mercoledì 21 settembre 2016

Risposte a un cattolico perplesso

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Intervista di Camillo Langone a Costanza Miriano per Il Giornale
Sono un cattolico suonato, come certi pugili. Ho cominciato a barcollare dal famoso «Buonasera» pronunciato dalla loggia di San Pietro: buonasera lo può dire chiunque, da un Papa avevo bisogno di sentire uno squillante «Sia lodato Gesù Cristo»…
Da quel 13 marzo 2013 è stata una gragnuola di colpi: non sulla mia fede in Dio ma sulla mia fiducia nella Chiesa. Ogni chiacchierata aerea del Santo Padre, ogni dichiarazione di monsignor Galantino della Cei, ogni intervista ai cardinali Kasper o Marx o Schönborn mi ha lasciato almeno un livido.
Il colpo da KO mi è stato inferto dagli imam in chiesa, o meglio dai sacerdoti e dai vescovi d’accordo col fatto che religiosi islamici partecipassero, a capo ingiuriosamente coperto, fra l’altro, a messe cristiane. È successo perfino, a Santa Maria in Trastevere, che un imam intonasse il Corano dal pulpito, e così quella che doveva essere una manifestazione di solidarietà per il prete francese sgozzato in nome di Allah si è trasformata in occasione di propaganda per il libro che aveva messo il coltello nella mano dell’assassino. Quando un pugile è in difficoltà si aggrappa alle corde e io per non cadere ho deciso di aggrapparmi ad alcune persone di fede più strutturata, meno sentimentale della mia. La prima di queste è Costanza Miriano, che dall’uscita del suo long-seller Sposati e sii sottomessa spiega quanto bene può fare al matrimonio e alla vita quotidiana un cristianesimo concreto, e che è per me una sorta di madrina spirituale.
Camillo: Da quando un iman ha parlato nel Duomo di Parma, raccontando dal pulpito la balla di Maometto uomo di pace, io non vado più a messa nel Duomo di Parma: faccio bene o faccio male?
Costanza: Credo che sia giusto cercare un’appartenenza che ci somigli dentro la Chiesa. Tutto quello che ci aiuta nella ricerca di Dio, ma dentro la Chiesa, va bene. Nel merito, io non conosco abbastanza bene l’Islam, chi siano i wahabiti – sono loro il problema – se siano eretici o meno. Il punto però è che in chiesa non basta dire che cerchiamo di voler bene a tutti, ma va annunciata la Verità: proprio perché amiamo i musulmani noi desideriamo per loro la vera felicità. Quindi che si convertano a Dio Trinità.
Sento odore di proibito, di proselitismo.
È il primo dei comandamenti, cioè delle dieci parole che segnano la strada della felicità dell’uomo. Mi chiedo: ci crediamo noi, per primi, che l’unica felicità è in Dio? Ci crediamo che quella è la Verità, la Via, la Vita? Gesù ha detto di andare e predicare il vangelo a ogni creatura, perché il cuore di tutti è fatto per lui, e attraverso il battesimo – e solo attraverso quello – possiamo diventare suoi figli. Avere Dio come Padre, essere figli del Capo, di stirpe regale, che c’è di meglio nella vita?
In molte chiese sono spariti i banchi, hanno messo le sedie e quindi alla consacrazione nessuno si inginocchia più. Pensare che l’inginocchiarsi è prescritto dal Messale e, come scrisse Ratzinger da cardinale, “una fede o una liturgia che non conoscano più l’atto di inginocchiarsi, sono ammalate in un punto centrale”.
Guarda, io credo che la liturgia, i gesti del corpo, i paramenti, la musica, servano all’uomo, come mezzo. Sono un aiuto per elevare il cuore a Dio. Non è che a lui interessi se ci inginocchiamo o no, è a noi che serve farlo. In chiesa siamo davanti a un mistero troppo grande per il nostro cuore, Dio che ferma il tempo e la storia e attraversa lo spazio e viene davanti a noi col suo corpo e si fa pane. Ci sarà sicuramente qualche grande mistico che riesce a intuire un barlume di quel mistero anche tra le sedie e le schitarrate. Per noi normali servono aiuti esterni, che ci facilitino il raccoglimento, ci conducano a lui. Trovo del diabolico nella presunzione di uomini che pensino di non aver bisogno di aiuto per elevarsi a Dio.
Ho notato che davanti ai confessionali non c’è mai nessuno, mentre a prendere l’ostia c’è sempre la fila. Ma cosa succede? Mi sono distratto un attimo ed è stata introdotta l’autoassoluzione?
