domenica 3 dicembre 2017

Vigilate!

17 11 28 candela natale

È necessario studiare da vicino la parola vegliare; bisogna studiarla perché il suo significato non è così evidente come si potrebbe credere a prima vista e perché la Scrittura la adopera con insistenza. Dobbiamo non soltanto credere, ma vegliare; non soltanto amare, ma vegliare; non soltanto obbedire, ma vegliare. Vegliare perché? Per questo grande evento: la venuta di Cristo.

Cos’è dunque vegliare?

Credo lo si possa spiegare così. Voi sapete cosa significa attendere un amico, attendere che arrivi e vederlo tardare? Sapete cosa significa essere in compagnia di gente che trovate sgradevole e desiderare che il tempo passi e scocchi l’ora in cui potrete riprendere la vostra libertà? Sapete cosa significa essere nell’ansia per una cosa che potrebbe accadere e non accade; o di essere nell’attesa di qualche evento importante che vi fa battere il cuore quando ve lo ricordano e al quale pensate fin dal momento in cui aprite gli occhi? Sapete cosa significa avere un amico lontano, attendere sue notizie e domandarvi giorno dopo giorno cosa stia facendo in quel momento e se stia bene? Sapete cosa significa vivere per qualcuno che è vicino a voi a tal punto che i vostri occhi seguono i suoi, che leggete nella sua anima, che vedete tutti i mutamenti della sua fisionomia, che prevedete i suoi desideri, che sorridete del suo sorriso e vi rattristate della sua tristezza, che siete abbattuti quando egli è preoccupato e che vi rallegrate per i suoi successi? Vegliare nell’attesa di Cristo è un sentimento di rassomiglianza a questo, per quel tanto che i sentimenti di questo mondo sono in grado di raffigurare quelli dell’altro mondo.

Veglia con Cristo chi non perde di vista il passato mentre sta guardando all’avvenire, e completando ciò che il suo Salvatore gli ha acquistato, non dimentica ciò che egli ha sofferto per lui. Veglia con Cristo chi fa memoria e rinnova ancora nella sua persona la croce e l’agonia di Cristo, e riveste con gioia questo mantello di afflizione che il Cristo ha portato quaggiù e ha lasciato dietro a sé quando è salito al cielo.

John H. Newman, La vie chrétienne, Paris 1904, pp. 353-356

Giotto, La speranza, Cappella degli Scrovegni, Padova.
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3 dicembre 2017
Prima domenica di Avvento 

di ENZO BIANCHI

Mc  13,33-37

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:" 33 Fate attenzione, vegliate, perché non sapete quando è il momento. 34 È come un uomo, che è partito dopo aver lasciato la propria casa e dato il potere ai suoi servi, a ciascuno il suo compito, e ha ordinato al portiere di vegliare. 35 Vegliate dunque: voi non sapete quando il padrone di casa ritornerà, se alla sera o a mezzanotte o al canto del gallo o al mattino; 36 fate in modo che, giungendo all'improvviso, non vi trovi addormentati. 37 Quello che dico a voi, lo dico a tutti: vegliate!".

