sabato 26 novembre 2016

Stroncature e altre violenze

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di Costanza Miriano
Se agganci un’idea assurda e contraria alla natura (uccidere tuo figlio nel grembo) a un’idea oggettivamente buona e incontestabile (combattere lo stupro) puoi far passare nel sentire comune, con qualche bella battaglia mediatica, pressoché di tutto. Così è successo, appunto, per le battaglie radicali per l’aborto, e pazienza se la storia di Jane Roe – quella che ottenne in Usa la storica sentenza –  era inventata, come poi è stato dimostrato. Chi mai può essere favorevole allo stupro? E così usi un caso estremo – anche falso – per innescare un cambiamento di mentalità epocale. Chi non vuole che le donne siano libere di eliminare i propri figli diventa automaticamente una persona a favore della violenza sulle donne.
Così è successo, per esempio, per la campagna che indusse le donne a fumare: una possente campagna pubblicitaria agganciò il fumo all’idea di emancipazione femminile, e pazienza se invece è un’altra schiavitù, a pagamento e dannosa per la salute. Così è successo per la legge sulle unioni civili: chi dice che i figli hanno diritto a un padre e una madre viene considerato contro le persone con tendenza omosessuale. Il passaggio è stato complicato, ci sono voluti anni di campagne mediatiche, ma quasi stanno riuscendo (la sola idea che in Parlamento si possa discutere una legge contro l’omofobia, una cosa che non esiste, ne è la prova).
Lo stesso trattamento è toccato a me: chi non si riconosce nelle battaglie femministe è a favore della violenza sulle donne. Ergo, sono stata denunciata in Spagna per istigazione alla violenza sulle donne, in Francia hanno raccolto firme per ritirare il mio libro dal mercato, e per ultima Michela Murgia ieri su rai 3 ha parlato del mio libro Quando eravamo femmine in occasione della Giornata contro la violenza sulle donne. Io vorrei sapere: quando mi sono occupata di questo tema, e in che modo è collegabile al mio libro? La Murgia non deve averlo letto, ho troppo rispetto per la sua intelligenza per pensare il contrario; infatti fa solo un fugace accenno alla prefazione, senza citarne una parola peraltro, e in modo del tutto disonesto. Dice che parlo della nobiltà dell’essere donna – che è un’espressione di Luisa Muraro, autrice cara al femminismo – e del tutto arbitrariamente, di sua iniziativa, la scrittrice sarda dice che io la contrapporrei a un’idea di donne “ignobili e non rispettabili”. Pretendo a questo punto la citazione esatta delle mie parole, perché io non mi sono mai sognata di pensare alle donne divise tra nobili e ignobili, caste e “poco serie”, feconde o sterili.
L’unica divisione che vedo è tra felici e infelici. E se mi sono presa la briga di scrivere dei libri (ovviamente la Murgia non cita Sposala e muori per lei, quanto a Obbedire è meglio lo cita male, perché quello non parla di donne ma di obbedienza, anche maschile, un concetto con cui un sedicente cattolico dovrebbe avere una qualche dimestichezza) è perché vorrei che tutte fossimo felici, e sono profondamente convinta del fatto che una donna è felice quando dà la vita, che sia biologicamente o meno. Una donna può fare tutto, presiedere CDA e Stati, ma non è lì che troverà la felicità. Vale anche per l’uomo, poi, perché “chi vuol salvare la propria vita la perde” funziona già da oggi, qui sulla terra. Solo che per le donne dare la vita ha in particolare questa accezione di fare spazio alla debolezza, alla fragilità. Dire questo non significa essere dalla parte della cultura maschilista (magari ce ne fossero di più, di uomini veri!), né invitare le donne a stare a casa. Se avesse perso tempo a leggere il libro la Murgia avrebbe visto che mi occupo moltissimo di conciliazione lavoro famiglia, anche perché ho quattro figli e un lavoro vero, più quello di scrivere che faccio di notte. Soprassiedo sulla balla che le donne siano pagate di meno a parità di mansione – non c’è un contratto collettivo di lavoro che lo provi – e dico solo velocemente che gli unici casi in cui le donne sono pagate di meno è quando c’è una contrattazione individuale, e questo spesso avviene perché le donne non sono pronte a rinunciare a tutto immolando la famiglia sull’altare del lavoro. Sempre perché la nostra vera felicità sta da un’altra parte (non cambierei la preparazione della merenda ai miei figli per un premio Nobel alla letteratura, un Oscar e un oro olimpico messi insieme).
Vorrei anche sapere, per concludere, dove avrei parlato di “uomini concepiti come infanti da rendere maturi”. Se è quando scrivo che la donna è come uno specchio per l’uomo, che gli mostra la bellezza e la grandezza possibili (Pavel Evdokimov), o che Dio affida l’umanità alla donna (San Giovanni Paolo II) o che la donna accompagna la vita quando è debole (Joseph Ratzinger) me ne divido volentieri la responsabilità con cotanti correi.
Infine, se l’obiettivo della manifestazione contro la violenza sulle donne di sabato prossimo a Roma è tutelare le donne che scelgono di avere figli, sono spiritualmente con loro (anche se sarò a Verona chiamata a parlare di donne dal Festival della Dottrina Sociale e da altri amici), ma se è come ha detto la Murgia anche per tutelare quelle che scelgono di non averne, no, non sono con loro, perché le donne che vogliono uccidere i loro figli già sono libere di farlo, purtroppo. (Che poi c’è la contraccezione e quindi essere “libere di non fare figli” non dovrebbe essere sinonimo di aborto, o la Murgia vuol dire che la contraccezione in Italia è vietata?) Ma chi combatterà al loro fianco quando dovranno convivere con il loro dolore, un dolore che non passa, non passa mai, ma cresce, e che si porta fino alla tomba?
Se i miei libri fossero un inno alla repressione delle donne, alla tristezza, all’insoddisfazione, non ci si riconoscerebbero tante donne, non così tante verrebbero a parlarne insieme alle presentazioni pubbliche, e anche se tra noi amiche la raccomandazione è sempre quella – “veniamo già menate” – vi svelo un segreto. Nessuna di noi subirebbe violenza in silenzio (quando ho raccolto confidenze in tal senso ho sempre consigliato di lasciare il tetto coniugale e chiedere aiuto), nessuna di noi si fa mettere i piedi in testa, tutte noi vogliamo entrare nella logica del servizio reciproco, sottomesse sì, ma come la Chiesa a Cristo, cioè a un Dio che pazzo di amore per noi, per noi è morto. La differenza tra maschio e femmina dunque non è un lasciapassare per sopraffazioni di nessun tipo, ma la via per entrare in una logica di servizio. Io non ti capisco, perché sei diverso da me, ma scelgo di fidarmi di te, perché so che mi vuoi bene, e non ti voglio uguale a me, non amo il riflesso di me in te, amo il tuo destino e voglio che si compia, perché tu sia sempre più te stesso. Questo è amore, altro che uguaglianza.