venerdì 1 luglio 2016

Portare a casa la pelle

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di Costanza Miriano
Qualche tempo fa parlavo con un padre adottivo. Suo figlio ha una storia molto dolorosa alle spalle: il padre e la madre stanno facendo di tutto per conquistare la sua fiducia, dopo che è stata tradita terribilmente più e più volte. Questo ragazzo è molto bello e forte e generoso, pronto a fare a botte, ma anche a difendere il più debole del gruppo. Spesso si caccia nei guai, a volte neppure torna a casa la sera: immagino l’ansia dei genitori, che lo aspettano senza respirare. “Quando esce – mi raccontava il padre con una voce dolcissima – io gli dico chiaramente: ti prego, figlio mio. Torna. Non morire. Ti prego. Tutto il resto lo risolviamo insieme”.
Non riesco a immaginare una voce più paterna di questa. Eppure non è certo quello che direi ai miei figli. Regole, limiti, consigli: questo, sappiamo, è quello che custodisce i nostri figli, il loro vero bene. Se li vogliamo felici dobbiamo aiutarli a non farsi del male, non possiamo lasciarli liberi di fare tutte le stupidaggini possibili, sperando solo che non muoiano. Quel padre, un padre santo, credo, fa così perché sa di avere a che fare con un figlio ferito, e la sua è una pedagogia speciale, destinata a un figlio che era perso, e che lui sta rieducando prima di tutto alla vita. Poi, solo poi, gli insegnerà a essere un bravo uomo. Intanto a lui interessa che quel ragazzo dica il suo primo sì, al fatto di essere vivo, di essere chiamato alla vita, anche se i suoi genitori biologici hanno quasi fatto sì che rifiutasse la vita. Quel padre adottivo non ha niente di cui scusarsi col figlio, eppure lo fa, caricandosi anche del male che non ha commesso, perché così dobbiamo fare se vogliamo guarire qualcuno: portare pesi non nostri.
Ecco, credo che il Papa oggi stia facendo come quel padre. All’uomo contemporaneo che ha rifiutato Dio e dunque la vita sta dicendo prima di tutto il minimo indispensabile. Ti prego, torna vivo stanotte, torna a casa. Non ti ammazzare con una coltellata. Non andare a sbattere ubriaco a 160 all’ora sulla tangenziale. Non è il massimo come progetto educativo, ma è il massimo che può fare il padre per quel ragazzo, un padre per l’uomo di oggi. Noi lo sappiamo che ubriacarsi poco e tornare a casa dopo due giorni è un po’ pochino come obiettivo, ma per quel ragazzo è già una conquista. Dai miei figli, che sono stati custoditi e amati e seguiti, pur con tutti i limiti, noi genitori pretendiamo di più, ma quel padre non può.
Noi vorremmo di più per ogni figlio, noi vorremmo a volte sentir dire altre parole dal Papa. Non perché siamo cattivi, né abbiamo il cuore duro, e basta con ‘sta storia del fratello maggiore. E’ perché vogliamo di più per le persone che abbiamo intorno, a cui vogliamo bene. Noi sappiamo, ma lo sa benissimo anche il Papa, che quello che la Chiesa propone all’uomo è per la sua vera felicità, ed effettivamente a volte sentiamo rilanciare dai giornali espressioni francamente spiazzanti. Anche al netto della verifica della fonte, lo spiazzamento a volte rimane, soprattutto perché quelle cose che la Chiesa ha sempre detto nell’intimità di un confessionale (io sono sempre stata sommersa da fiumi di misericordia, da parte dei sacerdoti, sempre) vengono enunciate come principio generale, quasi che possano diventare la regola (come per esempio quella sulle convivenze meglio di certi matrimoni, o quella su tutti i credenti di tutte le religioni figli di Dio, che sembra cancellare il battesimo, unica possibilità di diventare figli di Dio). Ma non possiamo dimenticare a chi sta parlando in quel momento il Papa: a gente completamente digiuna dei fondamentali dell’umano, per non parlare della fede. Sta parlando a dei neobarbari. Mi sembra di sentire quel padre adottivo che dice “almeno torna vivo”. La dottrina, ovviamente, non è cambiata, nemmeno in una virgola (iota unum), altrimenti lo apprenderemmo dalla nuova edizione del Catechismo, non da una chiacchierata a braccio; sta cambiando il modo di comunicarla. Se funzioni, non lo so, e non spetta a me dirlo. A noi spetta, questo sì, difendere il nostro metro di trincea, che è prima di tutto quello interiore, quello della lotta col nostro personale peccato.
Ogni volta che qualcosa attribuito al Papa mi sconcerta – e a volte ci sconcerta proprio, come quando la Sala Stampa parla della grande eredità spirituale di Pannella, responsabile neanche troppo indiretto di sei milioni di bambini uccisi – io mi chiedo: c’è qualcosa nella mia vita che non mi è chiaro? In qualche modo posso dubitare di quello che devo fare io? Esiste qualcuno che, avendo ascoltato alcune parole con cuore leale e sincero, il cuore di chi vuole essere vero discepolo di Cristo, possa dubitare di qualcosa, onestamente, per la propria vita? Le parole su Lutero mi fanno dubitare dell’eucaristia, della Madonna? È vero, mi sembra strano insistere sui temi dell’ecologia in un mondo che ne è già ossessionato, in un mondo dove a scuola si insegna che lasciare una bottiglietta in un bosco è un peccato mortale, uccidere un bambino nel grembo della mamma è un diritto. Eppure non è che ci sia mai stata retromarcia sull’aborto, no? Semplicemente il Papa parla di bottigliette perché sa che è l’unica cosa che il figlio adottivo può sentirsi dire senza scappare via: il padre vuole che il figlio torni a casa, poi sul resto si lavorerà. Io so che gli unici a volere il vero bene delle persone con tendenze omosessuali sono alcuni cattolici che lavorano al loro fianco per aiutarli nella ricerca di Dio (come ha detto il Papa), ma se qualcuno nella Chiesa pensa che avrebbe potuto fare di più (io per esempio personalmente avrei potuto fare di più praticamente su tutti i fronti) non mi disturba che chieda perdono, perché nulla di quello che facciamo è senza colpa, se non c’è lo Spirito. Il problema dunque non sono queste parole (spesso provocate a bella posta da domande maliziose, come quella sulle diaconesse), ma il modo in cui vengono utilizzate, strumentalmente, in mala fede, con ignoranza (leggo che Vendola si sarebbe compiaciuto delle ultime dichiarazioni del Papa, ma non credo assolutamente che Francesco approverà mai l’utero in affitto, le sue parole sul tema sono state inequivocabili: questo non deve essere un problema nostro. L’unico che può arrabbiarsi in quella vicenda è Tobia). Quello che ci riguarda è solo questo: a quale passaggio della mia conversione mi sta chiamando questo Papa, a me, proprio a me, anche mentre parla al figlio disastrato?