domenica 25 settembre 2016

Le ragioni del bianconiglio

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di Costanza Miriano
E dire che non era certo una roba da cattolici, anzi. Tra i relatori chiamati per le quattro tavole rotonde che  giovedì hanno fatto parlare di fertilità tutta Italia, in prima fila i grandi esperti di procreazione medicalmente assistita, cioè conservazione in congelatore di piccole vite, e pezzi di vita, che non è esattamente quello che raccomanda Santa Madre Chiesa (e per come la vedo io, neanche la coscienza di un essere umano, e basta: non ci vuole il catechismo per sentirsi stringere il cuore a pensare a tutte le vite manipolate ed eliminate pur di produrne una).
Si è parlato di contraccezione, non è mancata la solita foto coi preservativi colorati, un revival anni ’80. Insomma, ci sarebbe tantissimo da dire, sulla campagna del fertility day, sulla comunicazione brutta e piatta, e non serve inventare una pretestuosa accusa di razzismo. Per esempio, non ho visto nel programma relatori esperti di metodi naturali, che invece insegnano alla donna a conoscere il proprio corpo e a trovare indizi della propria fertilità, individuando i giorni, le ore addirittura, in cui c’è più possibilità di concepimento. Sono metodi naturali, ecologici, biologici al massimo, dovrebbero andare di gran moda anche fra i vegani estremi, invece non ne parla nessuno, per una serie di motivi, non ultimo quello che essendo naturali non costano niente e non fanno guadagnare nessuno, a differenza della costosissima Fivet. Ci sarebbe tanto da dire, per esempio che la via tracciata dall’Organizzazione Mondiale della sanità le cui direttive ci stiamo affrettando a osservare invita i bambini a esplorare il proprio corpo e la propria sessualità – leggi masturbazione et similia – mentre nelle scuole non si va mai a parlare di metodi naturali (scoppierebbe un putiferio), di castità (quella sì che previene le malattie sessualmente trasmissibili e aiuta la fertilità, perché se fai sesso solo dentro al matrimonio ti sposi giovane, quando la fertilità è al massimo).
Comunque. Ci sarebbe molto da obiettare, ma anche così è un bene che il tema fertilità sia stato almeno sollevato. Perché ha provato a ricordare un semplice, incontrovertibile, disarmante dato di natura. Il corpo della donna è fertile per un periodo di tempo limitato. Quando quel tempo è passato, non si può fare più niente. O meglio, per qualche anno ancora si può cercare di aggirare il problema con tecniche, sempre più sofisticate, ma costosissime in termini di soldi e di vite umane sacrificate nel tentativo. Dopo, neanche quello. C’era bisogno di ricordarlo? Sì, c’era bisogno, perché invece noi donne post ’68 siamo cresciute con l’idea che avremmo deciso noi quando avere dei figli, che ci saremmo liberate di questa schiavitù, che nessuno ci avrebbe messo limiti. Abbiamo pianificato le nostre vite pensando che prima avremmo costruito la vita professionale, poi avremmo pensato come incastrarci quella personale, credendo che tutto sarebbe andato magicamente a posto. Risultato: sono sempre più numerose quelle di noi che si trovano dolorosamente a fare i conti col fatto che il tempo è passato, e adesso è troppo tardi (dal punto di vista medico l’età migliore per avere bambini è tra i 20 e i 25 anni).
Per quelle che sono ancora in tempo, per quelle che stanno ancora programmando chi vogliono essere domani, è prezioso ricordare che ogni scelta ha dei costi. Non state solo rimandando, state dicendo di no alla vita. Buttatevi, un master è niente in confronto a un figlio, niente. Buttatevi, se il posto fisso non c’è fatevi aiutare, dai genitori, dai parenti, dagli amici; vedrete che rete incredibile di solidarietà si crea intorno a una giovane coppia con bambini. Buttatevi perché le energie che si riescono a trovare quando si devono far crescere dei figli sono inimmaginabili. Per chi sceglie diversamente, nessun giudizio, davvero. È così complicato capire qualcosa della nostra vita, figuriamoci di quella delle altre. Solo, sarebbe bene che fosse una scelta, che non si credesse alle balle dell’autodeterminazione. La natura ci mette dei limiti, e se ne frega altamente dei nostri desideri. È un dato di realtà, e con la realtà è bene fare i conti, se non si vuole soffrire troppo.