mercoledì 7 dicembre 2016

Tre parole chiave




Documento: Il Dono della vocazione presbiterale - Ratio Fundamentalis Institutionis Sacerdotalis (clerus.va)

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Il cardinale Stella spiega il nuovo documento sulla formazione sacerdotale.

(Nicola Gori) La formazione dei sacerdoti ha bisogno di essere «rilanciata, rinnovata e rimessa al centro». È uno dei motivi che hanno ispirato la stesura della nuova Ratio fundamentalis institutionis sacerdotalis che, a distanza di quarantasei anni dall’ultima, viene promulgata dalla Congregazione per il clero nella solennità dell’Immacolata Concezione. Il testo — distribuito nel volumetto allegato all’edizione odierna dell’Osservatore Romano — rappresenta uno strumento efficace e aggiornato per la «formazione integrale» del prete: una formazione «capace, cioè, di unire in modo equilibrato la dimensione umana, quella spirituale, quella intellettuale e quella pastorale, attraverso un cammino pedagogico graduale e personalizzato», come spiega in questa intervista il cardinale prefetto del dicastero Beniamino Stella.
Perché un nuovo documento per i futuri preti e quali sono le linee ispiratrici del testo? 
L’ultima Ratio fundamentalis risale al 1970, anche se nel 1985 c’è stato un aggiornamento. Nel frattempo, come sappiamo, soprattutto sotto l’effetto della rapida evoluzione a cui il mondo è oggigiorno soggetto, sono mutati i contesti storici, socio-culturali ed ecclesiali nei quali il sacerdote è chiamato a incarnare la missione di Cristo e della Chiesa, non senza provocare significativi cambiamenti relativi ad altri aspetti: l’immagine o visione del prete, i bisogni spirituali del popolo di Dio, le sfide della nuova evangelizzazione, i linguaggi della comunicazione, e altro ancora. Ci è sembrato che la formazione dei sacerdoti avesse bisogno di essere rilanciata, rinnovata e rimessa al centro; siamo stati incoraggiati e illuminati dal magistero di Papa Francesco, con la spiritualità e la profezia che contraddistinguono la sua parola. Il Pontefice si è rivolto spesso ai sacerdoti, ricordando loro che il prete non è un funzionario, ma un pastore unto per il popolo di Dio, che ha il cuore compassionevole e misericordioso di Cristo per le folle affaticate e stanche. Le parole e gli ammonimenti del Papa, alcuni dei quali riguardanti le tentazioni legate al denaro, all’esercizio autoritario del potere, alla rigidità legalista o alla vanagloria, ci mostrano come la cura dei sacerdoti e della loro formazione sia un aspetto fondamentale nell’azione ecclesiale di questo pontificato e debba diventarlo sempre di più per ogni vescovo e ogni Chiesa locale. 
Quali sono le novità della Ratio fundamentalis? 
Vorrei premettere che nella vita della Chiesa le novità non sono mai separate dalla tradizione. Al contrario, la integrano e la approfondiscono; quando ci si mette in ascolto dello Spirito Santo, cioè, si impara a guardare in avanti raccogliendo, però, il patrimonio esistente. Così, la Ratio fundamentalis ha ripreso i contenuti, i metodi e gli orientamenti prodotti finora nel campo della formazione, aggiornandoli e introducendo elementi nuovi. Nel documento rientrano le indicazioni offerte dalla Pastores dabo vobis, del 1992, circa una formazione integrale, capace cioè di unire in modo equilibrato la dimensione umana, quella spirituale, quella intellettuale e quella pastorale, attraverso un cammino pedagogico graduale e personalizzato. Sulla prima — la dimensione umana — c’è un accento particolare: non si può essere preti senza equilibrio della mente e del cuore e senza maturità affettiva, e ogni lacuna o problematica non risolta in questo ambito rischia di essere gravemente deleteria sia per la persona che per il popolo di Dio. Considerando l’esito positivo di un tempo propedeutico all’ingresso in seminario, sperimentato già da tempo in molte realtà locali, il testo ne sottolinea l’importanza e la necessità, ai fini di un’attenta verifica e selezione dei candidati. Sull’aspetto del discernimento vocazionale, poi, il testo insiste molto: i vescovi e i formatori hanno una grande responsabilità e sono chiamati a esercitare una perspicace vigilanza sull’idoneità dei candidati, senza fretta o superficialità. In tale direzione, la Ratio cerca di superare alcuni automatismi che sono venuti a crearsi in passato; la sfida è proporre un cammino di formazione integrale che aiuti la persona a maturare in ogni aspetto e favorisca una valutazione finale fatta in base alla globalità del percorso. Così, accanto alle già conosciute denominazioni, che suddividevano il cammino in “fase degli studi filosofici”, “fase degli studi teologici” e “fase pastorale”, sono state aggiunte “tappa discepolare”, “tappa configuratrice” e “tappa di sintesi vocazionale”, a ciascuna delle quali corrisponde un itinerario e un contenuto formativo, orientati ad assimilare l’immagine del buon pastore. In breve: per essere un buon prete, oltre ad aver superato tutti gli esami, occorre una comprovata maturazione umana, spirituale e pastorale. Penso sia superfluo aggiungere che altre piccole novità possono essere colte nel testo dal tipo di approccio alle questioni, dal linguaggio usato, dalla metodologia formativa proposta, dal respiro che, in generale, il documento riceve soprattutto dall’attuale magistero pontificio.