Abbiamo appena terminato l’anno liturgico A, nel quale ci è stato proposto, come lectio cursiva domenicale, il vangelo secondo Matteo. Con questa domenica, prima del tempo delle venute di Cristo (Avvento), iniziamo la lettura del Vangelo secondo Marco che ci accompagnerà in questo nuovo anno liturgico (B).
Se Matteo nell’ultima domenica ci proponeva l’affresco della venuta del Figlio dell’uomo e del suo giudizio su tutta l’umanità (cf. Mt 25,31-46), oggi Marco pone ancora davanti ai nostri occhi la venuta del Figlio dell’uomo alla fine dei tempi e ci istruisce su come attendere quel giorno. Secondo l’evangelista più antico, la manifestazione gloriosa del Figlio dell’uomo avverrà dopo una tribolazione nella quale l’assetto attuale del mondo sarà sconvolto e avrà fine (cf. Mc 13,5-23). Allora tutta l’umanità sarà posta di fronte alla visione del Figlio dell’uomo veniente sulle nubi con grande potenza e gloria (cf. Mc 13,24-27Dn 7,13-14). Sarà un evento estrinseco alla storia e alla volontà umana, che realizzerà un decreto del Padre: il Figlio dell’uomo instaurerà per sempre il suo Regno e, attraverso i suoi messaggeri, radunerà i chiamati da lui. Visione apocalittica, rivelativa, le cui immagini devono evocare l’inenarrabile azione di Dio, che è e sarà sempre azione di salvezza e di liberazione.
La parusia, la venuta gloriosa, coinciderà con la fine dell’attuale creazione e l’avvento della nuova, un evento che avverrà certamente ma la cui ora non è conosciuta da nessuno se non da Dio, come Gesù afferma subito prima del nostro brano liturgico: “Quanto a quel giorno o a quell’ora, nessuno lo sa, né gli angeli nel cielo né il Figlio, eccetto il Padre” (Mc 13,32). Neppure Gesù li conosce, lui che, nella condizione di vero uomo in tutto simile a noi eccetto il peccato (cf. Eb 4,15), ignora e dunque non può dichiarare quell’ora che verrà improvvisa, sia che gli umani la attendano sia che non l’attendano. Certo, ci sono dei segni che possono ammonire, segni che richiedono un discernimento attento: come, osservando le gemme del fico, al loro gonfiarsi si può intravedere che l’estate è vicina, così i credenti, leggendo in profondità gli eventi della storia, possono comprendere che “il giorno del Signore” (jom ’Adonaj) è vicino e che il Figlio dell’uomo è alle porte (cf. Mc 13,28-31). E proprio affinché i discepoli attendano quel giorno ed esso non li colga all’improvviso, Gesù consegna loro un’ammonizione nella quale è contenuto anche l’abbozzo di una parabola.
Egli comincia dicendo: “State in guardia e vegliate”. All’inizio del discorso escatologico, e poi altre due volte prima di questa, Gesù ripete: “State in guardia” (blépeteMc 13,5.9.23). Qui lo ribadisce per la quarta volta, in modo dunque incalzante, unendo questo monito all’altro: “Vegliate” (agrypneîte; in modo analogo, con il martellante verbo gregoréo ai vv. 34, 35 e 37). Stare in guardia, attenti, e vegliare è un atteggiamento assolutamente necessario nella lotta, e la vita cristiana è una lotta, un combattimento contro l’intontimento spirituale, il letargo della consapevolezza, l’assopimento della convinzione nella fede, il raffreddamento della carità (cf. Mt 24,12). Altre volte nel vangelo secondo Marco Gesù richiama i discepoli a questa vigilanza per ascoltare la parola di Dio (cf. Mc 4,24), per non essere influenzati dal lievito dei farisei (cf. Mc 8,15), dall’ipocrisia degli scribi (cf. Mc 12,38), dall’inganno di quanti predicono il futuro come se lo conoscessero (cf. Mc 13,23). Egli vuole che i discepoli siano convinti della venuta gloriosa del Figlio dell’uomo, perché questo ormai è il solo evento che conta veramente e definitivamente nella storia. Anche l’Apostolo Paolo chiederà alla comunità cristiana questa vigilanza, questa capacità di stare svegli destandosi dal sonno, perché il giorno del Signore è vicino (cf. Rm 13,11). Il momento non è conosciuto, occorre dunque attenderlo per essere pronti ad accogliere il Veniente, il Signore stesso!
Ecco allora, di seguito, la breve parabola. Un uomo parte per un viaggio lontano dalla sua casa e, nel lasciarla, dà potere ai suoi servi e ordina al portinaio di vigilare. Detto questo, Gesù si rivolge direttamente ai discepoli, perché è chiaro che quella parabola li riguarda direttamente: presto egli partirà – sarà infatti catturato, condannato e ucciso – e i suoi discepoli resteranno senza di lui. Vi sarà dunque un tempo contrassegnato dalla sua assenza, ma i discepoli hanno ricevuto ciascuno una missione, un compito e c’è anche qualcuno che, come il portinaio, è chiamato a vegliare sull’intera comunità. Le responsabilità affidate sono diverse e certamente il portinaio (figura sotto la quale si può cogliere anche un’allusione a Pietro, che spesso Marco distingue dagli altri undici) ha un compito superiore a quello degli altri: a lui è stato dato molto e sarà richiesto molto di più (cf. Lc 12,48), perciò soprattutto lui deve stare in guardia sulla casa e sui servi lasciati in essa.
Si tratta dunque di vegliare, perché quell’uomo, il Signore della casa, verrà. Attenzione, non si dice che “ritornerà”, perché nei Vangeli mai si parla di “ritorno”, bensì di “venuta” del Signore. Egli è il Veniente (ho erchómenos), che sempre può venire: alla sera, a mezzanotte, al canto del gallo, o al mattino… le ore del sonno o del primo risveglio! Potrà venire alla sera, l’ora in cui proprio i tre discepoli più vicini a Gesù – Pietro, Giacomo e Giovanni –, chiamati a vegliare in preghiera per soffrire insieme a Gesù tentato nell’imminenza della sua passione e morte, dormivano (cf. Mc 14,32-42). Potrà venire all’ora del canto del gallo, quando Gesù sta davanti al sommo sacerdote ed è processato, mentre Pietro lo rinnega dicendo di non averlo mai conosciuto, come il Signore gli aveva anticipato (cf. Mc 14,66-72). Potrà venire all’alba, quando la tomba di Gesù si presenta vuota perché egli è risorto da morte, ma i discepoli restano increduli anche di fronte all’annuncio pasquale delle donne discepole (cf. Mc 16,1-11). Sono ore di rivelazione di Gesù, ore della sua venuta, eppure i discepoli, i Dodici, le hanno disertate tutte, e significativamente Marco mette in luce questi fallimenti, questa non vigilanza. Per questo saranno le donne a ricevere l’annuncio pasquale e l’ordine di andare a proclamare ai suoi discepoli e a Pietro che Gesù è risorto e li precede tutti in Galilea, là dove li aveva chiamati e dove aveva vissuto con loro: è una chiamata a ricominciare…
Vegliare nella notte, vigilare, stare attenti e in guardia, sono tutte espressioni che indicano ciò che compete a ciascun discepolo, in particolare a chi è chiamato a vigilare in modo particolare, essendo posto come sentinella sulla casa e sulla comunità del Signore. Queste sentinelle hanno anche il compito di tenere svegli gli altri, di impedire loro di assopirsi e dormire. “Sentinella, a che punto è la notte?” (Is 21,11), è la domanda che i cristiani rivolgono ai loro pastori, ma purtroppo a volte anche i pastori non vegliano e dormono, incapaci di rispondere alle attese di quelli che sono stati loro affidati.
E ciò che Gesù ha detto ai quattro discepoli sul monte degli Ulivi (i tre di cui sopra, più Andrea: cf. Mc 13,3), lo indirizza anche a tutti gli altri: “Quello che dico a voi, lo dico a tutti: vegliate!”. Ebbene, chiediamoci: noi cristiani, che vogliamo essere discepoli di Gesù, attendiamo ancora veramente la sua venuta? Siamo quelli che Paolo definiva “in attesa della manifestazione del Signore nostro Gesù Cristo” (cf. 1Cor 1,7)? Il grande Basilio di Cesarea ammoniva: “‘Che cosa è specifico del cristiano?’. ‘Vigilare ogni giorno e ogni ora ed essere pronti nel compiere pienamente la volontà di Dio, sapendo che nell’ora che non pensiamo il Signore viene (cf. Mt 24,44Lc 12,40)’” (Regole morali 80,22). E i padri del deserto, dal canto loro, arrivavano a dire: “Non abbiamo bisogno di nient’altro che di uno spirito vigilante” (Detti dei padri, collezione alfabetica, Poemen 135), perché sapevano e avevano sperimentato che la vigilanza è la matrice di tutte le virtù cristiane.
Il cristiano dovrebbe vivere la vigilanza anche vegliando nella notte, vivendo l’attesa nel suo corpo, nella sua carne, e non lasciandola relegata ai pensieri pii. Ma in ogni caso, il fine del vegliare, anche sottraendo ore al sonno, è l’acquisizione della consapevolezza di ciò che si è e della responsabilità che si ha nella compagnia degli uomini e nella comunità del Signore. Vigilare è vivere con i sensi svegli, resistendo all’intorpidimento spirituale, al venire meno della sovraconoscenza dataci dalla fede. Vigilare è aderire alla realtà ed essere fedeli alla terra, sapendo e affermando di essere sempre alla presenza di Dio, “tempio dello Spirito santo” (1Cor 6,19) e corpo del Cristo risorto nella storia. Vigilare è resistere allo spirito dominante e conservare la capacità di critica, per non piegarci al “così fan tutti!”.
Nella chiesa, il vescovo, colui che vigila (epískopos), non si dimentichi non solo di restare sveglio, ma di risvegliare anche quanti sono a lui affidati. Sì, fa parte del ministero episcopale svegliare i sonnolenti, affinché la loro fede sia rinsaldata e tutta la chiesa attenda il Signore veniente, unendo la sua preghiera all’invocazione dello Spirito, perché “lo Spirito e la sposa dicono: ‘Vieni!’” (Ap 22,17). Il lettore delle sante Scritture partecipi dunque a questa invocazione e la ripeta senza tregua, entrando con tutte le sue forze in quel dialogo che chiude l’intera Bibbia e avvolge l’intera nostra vita:
“Sì, vengo presto!”.
“Amen. Vieni, Signore Gesù!” (Ap  22,20).

