venerdì 23 settembre 2016

Rivoluzione Cristiana e “l’eclissi del cattolicesimo politico”

gianfranco rotondi

di Federico Cenci
La politica, in quanto specchio della società, racconta spesso i mutamenti in atto al di fuori degli edifici istituzionali in cui è rinchiusa. Ecco allora che la presenza sempre più minoritaria e frammentata dei cattolici in Parlamento, testimonia l’arretramento della dimensione pubblica della fede, nonché un processo di secolarizzazione che avanza in tutto l’Occidente, Italia inclusa.
A suonare un campanello d’allarme sul ridimensionamento del cattolicesimo politico è il senatore Gianfranco Rotondi, storico esponente democristiano e ministro per l’Attuazione del programma dal 2008 al 2011. Prendendo atto di quella che definisce una “eclissi del cattolicesimo politico”, Rotondi nel giugno scorso ha lanciato Rivoluzione Cristiana. Del partito di cui è fondatore e presidente ne parla nell’intervista che segue, dove affronta anche la questione dei “principi non negoziabili”, del Family Day, delle unioni civili, della crisi demografica e del voto cattolico ridotto a merce elettorale.
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Senatore,  partiamo da questa “eclissi del cattolicesimo politico” avvenuta alle elezioni amministrative di giugno…
Se si vanno a guardare gli eletti, ciò che balza agli occhi è l’assenza dei cattolici democratici, come amavamo definirci un tempo. È sparita l’Udc: a Napoli, dove la Dc prendeva la maggioranza assoluta, ha ottenuto un misero 1%. Nella stessa città partenopea, la lista di Rivoluzione Cristiana ha preso la metà di quei voti, insieme arriviamo dunque all’1,5%. Ho fatto l’esempio eclatante di Napoli, ma il quadro è analogo in tutta Italia. Il dato è che la Dc è lontana ed è lontano anche il cattolicesimo politico. Non sono rimasti nemmeno i “cespugli” dello scudo crociato (partiti nati dalle ceneri della Dc, ndr), su cui la seconda repubblica ha fatto tanta ironia.
Qualche segnale di questa eclissi si era forse già intravisto? In Parlamento la presenza cattolica uscita dalle ultime elezioni politiche è minoritaria e frammentata.
Come tutti coloro che provengono dalla scuola democristiana, io vedo male l’idea di una presenza cattolica in politica. La Chiesa non ha bisogno di questo, la Dc non era un partito cattolico e non lo fu nemmeno il Partito Popolare di don Sturzo, che era ancora più laico. Quando penso ai politici cattolici, la mente non corre alla prima repubblica bensì alla seconda. Negli ultimi vent’anni abbiamo avuto a sinistra e a destra espressioni di una presunta lobby cattolica che ha ridotto il voto cattolico al pari di quello dei tassinari, da scambiare col blocco di qualche provvedimento sgradito. C’è bisogno di dare rappresentanza a un elettorato, non di animare una presenza cattolica accarezzata al bisogno dai vari schieramenti.
È per questo che ha creato Rivoluzione Cristiana?
La scomparsa del cattolicesimo politico deve far partire una proposta. Non è poi detto che la soluzione dovrà chiamarsi Rivoluzione Cristiana, del resto le sigle cambiano. Dobbiamo farci carico del bagaglio culturale dei vari don Sturzo, Murri, De Gasperi, La Pira, Moro e chiederci se i valori del cattolicesimo politico possono ancora dire qualcosa all’uomo di oggi, costantemente connesso eppure sempre più solo. Dalla risposta a questa domanda può nascere un’ipotesi politica.
Ipotesi politica da esprimere nel centrodestra?
Non farei un discorso di schieramento. Anzitutto, come ho precisato, bisogna chiedersi se è ancora attuale il messaggio del cattolicesimo politico. Detto ciò, io dal ’95 vado affermando che non è a sinistra – nonostante oggi abbia dato alle istituzioni due democristiani come Renzi e Mattarella – che può radicarsi il cattolicesimo politico. E la mia convinzione non trova che conferme nel tempo: penso all’attuale rapporto privilegiato che il Pd matura con le banche e la finanza e registro che questo approccio è lontano da quello del cattolicesimo politico, di scuola sociale cristiana.
