mercoledì 5 ottobre 2016

Dichiarazione comune di Sua Santità Papa Francesco e di Sua Grazia Justin Welby Arcivescovo di Canterbury



Dichiarazione comune di Sua Santità Papa Francesco e di Sua Grazia Justin Welby Arcivescovo di Canterbury 
Sala stampa della Santa Sede 
[Text: Italiano. English]

"Siamo diventati amici e compagni di viaggio nel peregrinare, affrontando le stesse difficoltà e rafforzandoci reciprocamente, imparando ad apprezzare i doni che Dio ha dato all’altro e a riceverli come propri, con umiltà e gratitudine."
Cinquant’anni fa i nostri predecessori, Papa Paolo VI e l’Arcivescovo Michael Ramsey, si incontrarono in questa città, resa sacra dal ministero e dal sangue degli Apostoli Pietro e Paolo. In seguito, Papa Giovanni Paolo II e gli Arcivescovi Robert Runcie e George Carey, Papa Benedetto XVI e l’Arcivescovo Rowan Williams hanno pregato insieme in questa Chiesa di San Gregorio al Celio, da dove Papa Gregorio inviò Agostino ad evangelizzare le genti anglosassoni. In pellegrinaggio alle tombe di questi Apostoli e santi Padri, Cattolici e Anglicani si riconoscono eredi del tesoro del Vangelo di Gesù Cristo e della chiamata a condividerlo con il mondo intero. Abbiamo ricevuto la Buona Notizia di Gesù Cristo attraverso le vite sante di uomini e donne, che hanno predicato il Vangelo in parole e in opere, e siamo stati incaricati, e animati dallo Spirito Santo, per essere testimoni di Cristo “fino ai confini della terra” (Atti 1,8). Siamo uniti nella convinzione che “i confini della terra” oggi non rappresentino solo un termine geografico, ma una chiamata a portare il messaggio salvifico del Vangelo in modo particolare a coloro che sono ai margini e alle periferie delle nostre società.
Nel loro storico incontro del 1966, Papa Paolo VI e l’Arcivescovo Ramsey hanno stabilito la Commissione Internazionale anglicana-cattolica al fine di perseguire un serio dialogo teologico che, “fondato sui Vangeli e sulle antiche tradizioni comuni, conduca a quella unità nella Verità per cui Cristo pregò”. Cinquant’anni dopo rendiamo grazie per i risultati della Commissione Internazionale anglicana-cattolica, che ha esaminato dottrine, che hanno creato divisioni lungo la storia, da una nuova prospettiva di mutuo rispetto e carità. Oggi siamo grati in particolare per i documenti dell’ARCIC II, che esamineremo, e attendiamo le conclusioni dell’ARCIC III, che sta cercando di avanzare nelle nuove situazioni e nelle nuove sfide della nostra unità.
Cinquant’anni fa i nostri predecessori hanno riconosciuto i “seri ostacoli” che ostacolavano la via del ristabilimento di una condivisione completa della fede e della vita sacramentale fra di noi. Ciononostante, nella fedeltà alla preghiera del Signore che i suoi discepoli siano una cosa sola, non si sono scoraggiati nell’avviare il cammino, pur senza sapere quali passi si sarebbero potuti intraprendere lungo la via. Grande progresso è stato compiuto in molti ambiti che ci avevano tenuto a distanza. Tuttavia, nuove circostanze hanno apportato nuovi disaccordi tra di noi, particolarmente a riguardo dell’ordinazione delle donne e di più recenti questioni relative alla sessualità umana. Dietro queste divergenze rimane una perenne questione circa il modo di esercizio dell’autorità nella comunità cristiana. Questi sono oggi alcuni aspetti problematici che costituiscono seri ostacoli alla nostra piena unità. Mentre, come i nostri predecessori, anche noi non vediamo ancora soluzioni agli ostacoli dinanzi a noi, non siamo scoraggiati. Con fiducia e gioia nello Spirito Santo confidiamo che il dialogo e il mutuo impegno renderanno più profonda la nostra comprensione e ci aiuteranno a discernere la volontà di Cristo per la sua Chiesa. Siamo fiduciosi nella grazia di Dio e nella Provvidenza, sapendo che lo Spirito Santo aprirà nuove porte e ci guiderà a tutta la verità (cfr Giovanni 16,13).
