mercoledì 23 novembre 2016

Il mistero della donna


mirianoQUANDOcover ridotta

La critica (!) di Michela Murgia al libro di Costanza Miriano alla trasmissione di Augias di oggi merita bene di andare alle fonti. Ma per inciso da quando la Murgia è diventata critica letteraria??? Mah! Col canone in bolletta c'è poco da fare. Sopportiamo...

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Estratto del primo capitolo di Quando eravamo femmine – Sonzogno 2016

di Costanza Miriano
Mie inarrestabili figlie, è colpa della vostra esagerata energia se la ginecologa, quando mise le mani sulla mia pancia, con voi due dentro, esclamò: «Senti! Non lo senti quanta vita c’è qui dentro? Due donne!» (No, sento solo dolore alle gambe e incapacità di digerire anche una camomilla.) Però è vero, c’era tanta vita. E più crescete più ce n’è (fuori dalla pancia, fortunatamente). Io vi guardo, vi ascolto, vi spio continuamente mentre non vi limitate a vivere con un po’ troppo entusiasmo ogni cosa – l’uscita di un film e la caduta spettacolare di un fratello, una torta che per caso non mi si brucia e un’amica che viene a casa, la merenda e la scelta di una maglietta, la preghiera e il duello a spade laser – e lo fate dal primo istante in cui aprite gli occhi – sempre troppo presto – fino alla sera quando, ubriache di parole biascicate, chiacchierate fino a svenire nel sonno. Voi, come ogni femmina che conosco, non vi limitate a vivere, fate anche la telecronaca della vita.
Guardo con tenerezza a questo vostro bisogno di dare i nomi alle cose, di ordinarle, ma soprattutto alla generosità con cui vivete ogni secondo, alla voglia che avete, inconsapevole ancora, di “riparare la vita”. Guardo a questa capacità di vita che avete. Capacità nel senso, etimologico, di spazio per contenere. Chiamiamolo grembo, utero, cuore, comunque sia è lo spazio interiore che ha ogni donna di accogliere e “risistemare” ogni cosa che la circonda. L’utero non serve a noi donne per vivere, è inutile ai fini del nostro organismo, ma è indispensabile alla nascita di una nuova vita. Chissà, forse anche voi un giorno sarete chiamate a questo, a far nascere un bambino, e prometto che, per quando sarò nonna, diventerò una persona normale. Oppure no, chissà, questo regalo di diventare madri vi verrà negato, succede, e sarete feconde in modo diverso. D’altra parte non si può certo dire che le tante amiche nostre che sono sposate con Gesù, come chiamate voi le suore, e quelle a cui figli naturali non sono venuti non siano fecondissime: con un lavoro di scavo in profondità, e poi di cesello, di pazienza, imparano a fare i conti con il vuoto del loro grembo e lo vivono non come frustrazione o carenza affettiva, non con senso di inferiorità, né tanto meno come qualcosa di inutile, o al contrario come una perdita che le costringa a essere supermaterne, accudenti al massimo nella speranza di essere utili, ma al contrario le loro viscere materne, se sono donne consegnate a Cristo, le rendono grembo per gli altri, fonti fresche di vita nella loro capacità di adattarsi alle situazioni, accogliere, trovare soluzioni, mediare. Penso a Luisa, che è così bella che neanche il suo abito riesce a nasconderlo.
D’altra parte, anni e anni di basket ad altissimi livelli lasciano tracce indelebili, ed è così esageratamente brava in tutto quello che fa, l’ingegnere e la suora (voi la vedete solo a messa, ma lei col velo va anche in cantiere), che la gente è attratta da lei come dal miele, e lei usa la sua bellezza per portare i cuori al Signore, e generare alla fede non è certo meno che partorire. Ha imparato a smettere di essere seduttiva, la nostra grande tentazione, ed è libera nella sua bellezza pacificata, come belle sono le sue consorelle Laura, che lavora nella comunicazione, e Manuela, medico, e l’altra Manuela, che parla mille lingue: il loro cuore è così fiammeggiante che se ti avvicini ti riscaldi, e voi lo sapete bene, perché chiedete sempre di vederle, voi che avete un radar sofisticatissimo per la falsità delle persone (come tutti i bambini, e per di più bambini di razza femmina, le più implacabili scovatrici di finzione su piazza) e volete stare il più possibile vicino a persone così belle. Penso ad Antonella, che non è suora ma quasi, perché fa il medico con dedizione monastica, e anche se non è mamma ha uno sguardo così umano sui pazienti, che quando smonta dal turno di notte spesso me ne scrive: sono sicura che li porta tutti con sé alla messa della mattina, e alcuni riesce anche a seguirli nel tempo, dopo che li ha dimessi (lo voglio anche io il dottore che viene a casa a chiedere come sto e mi porta la torta!). Antonella è innamorata, per esempio, dei due vecchietti sposati da sessantadue anni, con lui che le carezza i capelli e le chiude il golfino, e lei novantenne non esce mai di casa struccata (quanto alla moda, è come un orologio fermo, se rimani lì dopo un po’ fa il giro e tu ritorni attuale, quindi la vecchietta, come mi ha raccontato Antonella, aveva un cappottino matelassé perfetto, probabilmente fatto fare per festeggiare la vittoria di Bobby Solo a Sanremo).
Non è certo meno mamma di me, se trova sempre il modo di fare spazio a qualcuno nella sua vita già completamente sold out (ma si sa che chi ha più impegni è sempre quello che trova il modo di fare qualcosa in più, ed è il motivo per cui se devo chiedere una mano per prendere i figli a scuola la chiedo a Lucia, che avendone quattro non farà tanto caso se nel mucchio ce n’è qualcuno in più). Guardo anche in voi, mie piccole quasi donne, questo spazio interiore, questo vuoto. Lo guardo e lo riconosco, e tremo al pensiero di ciò che potrà significare nella vostra vita. Perché questo spazio e questa capacità, in definitiva questo profondo potere, potrà essere usato bene oppure male: anzi, sicuramente, mai solo bene e mai del tutto male. E per fortuna ci sarà poi chi potrà scrivere dritto anche sulle vostre righe storte.
[…]

da QUANDO ERAVAMO FEMMINE di Costanza Miriano  Sonzogno 2016