Se stiamo a una logica bipolare, escluso il centrosinistra, non resta che il centrodestra…
Onestamente nemmeno nel centrodestra vedo praterie in cui piantare il seme del cattolicesimo politico. Da un lato c’è Salvini che pone in contrapposizione Ratzinger con Papa Francesco, dall’altro c’è Forza Italia che si consegna ai socialisti. Dinanzi a questa realtà, Rivoluzione Cristiana potrebbe avere soltanto una relazione funzionale, alleandosi con lo schieramento politicamente meno lontano.
Ai tempi del pontificato di Benedetto XVI esistevano i “principi non negoziabili”, una sorta di bussola per i cattolici impegnati in politica. L’aver smesso di porre l’accento su quei principi, da parte della Chiesa, potrebbe aver contribuito all’eclissi cui Lei fa riferimento?
Io non vedo discontinuità tra Ratzinger e Bergoglio, se non comunicativa. È capzioso e anche perdente nel centrodestra il tentativo di fare di Benedetto XVI una bandiera politica. Noi dobbiamo svolgere un altro mestiere rispetto alla Chiesa. Io considero il cattolicesimo politico il “quinto vangelo”: siamo noi cattolici impegnati in politica a dover tradurre i valori cristiani in azioni concrete, non è il Papa che ce lo suggerisce. È stato sbagliato da parte dei cattolici della seconda repubblica agitare i “principi non negoziabili” per lucrare i voti dell’elettorato cattolico. È la negazione della Dc.
Gli ultimi due Family Day sembrano aver dato una ventata di vivacità politica al mondo cattolico. Lei cosa ne pensa?
Sono contrario al Family Day. La mistica della famiglia mi lascia piuttosto freddo, perché le responsabilità e il carisma sono sempre individuali. Anche a me non piace la legge Cirinnà, ma al contempo credo sia necessario da parte del legislatore affrontare la questione delle unioni civili. Questione che la stessa Dc si sarebbe posta. O meglio, se l’è posta, perché già nel 1982 all’interno del partito si parlava di questo tema.
Nel 2003 la Congregazione per la Dottrina della Fede aveva stilato un documento in cui si affermava che “il parlamentare cattolico ha il dovere morale” di esprimersi pubblicamente e votare contro le unioni civili. Aver manifestato contro la legge Cirinnà è dunque coerente con l’insegnamento della Chiesa…
Mi permetta una battuta: lo Spirito Santo non mise mano sulla preparazione di quel documento. Se nel 2003 l’allora maggioranza conservatrice in Parlamento avesse disciplinato le unioni civili, oggi non avremmo la Cirinnà. Anch’io provai a presentare, era il 2008, un testo che disciplinasse le coppie di fatto (i DiDoRe – Diritti e doveri di reciprocità dei conviventi, ndr), ma fu bocciato dai miei stessi alleati. Dietro questa opposizione vi era l’idea per cui assecondando la chiusura della Chiesa, avremmo blindato i voti cattolici. Quindi una mediazione democristiana fu impedita per un interesse elettorale contingente.
Si è detto freddo rispetto alla “mistica della famiglia”. Eppure in Italia è rigido l’inverno demografico e appare ancora timida l’azione del Governo per sostenere le famiglie e la natalità. Non è forse da qui che bisognerebbe rilanciare non solo il cattolicesimo politico, ma proprio il Paese?
Di fronte alla crisi demografica credo che il Governo non possa far nulla. La famiglia è stata ridimensionata da un approccio culturale che ha messo l’individuo al centro del suo piacere, attraverso una propaganda intrinsecamente anti-cristiana. È una mentalità che si è radicata, soprattutto in Italia, come dimostra il basso indice di natalità. È un lavoro culturale che va fatto, prima ancora che politico.
Allora da dov’è che bisogna ripartire?
Intanto dai credenti. L’eclissi del cattolicesimo politico può rappresentare un’opportunità per loro, perché si è aperto un grande spazio da sopperire. Questa fase di crisi, paradossalmente, può essere uno stimolo per le nuove generazioni.
Zenit