martedì 13 settembre 2016

Inquisizione 2.0

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di Giulio Meotti per Il Foglio

Nazista, ladro, fascista”, urla un ragazzo alla volta dell’arcivescovo intento a celebrare la messa. I successori degli apostoli demonizzati, censurati, denunciati e imbavagliati presso i tribunali, i media e le autorità per aver svolto il loro ministero esprimendo un’opinione basata sull’insegnamento della chiesa cattolica. Non è la Polonia comunista del 1976. E’ la democratica Spagna del 2016, dove l’arcivescovo in questione si chiama Antonio Cañizares ed è dipinto come un mostro amorale. Vittima di quella che Chiara Atzori, medico specialista in infettivologia a Milano, in un libro ha definito la “Gendercrazia”, una “nuova utopia” che sta condizionando il pensiero e le abitudini di vita delle persone in Europa, “con una strisciante e progressiva perdita di libertà di pensiero” che si traduce in “repressione sanzionatoria” verso i dissidenti.

La Federazione valenziana di lesbiche, gay, transessuali e bisessuali fu la prima a presentare una denuncia di questo tipo e puntò subito in alto, al cardinale Antonio María Rouco Varela, già presidente della Conferenza episcopale spagnola, e al direttore del Mundo Pedro J. Ramírez che lo aveva intervistato, per portarli in tribunale con l’accusa di “incitamento all’odio e discriminazione”. “Monsignor Rouco Varela continua a trasmettere l’odio indiscriminato contro gli omosessuali”, si leggeva nella denuncia. Varela aveva criticato “la banalizzazione dell’esperienza dell’amore tra uomo e donna, riducendola a un mero contatto sessuale”.

Nel 2014 per la prima volta, in Spagna, un vescovo, appena nominato cardinale da Papa Francesco, di cui è amico personale, sarebbe stato poi incriminato per “omofobia”. Si tratta dell’arcivescovo emerito di Pamplona, Fernando Sebastián Aguilar, un teologo di cui il Papa si dichiara “alunno”. In un’intervista a Diario Sur, il quotidiano di Malaga, il presule aveva spiegato: “La sessualità ha una struttura e un fine, che è quello della procreazione. L’omosessualità, in quanto non può raggiungere questo fine, sbaglia”. Per queste parole si è ritrovato nel registro degli indagati. E’ successo anche al ministro dell’Interno Jorge Fernández Díaz, che durante un colloquio all’ambasciata spagnola presso la Santa Sede aveva affermato: “Se ci opponiamo al matrimonio fra persone dello stesso sesso non possiamo impiegare degli argomenti confessionali, bensì razionali”. Aveva poi aggiunto: “Le nozze gay non possono avere la stessa protezione del matrimonio naturale da parte dei poteri pubblici. La sopravvivenza della specie, per esempio, non sarebbe più garantita”. La Federazione nazionale lesbiche, gay e transessuali si è scagliata contro il ministro accusandolo di “usare la sua posizione per cercare di imporre idee reazionarie”. In tanti hanno chiesto le sue dimissioni. Il vescovo di Córdoba, monsignor Demetrio Fernández, aveva osato criticare “l’ideologia del gender”, suscitando critiche violente, tra cui quella della Regione Andalusia, che ha suggerito “una museruola per monsignore”.

Un esponente di Ganemos Córdoba, una lista civica di Podemos, Alberto De Los Rios, ha denunciato Fernández alla Procura per apologia di odio e contro i diritti umani e lo ha paragonato a un talebano “che non merita di guidare una comunità di fedeli”.
Nella liberissima e allegra Spagna, dove da dieci anni si celebrano i matrimoni gay, c’è una nuova inquisizione, dove non vengono più puniti i “rei d’immoralità come nel XV secolo (“peccati abominevoli” come la sodomia e la bestialità), ma il minimo sospiro vagamente critico nei confronti delle politiche gay-friendly. Perché il “gender” non è una scelta personale, ma un principio coercitivo da imporre a tutti. Pure ai vescovi. Un pensiero unico diventato un triste pupazzo in mano a una intolleranza ventriloqua. Nei giorni scorsi, a essere citati a giudizio sono stati ben tre presuli.

L’Osservatorio spagnolo contro la LGBTfobia ha denunciato davanti alla procura di Madrid il vescovo di Getafe, monsignor Joaquín María López de Andújar, il suo ausiliare José Rico Pavés e il titolare della diocesi di Alcalá, monsignor Juan Antonio Reig Pla. L’accusa suona come una condanna morale terribile: “Incitamento all’odio e alla discriminazione verso la comunità omosessuale”. I vescovi avevano sigillato la loro “infame omelia”, come è stata definita dai gruppi Lgbt, non soltanto con le loro firme ma anche con un particolare del trittico del “Giardino delle delizie” di Bosch: Adamo ed Eva nell’Eden. La centralità della coppia uomo- donna. I gruppi Lgbt vogliono anche presentare una denuncia penale verso i tre rappresentanti cattolici, accusandoli di “incitamento alla disobbedienza della legge”. La “colpa” dei tre vescovi è stata quella di aver diffuso una nota critica verso la legge approvata il 14 luglio in via definitiva dall’Assemblea autonoma di Madrid.