Le divergenze menzionate non possono impedirci di riconoscerci reciprocamente fratelli e sorelle in Cristo in ragione del nostro comune Battesimo. Nemmeno dovrebbero mai trattenerci dallo scoprire e dal rallegrarci nella profonda fede cristiana e nella santità che rinveniamo nelle tradizioni altrui. Queste divergenze non devono portarci a diminuire i nostri sforzi ecumenici. La preghiera di Cristo durante l’ultima Cena perché tutti siano una sola cosa (cfr Giovanni 17,20-23) è un imperativo per i suoi discepoli oggi, come lo fu allora, nel momento imminente alla sua passione, morte e risurrezione e alla conseguente nascita della sua Chiesa. Nemmeno le nostre divergenze dovrebbero intralciare la nostra preghiera comune: non solo possiamo pregare insieme, ma dobbiamo pregare insieme, dando voce alla fede e alla gioia che condividiamo nel Vangelo di Cristo, nelle antiche Professioni di fede e nella potenza dell’amore di Dio, reso presente dallo Spirito Santo, per superare ogni peccato e divisione. Così, con i nostri predecessori, esortiamo il nostro clero e i fedeli a non trascurare o sottovalutare questa comunione certa, sebbene imperfetta, che già condividiamo.
Più ampie e profonde delle nostre divergenze sono la fede che condividiamo e la nostra gioia comune nel Vangelo. Cristo ha pregato affinché i suoi discepoli possano essere tutti una cosa sola, “perché il mondo creda” (Giovanni 17,21). Il vivo desiderio di unità che noi esprimiamo in questa Dichiarazione Comune è strettamente legato al condiviso desiderio che uomini e donne giungano a credere che Dio ha mandato il suo Figlio, Gesù, nel mondo, per salvarlo dal male che opprime e indebolisce l’intera creazione. Gesù ha dato la sua vita per amore e risorgendo dai morti ha vinto persino la morte. I Cristiani, che hanno abbracciato questa fede, hanno incontrato Gesù e la vittoria del suo amore nelle loro stesse vite, e sono sospinti a condividere con gli altri la gioia di questa Buona Notizia. La nostra capacità di riunirci nella lode e nella preghiera a Dio e di testimoniare al mondo poggia sulla fiducia che condividiamo una fede comune e in misura sostanziale un accordo nella fede.
Il mondo deve vederci testimoniare, nel nostro operare insieme, questa fede comune in Gesù. Possiamo e dobbiamo lavorare insieme per proteggere e preservare la nostra casa comune: vivendo, istruendo e agendo in modo da favorire una rapida fine della distruzione ambientale, che offende il Creatore e degrada le sue creature, e generando modelli di comportamento individuali e sociali che promuovano uno sviluppo sostenibile e integrale per il bene di tutti. Possiamo, e dobbiamo, essere uniti nella causa comune di sostenere e difendere la dignità di tutti gli uomini. La persona umana è declassata dal peccato personale e sociale. In una cultura dell’indifferenza, muri di estraneazione ci isolano dagli altri, dalle loro lotte e dalle loro sofferenze, che anche molti nostri fratelli e sorelle in Cristo oggi patiscono. In una cultura dello spreco, le vite dei più vulnerabili nella società sono spesso marginalizzate e scartate. In una cultura dell’odio, assistiamo a indicibili atti di violenza, spesso giustificati da una comprensione distorta del credo religioso. La nostra fede cristiana ci porta a riconoscere l’inestimabile valore di ogni vita umana e ad onorarla attraverso opere di misericordia, offrendo istruzione, cure sanitarie, cibo, acqua pulita e rifugio, sempre cercando di risolvere i conflitti e di costruire la pace. In quanto discepoli di Cristo riteniamo la persona umana sacra e in quanto apostoli di Cristo dobbiamo essere i suoi avvocati.
Cinquant’anni fa Papa Paolo VI e l’Arcivescovo Ramsey si sono ispirati alle parole dell’Apostolo: “dimenticando ciò che mi sta alle spalle e proteso verso ciò che mi sta di fronte, corro verso la meta, al premio che Dio ci chiama a ricevere lassù, in Cristo Gesù” (Filippesi 3,13-14). Oggi, “ciò che sta alle spalle” – dolorosi secoli di separazione – è stato parzialmente risanato da cinquant’anni di amicizia. Rendiamo grazie per i cinquant’anni del Centro Anglicano a Roma, destinato ad essere un luogo di incontro e di amicizia. Siamo diventati amici e compagni di viaggio nel peregrinare, affrontando le stesse difficoltà e rafforzandoci reciprocamente, imparando ad apprezzare i doni che Dio ha dato all’altro e a riceverli come propri, con umiltà e gratitudine.