I Domenica di Avvento. Anno B. Ambientale e Commento al Vangelo.




La vigilanza è non uscire dal presente, 
ma fare qui e ora la cosa giusta, 
come se si dovesse compierla sotto gli occhi di Dio.  

Benedetto XVI

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Nella prima Domenica di avvento la liturgia ci propone il Vangelo (Mc 13, 33-37) in cui Gesù invita a vegliare:
Dal Vangelo secondo Marco
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Fate attenzione, vegliate, perché non sapete quando è il momento. È come un uomo, che è partito dopo aver lasciato la propria casa e dato il potere ai suoi servi, a ciascuno il suo compito, e ha ordinato al portiere di vegliare. Vegliate dunque: voi non sapete quando il padrone di casa ritornerà, se alla sera o a mezzanotte o al canto del gallo o al mattino; fate in modo che, giungendo all’improvviso, non vi trovi addormentati. Quello che dico a voi, lo dico a tutti: vegliate!».
Questa prima parte dell’Avvento c’invita a prepararci alla venuta finale del Signore, la cosiddetta Parusia. Cristo la inaugura per ognuno di noi di fatto nel giorno della nostra morte, rinominato dai cristiani "Dies natalis", il giorno della nascita definitiva al cielo. Questo tempo ci esorta a contemplare le “cose ultime” che ci riguardano, quelle più importanti perché ineludibili: la morte, il Giudizio che ne seguirà, il premio del Paradiso e il rischio della condanna eterna. La parola chiave utilizzata dall’evangelista per superare con successo questi “esami finali” è vigilanza: siamo esortati a non dormire, a stare svegli! È una forma di reattività, di prontezza dell’anima per saper interpretare il linguaggio misterioso con cui Dio ci parla quotidianamente nei fatti che ci accadono, e per agire con la forza e la libertà di chi può amare. Quest’attitudine propriamente cristiana è frutto dell’ascolto della parola, della preghiera continua, della catechesi e della vita sacramentale. Prendere alla leggera questa esortazione equivale ad “addormentarsi dentro”, senza più percepire la presenza di Dio, rischiando l’insensibilità e la noia spirituale, fino all’avversione a Dio. Nell’Avvento, Cristo ci viene incontro con affetto e benevolenza per rigenerarci, rinnoviamo ogni giorno l’invocazione: "Vieni Signore Gesù!".

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COMMENTO

“Signore, tu sei nostro Padre; noi siamo argilla e tu colui che ci plasma, tutti noi siamo opera delle tue mani”: la ragione della vigilanza alla quale il Signore ci chiama in questa prima domenica di Avvento è racchiusa in queste parole.