Una norma non voluta dal Partito socialista dell’ex premier Zapatero, né dalla sinistra di Podemos, bensì della presidentessa Cristina Cifuentes, espressione del Partito popolare, e che si propone di “superare gli stereotipi” e gli “atteggiamenti sessisti” attuando una “depatologizzazione della transessualità”, che passa anche attraverso il cambio di sesso di bambini molto piccoli, anche senza l’autorizzazione dei genitori. La nuova legge prevede “un piano di azione per l’integrazione dell’alunno nella scuola”, che si struttura attraverso “l’individuazione tempestiva di quelle persone in età infantile scolare che possano essere avviate a un processo di manifestazione della propria identità di genere”. Avendola considerata “un attacco al diritto dei genitori a educare i propri figli”, i tre vescovi hanno parlato di “una legge arbitraria, che non contempla neppure l’obiezione di coscienza e che i partiti, i sindacati, i mezzi di comunicazione e le grandi industrie vogliono imporre attraverso un pensiero unico che annulla la verità sull’uomo”.

Anche il cardinale di Valencia Antonio Cañizares, noto come “il piccolo Ratzinger” per la somiglianza fisica con il Papa emerito e le idee combattive, ha dovuto rispondere alle autorità per il suo attacco all’“impero gay” e alla “dittatura” dell’ideologia gender. Protagonista in questi anni delle battaglie della chiesa spagnola contro il governo socialista di José Luis Zapatero, creato cardinale il 24 marzo 2006 da Benedetto XVI, Cañizares non aveva esitato a parlare, in occasione della seconda vittoria elettorale di Zapatero, di “dittatura del relativismo” e contro i giudici di Valladolid: “E’ in atto una cristofobia”, denunciava a proposito del crocefisso rimosso. “Vogliono distruggere la famiglia come voleva fare l’Unione Sovietica comunista”, ha detto Cañizares lo scorso luglio al termine di una omelia.

L’Osservatorio spagnolo contro LGTBfobia ha compilato perfino “l’elenco dei quattordici vescovi (uno su sei) di Spagna che “promuovono l’esclusione degli omosessuali nella chiesa e nella società”. C’è il vescovo di Getafe, Joaquín María López de Andújar, che ha difeso il cardinale di Valencia “vittima di una campagna diffamatoria e insulti senza precedenti, e tutto per aver esercitato la libertà di espressione”.

Ci sono López de Andújar, Reig Rico Pavés e altri firmatari di una lettera pastorale contro la legge del transessualismo della Comunità di Madrid, che ha avuto il sostegno dell’arcivescovo della capitale, Carlos Osorio. C’è il vescovo di Córdoba, Demetrio Fernández, immediatamente seguito dall’arcivescovo di Siviglia, Juan José Asenjo. Anche il vescovo di San Sebastián, José Ignacio Munilla, ottiene un posto in lista come uno dei leader contro la parità di genere, per aver sostenuto che “il sesso omosessuale non può essere approvato in nessun caso”. Rafael Palmero, vescovo di Alicante-Orihuela, Jaume Pujol (Tarragona), Planes Jose Manuel Lorca (Cartagena-Murcia) e Casimiro Lopez Llorente (Spagna) si sono uniti ai reprobi. Il vescovo di Ciudad Real, Antonio Algora, è reo di aver definito l’ex premier socialista Zapatero “il nuovo Caligola”. Un altro osservatorio, quello per la libertà religiosa e di coscienza, ha denunciato la lesione, ormai sistematica, della libertà religiosa, di coscienza e perfino di culto in Spagna.

Attacchi nei confronti dei simboli religiosi, numerosi “uomini di Dio” trascinati in tribunale, rimozione dei crocifissi dall’aula di consigli comunali e scuole. Il comune di Lalín, in Galizia, ha approvato una mozione per eliminare le croci e le immagini sacre dai cimiteri municipali, proibire ai consiglieri comunali di manifestare la propria fede pubblicamente, cambiare i nomi delle vie che presentano riferimenti al cristianesimo. I funzionari, infine, nell’esercizio delle loro funzioni non potranno “compiere alcun gesto di venerazione religiosa”. Il comune aragonese di Huesca, cinquantamila abitanti, ha fatto lo stesso, declinando ogni invito a eventi pubblici di carattere religioso. Questa nuova guerriglia ideologia spagnola prevede anche la richiesta a Papa Francesco di toglier di mezzo al più presto possibile il vescovo di Alcalá de Henares, Juan Antonio Reig Pla, accusato d’aver lanciato una “crociata omofobia” con la sua lettera pastorale dal titolo “In difesa della vita”, sugli abusi sessuali a danno di minori e adulti vulnerabili, in cui chiede una selezione “drasticamente esigente” e “rigorosa” tra preti, catechisti, professori delle scuole cattoliche e docenti di religione. Reig Pla è “colpevole” di aver paragonato il “treno della libertà” che ha portato i manifestanti pro aborto a Madrid ai treni dei campi di concentramento. Il comune di Madrid ha approvato una mozione in cui chiede al Papa che il vescovo venga rimosso e che non venga mai più invitato a eventi pubblici della capitale. Il vescovo di Alcalá de Henares aveva definito l’aborto “un olocausto silenzioso”, che dal 1985, anno in cui è stata depenalizzata l’interruzione volontaria di gravidanza, “ha provocato due milioni di aborti, più vittime della Guerra civile spagnola”.

Ai nuovi accusati che devono fare autodafè manca soltanto il cappello da asino, come si usava fare durante il “sacro terrore” del Sant’Uffizio. Il cappello della vergogna.