giovedì 10 novembre 2016

Come si predica ai bambini



 Presentata una raccolta delle omelie e dei discorsi dell’arcivescovo Bergoglio

(Jorge Mario Bergoglio) Io ero rettore della Facoltà del Collegio Massimo ed ero anche parroco lì. Ero dunque rettore degli studenti gesuiti, gli “scolastici”, ed ero parroco. Facevo le due cose insieme. E dunque per questo chiedevo ai gesuiti in formazione di portare avanti il lavoro. Io davo le direttive. La parrocchia era piena di bambini. Gli studenti andavano a cercare i bambini per tutti i quartieri e loro arrivavano in tanti. Venivano al Collegio Massimo, che ha spazi molto grandi, e giocavano. Io dicevo sempre la messa dei bambini e il sabato insegnavo il catechismo. Non tutte le settimane perché non potevo, ma spesso. E così compivo il voto che sant’Ignazio fa fare ai gesuiti professi di insegnare ai bambini.
La messa dei bambini era la cosa più bella. […] Io recitavo. Io predicavo così. Per esempio la prima domenica di Quaresima chiedevo: «Il diavolo che cosa faceva con Gesù? Ha fatto questo perché voleva che Gesù si sottomettesse, voleva regnare lui, il diavolo». «Voi capite chi è il diavolo?» chiesi una volta molto infervorato. E i bambini, presi dall’emozione, urlarono facendo capire molto bene con parole e suoni quanto lui fosse cattivo e da tenere lontano. «E bambini state attenti» dicevo ai bambini «lui farà lo stesso con voi!». E finivo così. Poi, un’altra volta, a Pentecoste predicavo e chiedevo ai bambini: «Chi viene a Pentecoste?». I bambini si guardavano e dicevano: «Lo Spirito Santo!». E io, non soddisfatto, chiedevo: «E chi è lo Spirito Santo?». E chiesi a un bambino in fondo. E lui rispose: «Il paralitico»! Non riusciva a dire il «paraclito»! Ci divertivamo. Ridevo tanto. Io facevo il parroco soprattutto con i bambini. Poi non parliamo della festa dei bambini! In quella festa bruciavamo il diavolo. Era un modo per fare con i bambini la meditazione delle due bandiere di sant’Ignazio. Da una parte c’era il diavolo e dall’altra un angelo. Preparavo un diavolo grande fatto di stoffa e dentro mettevo dei petardi. Si faceva una catechesi. Poi per i bambini proiettavamo un film e le bambine invece andavano a giocare. Poi la merenda, e poi andavamo dal Collegio Massimo alla parrocchia. Andavamo come in processione. Tutti eravamo molto seri. I bambini lo sapevano e urlavano: «Bruciamo il diavolo!». Quindi si accendeva il fuoco. Tutti urlavano. Era un’esplosione di petardi! I bambini si divertivano. Era un teatro che li aiutava a imparare. Per me era un modo per far fare loro il terzo esercizio della prima settimana degli Esercizi spirituali. Sant’Ignazio in questo esercizio vuole stimolare la capacità di condannare il male e di suscitare odio verso il peccato. Ma non finiva così. Ognuno aveva con sé un biglietto con qualcosa che voleva chiedere a Dio. Si mettevano questi biglietti in una borsetta. E c’era un angelo grande grande fatto di polistirolo con tanti palloncini di elio. L’angelo portava un cartello con l’indirizzo della parrocchia. Si pregava. Dicevamo: «Abbiamo vinto il diavolo, e adesso preghiamo Dio che è nostro Padre». E liberavamo l’angelo che, grazie ai palloncini saliva, saliva. E poi tutti a pregare... mentre l’angelo saliva. La domenica dopo si chiedeva in giro se qualcuno aveva trovato l’angelo. Una volta, mi ricordo, era arrivato fino all’Uruguay e da lì hanno chiamato! Io facevo il parroco così. E poi confessavo tanto. Ero felice. Volevo fare il pastore. Soprattutto dei bambini.
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Una parola molto maltrattata  
C’è una parola molto maltrattata: si parla tanto di populismo, di politica populista, di programma populista. Ma questo è un errore. Ma popolo non è una categoria logica, né è una categoria mistica, se la intendiamo nel senso che tutto quello che fa il popolo sia buono o nel senso che il popolo sia una categoria angelicata. Ma no! È una categoria mitica, semmai. Ripeto: “mitica”. Popolo è una categoria storica e mitica. Il popolo si fa in un processo, con l’impegno in vista di un obiettivo o un progetto comune. La storia è costruita da questo processo di generazioni che si succedono dentro un popolo. Ci vuole un mito per capire il popolo. Quando spieghi che cos’è un popolo usi categorie logiche perché lo devi spiegare: ci vogliono, certo. Ma non spieghi così il senso dell’appartenenza al popolo. La parola popolo ha qualcosa di più che non può essere spiegato in maniera logica. Essere parte del popolo è far parte di un’identità comune fatta di legami sociali e culturali. E questa non è una cosa automatica, anzi: è un processo lento, difficile, verso un progetto comune.  
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Dimensione politica  
Tutto quello che noi facciamo ha una dimensione politica e riguarda la costruzione della civiltà. Si può dire che anche nel confessionale, quando dai l’assoluzione, stai costruendo il bene comune. Questa è politica grande. Bisogna avere in mente una politica grande, ampia. Questa non è la politica ideologica o la piccola politica della congiuntura, per quanto sia importante. La grande politica è quella che per il cristiano costruisce il regno di Dio. Non si può dire che i cristiani siano apolitici. I cristiani non devono essere apolitici. Basta leggere la Lettera a Diogneto per capirlo. Il cittadino è convocato ad associarsi in vista del bene comune nel dialogo con tutte le forze vive della società. Dobbiamo trovare nuove forme di dialogo e convivenza nelle nostre società pluraliste. Dobbiamo accettare e rispettare le differenze, dando spazio all’incontro e alla vicinanza. Ma quanti cristiani lavorano gomito a gomito con tanti altri per il bene comune: con fratelli di altre confessioni e gruppi religiosi, movimenti politici e sociali. Servono nuovi legami, una nuova coscienza di solidarietà al di là di qualsiasi frontiera religiosa, ideologica o politica. Il rapporto tra la chiesa e la pubblica piazza dunque va pensato e ripensato, ma la predicazione entra dentro questo: non è astratta dal bene comune. In questo senso l’omelia è sempre politica.
L'Osservatore Romano