Siamo una sua opera, “perché in lui siamo stati arricchiti di tutti i doni, quelli della parola e quelli della conoscenza”. Siamo ricchi, ecco perché è necessario “vegliare”. Chi ha una casa disadorna, senza tesori, non si preoccuperà di mettere allarmi, sbarre alle finestre e un cane ben addestrato in giardino. Chi invece ha beni ingenti a cui tiene molto si preoccuperà di difenderli in qualsiasi modo.

E noi, dice san Paolo, siamo stati arricchiti di tutti i doni! Non ci manca nulla, come recita il Salmo 23, perché il Signore è il nostro “Pastore”. “La sua destra ci ha piantati come figli che per Lui ha reso forti”.

Ci ha fondato sulla roccia della fede nella Chiesa, la “sua casa”, dove “la testimonianza di Cristo si è stabilita tra noi così saldamente che ci non manca più alcun carisma”.

Questa certezza intima dell’amore di Dio rivelato in Cristo è il dono più importante da custodire ad ogni costo, perché è proprio quello sottoposto agli attacchi più violenti.

Il demonio sa che se riesce a raffreddare la fede nei cristiani, scompariranno dal radar del mondo anche la speranza e la carità, trasformandolo così in un cimitero a cielo aperto.

Mai come in questa generazione la “casa” del Signore è assediata dal pensiero mondano, che mette in serio pericolo il deposito della fede, il tesoro più grande della Chiesa. Perché è la fede che vince il mondo!

Diceva l’allora Card. Ratzinger: “Quanti venti di dottrina abbiamo conosciuto in questi ultimi decenni, quante correnti ideologiche, quante mode del pensiero... La piccola barca del pensiero di molti cristiani è stata non di rado agitata da queste onde - gettata da un estremo all’altro… e si realizza quanto dice San Paolo sull’inganno degli uomini, sull’astuzia che tende a trarre nell’errore”.

E’ di questo che parla Gesù chiamandoci così seriamente alla vigilanza. “Non sappiamo”, infatti, quando il Signore “ritornerà, se alla sera o a mezzanotte o al canto del gallo o al mattino”. Tornerà e sarà come una notte di Pasqua, la notte delle notti, l'ultima, in cui tutti passeremo, per sempre al Padre.

Ciò significa che la vita intera, ogni giorno, è da vivere come una notte di Pasqua, un seno benedetto che gesta l'aurora della libertà. Ma lo viviamo così? Lui stesso se lo è chiesto, chiamandoci così a conversione: “quando il Figlio dell’uomo tornerà troverà la fede sulla terra?”.

Per far sì che Gesù trovi la fede quando verrà alla fine del mondo, come ogni giorno negli eventi della storia, come nella nostra vita, Gesù ha dato “il potere ai suoi servi, a ciascuno il suo compito, e ha ordinato al portiere di vegliare”, nella certezza che “le porte degli inferi non prevarranno mai”.

Per questo occorre “fare in modo che, giungendo all’improvviso”, non trovi i cristiani, tu ed io, “addormentati”, ovvero senza fede. Ma concretamente, quale è il modo per fare sì che il demonio non ci rubi la fede? C’è un solo modo, quello che la Chiesa ha sempre usato, sin dagli albori della sua storia: l’iniziazione cristiana.

In essa la Chiesa esercita il “potere” conferitole per accompagnare i cristiani sino alla fede adulta: “adulta non è una fede che segue le onde della moda e l’ultima novità; è una fede profondamente radicata nell’amicizia con Cristo. É quest’amicizia che ci apre a tutto ciò che è buono e ci dona il criterio per discernere tra vero e falso, tra inganno e verità. Questa fede adulta dobbiamo maturare, a questa fede dobbiamo guidare il gregge di Cristo. Ed è questa fede - solo la fede - che crea unità e si realizza nella carità” (Benedetto XVI). 

Per questo, la liturgia con la quale la Chiesa ci introduce nel nuovo Anno Liturgico è, prima di tutto, un invito a fare memoria al dell’opera di Dio nella nostra vita, perché i suoi prodigi, come invoca la Prima lettura, siano di nuovo realizzati; e perché si possa rinnovare lo zelo per camminare e crescere ancora, giorno dopo giorno, nella fede.

Se, approfittando delle difficoltà in famiglia, delle sofferenze e delle malattie, il demonio ci ha rubato il ricordo, arriva questo Avvento per guardare di nuovo alla nostra storia.

A “quando Dio compiva cose terribili che non attendevamo”. “Guardiamo con attenzione”, cominciando dai momenti nei quali ci siamo sentiti accolti così come siamo e perdonati sino in fondo. Inizia qui la “vigilanza”.

Apriamo gli occhi e rivediamo i fatti concreti nei quali abbiamo sperimentato la vita nuova muoverci verso l’altro per perdonarlo a nostra volta; sino a quando abbiamo visto il “potere” di Cristo dato ai suoi “servi” predicarci la Parola che ricostruito la nostra famiglia, e amministrarci i sacramenti nei quali, morto l’uomo vecchio nelle acque della sua misericordia, ci ha “svegliato” dai peccati ricreandoci come uomini nuovi.

Non a caso i verbi usati da Gesù non indicano l’azione di svegliarsi ma un modo di essere, lo stare svegli dopo essersi destati. In pratica ci sta chiamando ad essere l’opera che Lui ha creato: nella sua prima venuta è sceso agli inferi, ci ha destato mentre eravamo prigionieri della morte,e ci ha risuscitati con Lui. Ora si tratta di vivere secondo la Grazia ricevuta; come un “portiere”, “sveglio nella notte” che avvolge il mondo.

