venerdì 8 luglio 2016

Qual è il valore di una vita umana in Italia?

Beau ed Emmanuel
Emmanuel e Beau, due tragedie che spiegano come l'Italia abbia smarrito la cultura della vita
di Riccardo Cascioli

Qual è il valore di una vita umana in Italia? Dipende. Dipende da tanti fattori, soprattutto dipende da quanto può essere utile a certe battaglie politiche. È il pensiero che ancora una volta sorge nel constatare le reazioni davanti a due bruttissimi casi di cronaca nera, avvenuti per coincidenza negli stessi giorni. Due storie, due uomini stranieri, uno a Fermo l’altro a Roma, uccisi barbaramente da una violenza insensata. Il primo, Emmanuel Chidi Namdi, nigeriano 36enne, un richiedente asilo fuggito dalla violenza del suo Paese, era in giro con la sua fidanzata: un altro uomo, Amedeo Mancini, noto per essere un ultrà della squadra di calcio locale, apostrofa la sua donna, Chinyiery, con insulti razzisti. Emmanuel reagisce per difendere Chinyiery, viene pestato a morte.
A qualche centinaio di chilometri di distanza, a Roma, il 19enne americano Beau Salomon, nella capitale per un breve periodo di studio, esce da un pub di Trastevere, forse alticcio finisce su una banchina lungo il fiume dove è accampato un uomo senza fissa dimora, Massimo Galioto. La dinamica dell’accaduto non è ancora chiara, fatto sta che – secondo gli inquirenti – Galioto, forse con altri, picchia Beau, che precipita nel Tevere e muore annegato perché nessuno lancia l’allarme.
Due storie terribili di violenza, due vittime accomunate da un passato pesante. Emmanuel si dice abbia avuto la famiglia distrutta da un attentato di Boko Haram e che per questo sia fuggito con Chinyiery dalla Nigeria, ma il viaggio gli ha riservato altre violenze e altre sofferenze: maltrattati e picchiati in Libia, un aborto durante la traversata, poi finalmente arrivati a Fermo, dove da alcuni mesi erano ospitati nella comunità che don Vinicio Albanesi ha creato nel locale seminario arcivescovile. Beau invece era noto negli Stati Uniti perché da bambino era sopravvissuto a una rara forma di tumore, grazie a diversi interventi chirurgici e a un lungo ciclo di chemioterapia. A Roma era arrivato per un breve corso all‘Università americana John Cabot.
Emmanuel e Beau, due stranieri dalle storie così diverse, accomunati da una morte violenta in Italia per motivi assolutamente futili se non abietti. Uccisi da persone, altrettanto diverse ma accomunate dal disprezzo per la vita umana. È qui il punto su cui tutti si dovrebbe riflettere: quando la vita umana, nel sentire comune, smette di essere sacra, inviolabile, allora tutto diventa possibile. Anche un omicidio per regolare un diverbio, anche guardare indifferenti e lasciare morire un uomo che ha bisogno di soccorsi. Non bisogna pensare che questo possa accadere soltanto ad altri, magari a sacche “predestinate” della società come i violenti tifosi delle curve calcistiche o ai punkkabestia. In una società che ha smarrito da tempo il valore infinito della vita umana, tanto da codificarlo anche nelle leggi, infliggere violenza all’altro diventa più possibile per tutti.
Ma le reazioni guidate da politica e media vanno per tutt’altra strada, più sensibili al tornaconto politico o ideologico che ne può derivare. Così le due vite stroncate in modo analogo, assumono due pesi ben diversi. E infatti del giovane americano si è interessato soltanto papa Francesco, che con un gesto umanamente significativo ha ricevuto i suoi genitori; per il resto la sua storia è stata trattata come un caso normale di violenza urbana: qualche clamore in più perché la vittima è americana, ma individuato l’aggressore, la notizia è subito finita in fondo alle pagine. 
Per Emmanuel invece si è scatenata la bagarre perché la parola “razzismo” è una moneta che in politica paga bene, e si lega al tema caldo dell’immigrazione. E allora ecco che la morte di Emmanuel diventa l’occasione per l’ennesima, arroventata polemica politica, che giunge fino a dipingere l’Italia come un paese razzista, un peccato da cui si può redimere soltanto aprendo le porte a tutti gli immigrati che vorranno approdare sulle nostre coste. E guai a chi dice il contrario: editoriali infuocati zittiscono quanti chiedono di tenere separati il caso di Fermo e il dibattito sull'immigrazione, chi invoca politiche migratorie restrittive è bollato quale complice di un clima xenofobo che provoca queste tragedie, un senatore che in Parlamento invita a non esagerare accomunando la strage di Dacca all’uccisione di Emmanuel viene aggredito verbalmente dai parlamentari di sinistra, e così via. E non parliamo della richiesta di leggi più aspre per combattere il razzismo. Così, cinicamente, la morte di Emmanuel diventa strumento per altre operazioni.
Certo, è anche giusto stigmatizzare quei politici che per primi danno il cattivo esempio. In questi giorni tutti hanno ovviamente ricordato quando il leghista Calderoli diede dell’orango all’ex ministro Cecile Kyenge, un episodio inqualificabile. Chi ha responsabilità pubbliche, lo voglia o no, è anche un modello. Ma allo stesso modo bisognerebbe censurare quanti narrano in modo idilliaco certe vite e situazioni, come se bastasse essere povero ed emarginato per essere privato del peccato originale. Si deve infatti anche ricordare che Massimo Galioto, fermato per l’omicidio di Beau Salomon, era diventato nei mesi scorsi quasi una celebrità: dopo un’intervista a “Repubblica” in gennaio, in febbraio era stato il personaggio principale di una puntata di Revolution, un programma di Tv2000, dove si esaltava la vita di strada come sinonimo di libertà. Dopo l’omicidio, saggiamente quella puntata è stata tolta dall’archivio di Tv2000.
Resta la questione di fondo: pur senza avere la presunzione di cancellare il male dalla terra, il vero compito che abbiamo davanti è ricostruire una cultura della vita, che affonda le radici nel "Vangelo della vita" a cui papa Giovanni Paolo II dedicò un'enciclica. È qui che si trova il fondamento della convivenza civile, proprio come è scritto nella Evangelium Vitae: «Pur tra difficoltà e incertezze, ogni uomo sinceramente aperto alla verità e al bene, con la luce della ragione e non senza il segreto influsso della grazia, può arrivare a riconoscere nella legge naturale scritta nel cuore (cf. Rm 2, 14-15) il valore sacro della vita umana dal primo inizio fino al suo termine, e ad affermare il diritto di ogni essere umano a vedere sommamente rispettato questo suo bene primario. Sul riconoscimento di tale diritto si fonda l'umana convivenza e la stessa comunità politica».