Ci sono alcune parole chiave per cogliere la visione di fondo della nuova Ratio? 
Ne sceglierei almeno tre. La prima è “umanità”. Penso che non insisteremo mai abbastanza sulla necessità che i seminaristi siano accompagnati in un processo di crescita che li renda persone umanamente equilibrate, serene e stabili. Solo così sarà possibile avere sacerdoti dal tratto amabile, autentici, leali, interiormente liberi, affettivamente stabili, capaci di intessere relazioni interpersonali pacificate e di vivere i consigli evangelici senza rigidità, né ipocrisie o scappatoie. La Ratio insiste sull’importanza di questo accompagnamento umano, che aiuti lo sviluppo della maturità della persona e garantisca nei candidati un buon equilibrio psico-affettivo. La seconda parola è “spiritualità”, che non bisogna mai dare per scontata. La coscienza dell’identità presbiterale va rifondata a partire da questo aspetto: il prete non è un uomo del “fare”, un leader, un organizzatore religioso o un funzionario del sacro, ma è un discepolo innamorato del Signore, la cui vita e il cui ministero sono fondati nell’intima relazione con Dio e nella configurazione a Cristo buon pastore. Solo così — coltivando la vita spirituale con disciplina e con tempi appositamente dedicati — potrà essere superata una visione sacrale o burocratica del ministero e potremo avere sacerdoti appassionati del Vangelo, capaci di “sentire con la Chiesa” e di essere, come Gesù, “samaritani” compassionevoli e misericordiosi. Direi che la terza parola è “discernimento”. Chi segue la via del Vangelo e si immerge nella vita dello Spirito, supera sia l’approccio ideologico che quello rigorista, scoprendo che i processi e le situazioni della vita non possono essere classificati attraverso schemi inflessibili o norme astratte, ma hanno bisogno di ascolto, dialogo e interpretazione dei moti del cuore. Il luogo privilegiato perché maturi l’arte del discernimento è certamente l’accompagnamento personale, soprattutto nella direzione spirituale. Si tratta di un ambito fondamentale, che richiede la sincera apertura dei candidati e la competenza e disponibilità dei formatori nell’offrire tempo e strumenti utili. Il discernimento è un dono che i pastori devono esercitare su se stessi e, ancor più, negli ambiti pastorali, per accompagnare e leggere in profondità soprattutto le situazioni esistenziali più complesse, per le quali spesso le persone a noi affidate sono segnate, appesantite e ferite. Parlando all’ultima assemblea della compagnia di Gesù, Papa Francesco ha manifestato su questo tema la sua preoccupazione: «Sto notando — ha detto — la carenza del discernimento nella formazione dei sacerdoti. Rischiamo infatti di abituarci al “bianco o nero” e a ciò che è legale. Siamo abbastanza chiusi, in linea di massima, al discernimento. Una cosa è chiara: oggi in una certa quantità di seminari è tornata a instaurarsi una rigidità che non è vicina a un discernimento delle situazioni». La sfida principale che la Ratiointende raccogliere ci viene suggerita ancora da Papa Francesco: formare preti “lungimiranti nel discernimento”. 
Cosa vorrebbe dire, come prefetto della Congregazione per il Clero, ai sacerdoti di oggi? 
Vorrei dire, per prima cosa, che la grande responsabilità affidatami nella conduzione del dicastero mi spinge ogni giorno a pregare per i sacerdoti. Tanti di loro, in un modo o nell’altro, passano dal dicastero; cerchiamo di accogliere, di ascoltare, di entrare in situazioni di vita e di ministero talvolta delicate, difficili o faticose. Allo stesso tempo, sappiamo che molti sacerdoti offrono la loro vita con generosità e dedizione per l’annuncio del Vangelo. A ciascuno vorrei dire soprattutto: non scoraggiatevi! Il Signore non viene mai meno alle sue promesse e, se vi ha chiamati, farà brillare la sua luce anche quando vivete l’oscurità, l’aridità, la fatica o l’insuccesso pastorale di un momento. Vorrei però raccomandare ai sacerdoti: non si spenga in voi la sana inquietudine che vi mantiene in cammino! Non trascurate la preghiera, curate la vostra vita interiore, rimanete disponibili a formarvi ogni giorno e lasciatevi sostenere e ammaestrare dalla vita pastorale e dal popolo di Dio. Dobbiamo restare vigili, come ci suggerisce questo tempo di Avvento, per non permettere che l’abitudine o la mediocrità affievoliscano il dono che il Signore ci ha fatto. Non abbiamo scelto a caso, per la pubblicazione, il giorno dell’Immacolata Concezione, perché come Maria, siamo chiamati ad attendere il Signore, accoglierlo e “partorirlo” al mondo intero, nella certezza che «quanti sperano nel Signore riacquistano forza, mettono ali come aquile, corrono senza affannarsi, camminano senza stancarsi».
L'Osservatore Romano