Come i portieri che Dio scelse per custodire la Tenda della Riunione: è santa la Chiesa, è santa la nostra vita: siamo stati scelti per la missione più grande, annunciare ad ogni uomo il Vangelo che abbiamo sperimentato. 

Per questo Gesù “dice a tutti” di “vegliare”, perché tutti, non solo i pastori, nella Chiesa sono inviati come “servi del Vangelo” e della fede; non possiamo perdere il sapore scendendo dalla Croce sulla quale ci ha uniti a sé, il posto migliore per vegliare, la garitta dove vigilare per discernere il kairos, il “momento favorevole” per l’annuncio capace di salvare chi ci è accanto. 


L'avvento è allora aspettare l’Amato stringendosi a Lui che, pur partito per un Paese lontano in un lungo viaggio, è già presente nel cuore. Aspettarlo operando la volontà del Padre che è la salvezza di ogni uomo, offrendo tutto se stessi per il suo compimento. Lui è già qui, non come una nostalgia sentimentale. Ecco perché l’attesa e la vigilanza sono un desiderio ben diverso da ogni altro, che nessuno e nulla se non Cristo può soddisfare. L'Avvento è amore che attende il suo compimento, ogni istante.

Il Signore ci chiama dunque ad essere desti nell’ascolto, nella preghiera, nella comunione con i fratelli. A “guardare con attenzione” senza distrarci dal mondo ormai così virtuale, mettendo a fuoco ogni insidia, nella buona battaglia della fede, custodendo la porta del cuore e delle labbra. Perché anche noi siamo la "casa" dei Signore, il Tempio del suo Spirito Santo.

A fissare tutto a trecentosessanta gradi, come una sentinella sempre sulla porta della famiglia e delle relazioni, della comunità e di ogni nostro luogo, attenti perché il demonio non vi entri con i giudizi, le invidie, le concupiscenze. E pronti ad aprirla al Signore che viene proprio quando non ce lo aspettiamo, forse nascosto nella parolina velenosa del coniuge o nella disobbedienza dei figli, per accoglierlo e amarlo nel fratello.

E’ vero, siamo deboli e contraddittori, “e come panno immondo sono tutti i nostri atti di giustizia”. Ma è ancor più vero, ne abbiamo la prova nella nostra esperienza, che Dio ci “renderà saldi sino alla fine, irreprensibili nel giorno del Signore nostro Gesù Cristo. Degno di fede è Dio, dal quale siamo stati chiamati alla comunione con il Figlio suo, Signore nostro!”.

sabato 2 dicembre 2017

Kiko Arguello: Annuncio di Avvento 2017. Estratti.

Nessun testo alternativo automatico disponibile.

"Sono stato malato e spero che ancora per qualche anno possa continuare con voi..
Il 25 gennaio faremo una convivenza mondiale per preparare l'incontro per i 50 anni del Cammino con il Santo Padre..
Sto facendo anche una nuova sinfonia da offrire al Papa e a tutti voi in quella occasione...


Canto: "Viene il Signore vestito di maestà"


Lettura: 2Tess. 2, 1-17


(...)

L'Avvento sottolinea un aspetto del Cristianesimo che è fondamentale: l'escatologia.
Dice san Bernardo di Chiaravalle, nell'Ufficio delle Letture del mercoledi della prima settimana di Avvento, che ci sono 3 venute di Cristo.....
Cristo viene alla nostra vita, ma non viene solamente glorioso nella sua seconda venuta, che sarà come un lampo nell'universo, si aprirà l'universo ed esploderà di luce e apparirà il Signore con i suoi santi. No, viene anche quando tu muori: allora la Chiesa ti invita, in questo tempo di Avvento, a riconsiderare l'incontro col Signore che avrai alla tua morte...
Tutti avremo un tempo, nella liturgia della nostra vita, in cui dovremo fare una riconsiderazione seria su come sta andando la nostra vita, e che possiamo morire, e dobbiamo prepararci all'incontro col Signore. Viene il Signore, viene alla nostra vita, viene per te, viene anche per me, viene!.


(...)

L'Avvento, in quanto sottolinea un aspetto della vita del cristiano che è l'escatologia, ci dice che noi dobbiamo essere sempre svegli, in piedi, gridando "Maranatha, Vieni Signore", vieni. La venuta del Signore, per noi cristiani, non è una cosa orripilante, o di cui dobbiamo avere timore, perchè il Signore ci ha fatto conoscere, attraverso il suo Spirito, il suo intimo, ciò che c'è dentro di Lui... E quando Lui verrà, tu vedrai che la tua anima è innamorata di Lui, lo vedrai, lo vedremo e la nostra anima si innamorerà di Lui di un amore grandissimo, perchè è Lui il creatore di tutto l'universo. Questo incontro sarà fantastico, perchè il Signore sta sperando che noi apriamo le porte della nostra anima e Lui possa entrare e farsi Uno in noi....

(...)