Siamo impazienti di progredire per poter essere pienamente uniti nel proclamare a tutti, nelle parole e nei fatti, il Vangelo salvifico e risanante di Cristo. Perciò riceviamo grande incoraggiamento dall’incontro di questi giorni tra così tanti Pastori cattolici e anglicani della Commissione internazionale anglicana-cattolica per l’unità e la missione (IARCCUM), i quali, sulla base di quanto vi è in comune e che generazioni di studiosi dell’ARCIC hanno accuratamente portato alla luce, sono vivamente desiderosi di proseguire nella missione di collaborare e nella testimonianza fino ai “confini della terra”. Oggi ci rallegriamo nell’incaricarli e nel mandarli avanti a due a due, come il Signore inviò i settantadue discepoli. La loro missione ecumenica verso coloro che si trovano ai margini della società sia una testimonianza per tutti noi, e da questo luogo sacro, come la Buona Notizia tanti secoli fa, esca il messaggio che Cattolici e Anglicani opereranno insieme per dar voce alla fede comune nel Signore Gesù Cristo, per portar sollievo nella sofferenza, pace dove c’è conflitto, dignità dov’è negata e calpestata.
In questa Chiesa di San Gregorio Magno, invochiamo ardentemente la benedizione della Santissima Trinità sul prosieguo dell’opera dell’ARCIC e dello IARCCUM, e su tutti coloro che pregano e contribuiscono al ristabilimento dell’unità tra di noi.
Roma, 5 ottobre 2016
Sua Grazia Justin Welby
Sua Santità Francesco
Testo in lingua inglese
Common Declaration of His Holiness Pope Francis and His Grace Justin Welby Archbishop of Canterbury
Fifty years ago our predecessors, Pope Paul VI and Archbishop Michael Ramsey met in this city hallowed by the ministry and blood of the Apostles Peter and Paul. Subsequently, Pope John Paul II with Archbishop Robert Runcie, and later with Archbishop George Carey, and Pope Benedict XVI with Archbishop Rowan Williams, prayed together here in this Church of Saint Gregory on the Caelian Hill from where Pope Gregory sent Augustine to evangelise the Anglo-Saxon people. On pilgrimage to the tombs of these apostles and holy forebears, Catholics and Anglicans recognize that we are heirs of the treasure of the Gospel of Jesus Christ and the call to share that treasure with the whole world. We have received the Good News of Jesus Christ through the holy lives of men and women who preached the Gospel in word and deed and we have been commissioned, and empowered by the Holy Spirit, to be Christ’s witnesses “to the ends of the earth” (Acts 1: 8). We are united in the conviction that “the ends of the earth” today, is not only a geographical term, but a summons to take the saving message of the Gospel particularly to those on the margins and the peripheries of our societies.
In their historic meeting in 1966, Pope Paul VI and Archbishop Ramsey established the Anglican-Roman Catholic International Commission to pursue a serious theological dialogue which, “founded on the Gospels and on the ancient common traditions, may lead to that unity in
truth, for which Christ prayed”. Fifty years later we give thanks for the achievements of the Anglican-Roman Catholic International Commission, which has examined historically divisive doctrines from a fresh perspective of mutual respect and charity. Today we give thanks in particular for the documents of ARCIC II which will be appraised by us, and we await the findings of ARCIC III as it navigates new contexts and new challenges to our unity.
Fifty years ago our predecessors recognized the “serious obstacles” that stood in the way of a restoration of complete faith and sacramental life between us. Nevertheless, they set out undeterred, not knowing what steps could be taken along the way, but in fidelity to the Lord’s prayer that his disciples be one. Much progress has been made concerning many areas that have kept us apart. Yet new circumstances have presented new disagreements among us, particularly regarding the ordination of women and more recent questions regarding human sexuality. Behind these differences lies a perennial question about how authority is exercised in the Christian community. These are today some of the concerns that constitute serious obstacles to our full unity. While, like our predecessors, we ourselves do not yet see solutions to the obstacles before us, we are undeterred. In our trust and joy in the Holy Spirit we are confident that dialogue and engagement with one another will deepen our understanding and help us to discern the mind of Christ for his Church. We trust in God’s grace and providence, knowing that the Holy Spirit will open new doors and lead us into all truth (cf. John 16: 13).
