifica il rifiuto dicendo: “tanto non capisce”, oppure: “non ne ha bisogno”. In realtà, con tale atteggiamento, si mostra di non aver compreso veramente il senso dei Sacramenti stessi, e di fatto si nega alle persone disabili l’esercizio della loro figliolanza divina e la piena partecipazione alla comunità ecclesiale.
Il Sacramento è un dono e la liturgia è vita: prima ancora di essere capita razionalmente, essa chiede di essere vissuta nella specificità dell’esperienza personale ed ecclesiale. In tal senso, la comunità cristiana è chiamata ad operare affinché ogni battezzato possa fare esperienza di Cristo nei Sacramenti. Pertanto, sia viva preoccupazione della comunità fare in modo che le persone disabili possano sperimentare che Dio è nostro Padre e ci ama, che predilige i poveri e i piccoli attraverso i semplici e quotidiani gesti d’amore di cui sono destinatari. Come afferma il Direttorio Generale per la Catechesi: «L’amore del Padre verso questi figli più deboli e la continua presenza di Gesù con il suo Spirito danno fiducia che ogni persona, per quanto limitata, è capace di crescere in santità» (n. 189).
È importante fare attenzione anche alla collocazione e al coinvolgimento delle persone disabili nelle assemblee liturgiche: stare nell’assemblea e dare il proprio apporto all’azione liturgica con il canto e con gesti significativi, contribuisce a sostenere il senso di appartenenza di ciascuno. Si tratta di far crescere una mentalità e uno stile che metta al riparo da pregiudizi, esclusioni ed emarginazioni, favorendo una effettiva fraternità nel rispetto della diversità apprezzata come valore.
Cari fratelli e sorelle, vi ringrazio per quanto avete fatto in questi venticinque anni di lavoro al servizio di comunità sempre più accoglienti e attente agli ultimi. Andate avanti con perseveranza e con l’aiuto di Maria Santissima nostra Madre. Io prego per voi e vi benedico di cuore; e anche voi, per favore, pregate per me.