"Ah, se noi ci lasciassimo amare da Dio! Non è facile! Che dobbiamo fare per lasciarci amare dal Signore? Convertirci!
Faccio un esempio: c'è il tesoro del tempio e molti ricchi danno molti soldi, arriva una povera vedova e dà 2 monetine. Ma il Signore dice: "Vedete quella donna? Tutti hanno dato dei soldi che avanzavano loro, ma quella donna ha dato tutto quello che aveva per vivere". Con questo il Signore vorrebbe che voi oggi Gli diate la vostra vita, Gli diate le 2 monete, corpo e anima. DiciamoGli: "Signore, fà di me quello che vuoi, vorrei amarti e non ti amo. Come posso fare per amarti?".
Per questo è importantissimo l'Avvento, perchè è un tempo per pregare il Signore e soprattutto vivere la vita in questo atteggiamento, con questa attitudine escatologica, sapendo che moriamo, che andiamo al cielo: dobbiamo vivere guardando al cielo..
Per questo l'Apostolo dice:"Noi non fissiamo lo sguardo sulle cose visibili, ma su quelle invisibili. Le cose visibili sono d'un momento, quelle invisibili sono eterne". (2Corinzi 4,18).
Tutto questo mondo perirà.. Ma noi non siamo stati creati per perire, noi siamo stati creati da Dio per vivere eternamente in Lui, partecipi della Sua Gloria... Questo Mistero è impressionante.. Chi lo vive? Eppure è scritto lì nel Vangelo, come una Parola piena di fuoco, aspettando di realizzarsi profondamente in noi... "Padre, io in loro e tu in me, perchè siano perfettamente Uno e il mondo creda!". In chi si realizza questa parola?"


(...)


Il tempo dell'Avvento è meraviglioso: avete una comunità, ci alziamo al mattino presto per cantare al Signore, per pregare i salmi... Tanta gente si trova sotto il potere del demonio, della lussuria, dell'alcool, della secolarizzazione, dell'avidità di denaro...Quanto stretta è la via che conduce alla vita e quanto pochi sono quelli che vi entrano!!.. Spaziosa e larga è invece la via che porta alla perdizione... La porta stretta... Che cos'è? Dicono i Padri che la porta stretta è: l'accettazione totale della storia, delle scomodità della storia. Che cosa ti scomoda oggi? La vecchiaia? Che cosa ti fa soffrire oggi? Il carattere di tua moglie? I figli che non ti obbediscono? La mancanza di soldi? Ecco la porta stretta per la quale siamo invitati ad entrare per amore al Signore, perchè TUTTO concorre alla nostra santificazione...
La STORIA: noi vi abbiamo insegnato che l'essere cristiani si realizza non nel tempio, ma nella storia, rispondendo al Signore giorno per giorno, vivendo alla Sua presenza giorno per giorno, ora per ora, momento per momento, in Lui. "Sia che mangiate sia che beviate sia che facciate qualsiasi altra cosa, fate tutto per la gloria di Dio...", avendo una intimità con Lui, in costante preghiera.
Oggi avete vissuto nel Signore, alla Sua presenza, avete fatto la Sua volontà, siete stati contenti di essere umiliati, di avere qualche sofferenza da offrirGli?.....


venerdì 17 novembre 2017

Sabato della XXXII settimana del Tempo Ordinario



Sulla Via crucis di Gesù c’è anche Maria, sua Madre. 
I discepoli sono fuggiti, ella non fugge.
Ella sta lì, con il coraggio della madre, 
con la fedeltà della madre, 
con la bontà della madre, 
e con la sua fede, che resiste nell’oscurità: 
"E beata colei che ha creduto". 
"Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?.
 Sì, in questo momento Egli lo sa: troverà la fede. 
Questa, in quell’ora, è la sua grande consolazione.

Benedetto XVI

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Dal Vangelo secondo Luca 18,1-8

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli una parabola sulla necessità di pregare sempre, senza stancarsi: “C’era in una città un giudice, che non temeva Dio e non aveva riguardo per nessuno. In quella città c’era anche una vedova, che andava da lui e diceva: Fammi giustizia contro il mio avversario. Per un certo tempo egli non volle; ma poi disse tra sé. Anche se non temo Dio e non ho rispetto di nessuno, poiché questa vedova è così molesta le farò giustizia, perché non venga continuamente a importunarmi”.
E il Signore soggiunse: “Avete udito ciò che dice il giudice disonesto. E Dio non farà giustizia ai suoi eletti che gridano giorno e notte verso di lui? Li farà a lungo aspettare? Vi dico che farà loro giustizia prontamente.
Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?”.

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Sperare contro ogni speranza è il fondamento ultimo e primo della preghiera. Come quella della «vedova», con un «avversario» a stringerle la gola davanti ad un «giudice terribile»; non può appellarsi né alla giustizia umana visto che il giudice «non ha riguardo di nessuno», né al sentimento religioso perché il giudice «non teme Dio». Essa si confonde nell'immagine dell'inerme colomba che simboleggia Israele, la sposa del Signore così come appare nel Cantico dei Cantici: "O mia colomba, che stai nelle fenditure della roccia, nei nascondigli dei dirupi, mostrami il tuo viso, fammi sentire la tua voce, perché la tua voce è soave, il tuo viso è incantevole" (Ct. 2,14). La tradizione di Israele interpreta questo versetto alla luce della notte di Pasqua: "Quando il Faraone malvagio inseguì il popolo d'Israele, questo era simile a una colomba che era in fuga da un falco ed è entrata nella fessure delle rocce, e il serpente sibilava contro di lei. Se entrava, ecco il serpente, se usciva, ecco, c'era il falco" (Targum Shir Ha-Shirim 2:14). La preghiera della vedova è, essenzialmente, la voce dell'amata in difficoltà suscitata dall'Amato: è Lui che, innamorato e attirato da ciascuno di noi, desidera ascoltare la nostra voce, ci chiama e ci invita a «pregare incessantemente». La «necessità di pregare sempre e senza stancarsi» è la necessità dell'amore, perché per amare Cristo, non abbiamo che l'»insistenza» delle lacrime e della preghiera. E come è necessario amare per vivere, così pregare. Per questo il Signore conclude la parabola chiedendosi se, tornando, «troverà ancora la fede sulla terra», ovvero se troverà ancora amore nel cuore della Chiesa e di ciascuno di noi. Quando tutto ci sembra congiurare contro, la preghiera è il «linguaggio» della fede adulta. Laddove non possono le ragioni umane, può l'»insistenza» spinta al limite della resistenza altrui, come fanno i bambini quando si mettono in testa di farsi regalare il gelato o un nuovo giocattolo. La «Giustizia» nella Scrittura descrive il rapporto pieno e autentico con Dio, il permanere nella Verità. Questa vedova ha un avversario che le ha strappato o le vuole strappare questa vita santa, bella, giusta; per questo «non si stanca» nel rivendicare la misura di vita che corrisponde alla sposa di Cristo. Il verbo «enkakein» tradotto con «stancarsi», ha il significato di «cominciare a trascurare qualcosa» o «tralasciare un impegno a cui si è obbligati». La vedova sa di avere un avversario e di rischiare la vita, non trascurare la preghiera, la supplica, l'amore. Chi invece ha perduto questa coscienza si stanca e comincia a tralasciare l'impegno costitutivo della propria vita. 

