mercoledì 21 settembre 2016

Il paganesimo dell’indifferenza



Nuovo tweet del Papa: "Il dialogo nasce quando sono capace di riconoscere che l’altro è un dono di Dio e ha qualcosa da dirmi." (21 settembre 2016)
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(Giovanni Maria Vian)Trent’anni dopo l’intuizione di Giovanni Paolo II, storicamente e spiritualmente profetica, esponenti religiosi di ogni parte del mondo sono tornati ad Assisi. Per incontrarsi, per implorare da Dio la pace, per lanciare un nuovo appello alla responsabilità di chi ha il potere di operare per diffonderla. E vengono spontanee alla mente le parole di Gesù tramandate dall’evangelista Matteo: «Beati i facitori di pace (eirenopoiòi) perché questi saranno chiamati figli di Dio».
L’incontro c’è stato, di nuovo, come altre volte e in altri luoghi in questi anni, guardando alla città umbra resa universale dal santo medievale. Una figura, quella di Francesco, che ha oltrepassato i confini visibili della Chiesa e il cui nome, per la prima volta, è stato ora assunto dal successore dell’apostolo Pietro. Le preghiere di tutti poi si sono levate, senza sincretismi, per guardare con fiducia al futuro. Ancora una volta è risuonata la richiesta ai potenti di lasciar cadere le armi, ma induce purtroppo a riflessioni amare l’interesse limitato che i media internazionali hanno dedicato all’appuntamento di Assisi.
Ma questa disattenzione riguarda ancor più la sorte di chi soffre, come ha ripetuto ancora una volta il Papa, ricordando i «piccoli innocenti cui è preclusa la luce di questo mondo», i poveri, le vittime di guerre che sono alimentate dal traffico delle armi, i migranti costretti ad avviarsi «verso l’ignoto, spogliati di ogni cosa». Come a Gesù assetato sulla croce, anche a loro viene dato «l’aceto amaro del rifiuto» ha detto meditando sul Vangelo il Pontefice. Che nel discorso conclusivo ha denunciato per questo un «nuovo tristissimo paganesimo, il paganesimo dell’indifferenza».
Il dono della pace che le liturgie orientali invocano «dall’alto» viene oggi rifiutato da troppi e in troppe parti del mondo sembra allontanarsi. Così, per tutte queste situazioni — scandite una per una — i rappresentanti delle diverse confessioni cristiane giunti ad Assisi hanno pregato nella basilica inferiore con l’antichissima litania del Kyrie eleison, che implora pietà dall’unico Signore di tutti e che è stata conclusa dalla benedizione impartita insieme dal primate anglicano, dal patriarca siro-ortodosso di Antiochia, da quello di Costantinopoli e dal vescovo di Roma.
E lui, Papa Francesco, che mantiene ferma la predicazione di pace dei suoi predecessori, ha ribadito con forza che «mai il nome di Dio può giustificare la violenza» perché «solo la pace è santa e non la guerra». Parole di singolare efficacia, rilanciate nell’appello finale letto da una donna buddista giapponese, per ripetere di nuovo «l’inscindibile legame tra il grande bene della pace e un autentico atteggiamento religioso».
Al di là di ideologie e strumentalizzazioni, soprattutto di «chi invoca il nome di Dio per giustificare il terrorismo, la violenza e la guerra», perché «la guerra in nome della religione diventa una guerra alla religione» scandisce l’appello. E le parole di questo ennesimo richiamo sono state affidate dagli esponenti delle religioni ad alcuni bambini, che a loro volta le hanno portate a diversi ambasciatori. Perché l’incontro, le sue parole, le sue preghiere risuonino con forza nel mondo.

L'Osservatore Romano