These differences we have named cannot prevent us from recognizing one another as brothers and sisters in Christ by reason of our common baptism. Nor should they ever hold us back from discovering and rejoicing in the deep Christian faith and holiness we find within each other’s traditions. These differences must not lead to a lessening of our ecumenical endeavours. Christ’s prayer at the Last Supper that all might be one (cf. John 17: 20-23) is as imperative for his disciples today as it was at that moment of his impending passion, death and resurrection, and consequent birth of his Church. Nor should our differences come in the way of our common prayer: not only can we pray together, we must pray together, giving voice to our shared faith and joy in the Gospel of Christ, the ancient Creeds, and the power of God’s love, made present in the Holy Spirit, to overcome all sin and division. And so, with our predecessors, we urge our clergy and faithful not to neglect or undervalue that certain yet imperfect communion that we already share.
Wider and deeper than our differences are the faith that we share and our common joy in the Gospel. Christ prayed that his disciples may all be one, "so that the world might believe" (John 17: 21). The longing for unity that we express in this Common Declaration is closely tied to the desire we share that men and women come to believe that God sent his Son, Jesus, into the world to save the world from the evil that oppresses and diminishes the entire creation. Jesus gave his life in love, and rising from the dead overcame even death itself. Christians who have come to this faith, have encountered Jesus and the victory of his love in their own lives, and are impelled to share the joy of this Good News with others. Our ability to come together in praise and prayer to God and witness to the world rests on the confidence that we share a common faith and a substantial measure of agreement in faith.
The world must see us witnessing to this common faith in Jesus by acting together. We can, and must, work together to protect and preserve our common home: living, teaching and acting in ways that favour a speedy end to the environmental destruction that offends the Creator and degrades his creatures, and building individual and collective patterns of behaviour that foster a sustainable and integral development for the good of all. We can, and must, be united in a common cause to uphold and defend the dignity of all people. The human person is demeaned by personal and societal sin. In a culture of indifference, walls of estrangement isolate us from others, their struggles and their suffering, which also many of our brothers and sisters in Christ today endure. In a culture of waste, the lives of the most vulnerable in society are often marginalised and discarded. In a culture of hate we see unspeakable acts of violence, often justified by a distorted understanding of religious belief. Our Christian faith leads us to recognise the inestimable worth of every human
life, and to honour it in acts of mercy by bringing education, healthcare, food, clean water and shelter and always seeking to resolve conflict and build peace. As disciples of Christ we hold human persons to be sacred, and as apostles of Christ we must be their advocates.
Fifty years ago Pope Paul VI and Archbishop Ramsey took as their inspiration the words of the apostle: “Forgetting those things which are behind, and reaching forth unto those things which are before, I press towards the mark for the prize of the high calling of God in Christ Jesus” (Philippians 3: 13-14). Today, “those things which are behind” – the painful centuries of separation –have been partially healed by fifty years of friendship. We give thanks for the fifty years of the Anglican Centre in Rome dedicated to being a place of encounter and friendship. We have become partners and companions on our pilgrim journey, facing the same difficulties, and strengthening each other by learning to value the gifts which God has given to the other, and to receive them as our own in humility and gratitude.
We are impatient for progress that we might be fully united in proclaiming, in word and deed, the saving and healing gospel of Christ to all people. For this reason we take great encouragement from the meeting during these days of so many Catholic and Anglican bishops of the International Anglican-Roman Catholic Commission for Unity and Mission (IARCCUM) who, on the basis of all that they have in common, which generations of ARCIC scholars have painstakingly unveiled, are eager to go forward in collaborative mission and witness to the “ends of the earth”. Today we rejoice to commission them and send them forth in pairs as the Lord sent out the seventy-two disciples. Let their ecumenical mission to those on the margins of society be a witness to all of us, and let the message go out from this holy place, as the Good News was sent out so many centuries ago, that Catholics and Anglicans will work together to give voice to our common faith in the Lord Jesus Christ, to bring relief to the suffering, to bring peace where there is conflict, to bring dignity where it is denied and trampled upon.
In this Church of Saint Gregory the Great, we earnestly invoke the blessings of the Most Holy Trinity on the continuing work of ARCIC and IARCCUM, and on all those who pray for and contribute to the restoration of unity between us.
Rome, 5 October 2016
His Grace Justin Welby
His Holiness Francis