Se non vedi la fila durante la messa secondo me è un bene, perché la messa è troppo preziosa per perderne un secondo facendo altro. Io conosco però tanti sacerdoti che passano buona parte della vita in confessionale. Un mio amico prete ex rugbista dice che ci vuole più testosterone per stare otto ore in confessionale che per una partita di rugby. Poi, se tutta la gente che fa la comunione sia in grazia di Dio non so. Certo quello che percepisco come sentire comune è che si è perso il senso del peccato. Parlarne suscita insofferenza. L’uomo oggi crede di sapere lui come si fa. Dovremmo capire che il peccato non è qualcosa di cui un Dio becero tiene contabilità, ma è il nostro sbagliare mira. Siamo un proiettile che manca il bersaglio, quando pecchiamo. La confessione ci dà altre frecce, è una gran fortuna, è un lusso, è una cuccagna. Ogni nostra azione e parola e pensiero saranno giudicati, ma con una giustizia che non è umana: la nostra eternità sarà quella che ci scegliamo noi oggi con la nostra libertà. Dio è pazzo d’amore per noi, ma ha la nostra libertà più cara della nostra stessa salvezza, diceva Giussani.
Monsignor Galantino nell’ultima intervista rilasciata al Corriere ha un’altra volta maramaldeggiato sui morti di Charlie Hebdo, parlando di “gratuita volgarità” delle loro vignette. Perciò Giuliano Ferrara ha parlato del segretario della Cei come di un “vescovo indemoniato”, togliendomi le parole di bocca. Ma si può stare nella Chiesa come faccio io ossia disprezzando tanti esponenti del clero?
No, non si può. Bisogna amare i sacerdoti perché sono di Cristo, e perché ci permettono l’accesso a lui. Quando ci sembra che sbaglino dobbiamo pregare per loro e fare l’esercizio di ascesi di non parlare mai male di loro, neanche in casa. Puoi sfogarti solo con il tuo padre spirituale – è bene averne uno – perché certo un sacerdote che sbaglia a volte ci può far sentire confusi e la nostra fede deve sempre essere confermata dalla Chiesa, non ce la si può produrre da soli, fatta in casa.
Fra poco ricomincia la scuola. Mi sono giunte informazioni su scuole cattoliche dove ai bambini vengono insegnate “Bella ciao” e “Imagine”, una delle più irreligiose canzoni pop mai composte. Non ci si può più fidare nemmeno delle suore?
Confermo. Quando andai a cercare informazioni per il mio primo figlio e chiesi alla suora se avrebbero pregato lei si affrettò a rassicurarmi che assolutamente no, non lo avrebbero fatto, che stessi tranquilla. Allora ho preferito la scuola pubblica, preparandomi a fare un lavoro di controinformazione a casa, come poi sta avvenendo (anche se le maestre delle mie bimbe fanno il pellegrinaggio delle sette chiese di notte con noi). Ma, che vuoi, tante persone dentro la Chiesa, atterrite da una propaganda mediatica violentissima, hanno ormai la convinzione che affermare la fede sia offendere qualcuno. E vivono anche in una sudditanza culturale. Invece la fede cristiana porta l’uomo alle sue vette più alte. E il Vangelo è scientifico: funziona con precisione matematica. Tra quelle che conosco, solo le persone che provano a vivere secondo il Vangelo sono feconde e felici, nel senso più profondo. Il Vangelo è per tutti. Svuotarsi, morire, lasciarsi scolpire: tutti lo possono sperimentare. L’uomo che cerca se stesso è brutto, e produce cultura di infimo livello.
Io mi sento come i discepoli che nel Vangelo di Giovanni dicono: “Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto!”. Sono pessimista ma non ne vado fiero e perciò ti chiedo non retoricamente: tu nella Chiesa di questi ultimi tempi vedi qualche novità che potrebbe farmi cambiare umore?
Sì. Vedo tanti santi intorno a me. Vedo uomini e donne, laici – del Cammino, di CL, del Rinnovamento, dell’Opus Dei e di tante realtà più piccole, o anche semplici cattolici diocesani come me – che abbracciano le loro vite faticose, a volte tanto da richiedere l’eroismo. Persone che pregano, che fanno carità, che portano i pesi gli uni degli altri. Persone generosissime, che meno hanno e più sono capaci di dare. Famiglie davvero sante. Tra amici a volte ci chiamiamo la Compagnia dell’Agnello, e quando ne vedo uno anche se non so chi sia lo riconosco subito. E vedo anche sacerdoti e consacrate santi, grandi, bellissimi. Il meglio, di gran lunga il meglio dei cervelli che ci sono in circolazione.
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Lunedì prossimo la seconda intervista su Il Giornale