Anche noi abbiamo lo stesso «avversario», il demonio, che prima ci inganna, seduce e spinge a peccare, e poi ci trascina «accusandoci» davanti al Giudice. Ma è proprio da questo tribunale che possiamo elevare il grido della preghiera, i gemiti inesprimibili dello «Spirito Paraclito», il nostro «avvocato» presso il Padre, lo Spirito del Signore Gesù che si è offerto per noi come «mallevadore». È Lui che, secondo il significato del termine, «impegnando sé stesso ed il proprio patrimonio», presta garanzia per ciascuno di noi, diventandone obbligato con i suoi stessi beni, con la sua vita. L'avversario non poteva immaginarlo: al solo pregare, Gesù si fa «prontamente» garante per noi presso Dio e il Giudice non può che ascoltare altrettanto «prontamente» un Avvocato che garantisce mostrando le sue stesse piaghe segno della sua vita offerta in riscatto. Per questo chiediamo con insistenza il compimento in noi della Giustizia della Croce. Pur essendo schiaccianti le prove contro di noi e siamo senza attenuanti - la moglie ha sofferto, i figli si sono sentiti perduti, l'amico è scappato, il fidanzato ferito... - per un miracolo impensato, la folle Giustizia di Dio ci scagiona facendo ricadere la colpa sull'Innocente che ha confessato un delitto mai commesso. "O immensità del tuo amore per noi! O inestimabile segno di bontà: per riscattare lo schiavo, hai sacrificato il tuo Figlio!" (Exultet di Pasqua). E' questa la Giustizia che trasforma un assassino in un santo, una vedova nella sposa più felice; la «giustificazione» che fa di noi i testimoni, come Abramo, della «fede sulla terra», che crede contro ogni evidenza, avviandosi ogni giorno al Moria, sino al ritorno del Signore. 

Notte dell'anima e fede solida... Estratti dai "Diari" di Carmen Hernandez.




Pensieri estratti dal libro...

28. Come poveretti sepolti… Signore, credo in Te, anche se sono abbattuta, triste. Fai bene tutte le cose. Grandezza nella tua creazione. Misterioso nelle tue opere. Tragica la vita dell’uomo. I problemi terribili nella Chiesa. Resta come unica risposta il tuo Regno sulla Croce. Gesù, Amore mio, misterioso, grande, unico, rallegra la mia vita. Vieni, Signore, vieni!
(Puebla de los Ángeles, 9 febbraio 1979)

90. Si smuovono tutte le fondamenta, Gesù mio, dentro di me. Resti Tu, solo Tu, Roccia imperitura, unica. Amore mio, sospiro la tua presenza, il tuo amore, la tua santità. Vieni, Amore mio. Tu conosci tutte le cose. Ti attendo, Spirito Santissimo, buono, consolatore. Ti amo. Vieni a me. Trasformami. Vieni, Gesù.
(14 maggio 1979)

113. Gesù, come potrò renderti grazie? Mi riempi di fortezza, di amore, di consolazione, di energia. Ti amo, Gesù mio. Mi circondi di beni. Grande, incommensurabile sei, Signore, unico, meraviglioso. Che allegria, Gesù. Mi rialzi, mi ridai vita, Gesù mio, mia Roccia, Amore mio. Ti amo.
(Santa Marinella, 8 agosto 1979)

115. Il tempo vola e non mi importa, perché mi ami e sento rinnovarsi la vita eternamente. Tu, Eterno, invincibile. Signore, Ti amo.
(Santa Marinella, 10 agosto 1979)


154. Mi duole il risveglio, la vita, il letto. Un profondo lamento ti chiama, ti cerca. Mi perseguita l’accusatore uccidendo in me ogni speranza, ogni futuro, e amareggiandomi il passato. Gesù, Gesù, Gesù, consolatore, difensore, perdonatore, gratuito, Ti voglio bene, Ti cerco, Ti amo. Strappami da questa tenebra. Vieni, Gesù. Vieni, Tu, Spirito Santo. E’ già notte. Dopo l’Eucaristia serenità. Gesu mio, quanto sto imparando dalla solitudine, sofferenza, fantasmi terribili. La verità e l’Altro, l’Amore. Gesù, Signore, vieni ad illuminare il risveglio. Tu, sei Tu l’Altro e mi ami. Grazie, Signore. Chi mi accuserà?
(12 gennaio 1980)

467. (…) Gesù mio, perdo tanto tempo a fumare e poco a stare con Te. Tu sempre sei con me. Gesù, poiché a Te tutto è possibile, liberami dal fumo! Ti amo (…) (Madrid, 21 gennaio 1981)

474. Gesù, mi sveglio cercandoti. Solo in Te c’è la ricostituzione, la serenità, il futuro. Tu solo sei. Aiutami, rallegra la mia vita. Insegnami a perdonare e a riconoscere il mio corpo di schiavitù e di peccato. Ti amo. Tu, “sopportatore” delle mie infedeltà, Tu sempre fedele, Ti amo. Aiutami. Incontro a San Martino con la terza comunità di Firenze. Gesù mio.
(Firenze, 28 gennaio 1981)

521. Riposo. Gesù mio, ho riletto l’anno passato, il 1979, per tutta la notte, e il 1980 uguale… è  malattia o ci sei Tu in tutta questa sofferenza? Lampi di sollievo in mezzo a questa oscurità. Gesù mio, libera il mio cuore! Gesù! Gesù, Gesù mio, sulle acque trafigga la tua voce il mio cuore. Tu, vittorioso sulle acque, invincibile, parlami! Vieni, fa’ splendere il tuo volto su questa notte della mia vita. Slegami. Gesù, giorno sereno, incredibile. Non lasciarmi tornare a ricreare attorno fantasmi. Mi ha fatto bene la quiete di questa mattina, Gesù mio. Breve è la vita dell’uomo. A pochi passi dalla morte e mi preoccupo ancora delle cose di quaggiù. Come sono stupida. Aiutami. Tu sei, Signore. Risuoni la tua voce nel mio cuore. Aiutami!
(Roma, 16 marzo 1981)

527. Preghiera nella notte oscura. Signore, “dal nemico maligno difendimi”. Tu sei, Signore, sveglia il mio orecchio alla tua voce: “Io Sono, Io sono. Non temere”. Tu sei, Signore. Io Ti ho visto. Ricordami la storia, la tua presenza, le tue apparizioni, la tua Parola incarnata tante volte in tutta la sua ricchezza e potenza. Se Tu non sei qui, tutto allora è menzogna. Mi si paralizzi la mano destra, se di te mi dimentico, Gerusalemme!. Difendi Kiko, Gesù mio.
(Arcinazzo, 22 marzo 1981)

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 di Alessandro De Carolis (Radio Vaticana)
“Quando tutto svanisce nel nulla e la notte nell’oscurità, l’anima si nutre del nulla. Signore dove? Come? Chi sei?”. Si apre con queste parole di profonda lacerazione interiore la prima pagina dei “Diari 1979-1981” di Carmen Hernandez Barrera, co-iniziatrice del Cammino Neocatecumenale, editi da Cantagalli e presentati ieri a Roma. Ma sono molte, tra le circa 800 annotazioni che seguono, a essere intrise di questi sentimenti in cui l’anelito all’onnipotenza di Dio, alla sua vicinanza che consola e sostiene, si scontra con la quotidiana impotenza personale, con l’umana debolezza propria e altrui.
“È come se Gesù Cristo le avesse fatto un deserto intorno”, spiega Kiko Argüello, il cui sodalizio con Carmen Hernandez ha permesso al Cammino di svilupparsi e diffondersi in 130 Paesi del mondo. Nel dialogo che l’autrice dei Diari tesse con Cristo si coglie quell’“amore sconfinato” che le ha permesso di condividere 50 anni di missione con l’iniziatore del Cammino senza mostrare “a nessuno – dice Kiko – la sua grande sofferenza interna”.
Ascolta e scarica in podcast l'intervista a Kiko Arguello:
 
I Diari, custoditi gelosamente da Carmen, sono stati rinvenuti dopo la sua morte, avvenuta il 19 luglio 2016. “Ti amo aiutami, non lasciare che la notte mi mangi l’anima”, scrive, quasi come un gemito, nel luglio del 1980. E due giorni dopo, uno squarcio di sereno: “Al ritorno dalla preghiera in montagna, mi viene un’idea di collaborazione e di rinnovamento”. Morte intima e risurrezione, così scorrono le giornate della massima corresponsabile del Cammino. Che quasi invariabilmente conclude i suoi pensieri con un ardente “Gesù mio ti amo”, nel quale è evidente un senso di affidamento ogni volta più forte della sofferenza che pure la tormenta.
Questo alternarsi di ombre e luci sono le due note su cui si snoda l’armonia di una innamorata di Cristo, spiega il cardinale arcivescovo di Vienna, Christoph Schönborn, intervenuto alla presentazione del volume. Una notte dell’anima che ricorda quella di Madre Teresa di Calcutta, osserva il porporato, colpito da una “sofferenza portata eroicamente attraverso un “amore stupendo a Gesù”.
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di Salvatore Cernuzio (La Stampa)
Era giusto pubblicare i diari di Carmen Hernández? Era giusto, cioè, mostrare così palesemente al mondo i limiti, le debolezze, le «lotte interiori ed esteriori» di una donna che è stata un punto di riferimento per centinaia di migliaia di persone? Questa domanda di fondo ha aperto ieri sera, all’Auditorium della Cei, a Roma, la presentazione del libro “Diari. 1979-1981”, il volume edito da Cantagalli che raccoglie 800 tra pensieri, annotazioni, commenti e appunti di viaggio della co-iniziatrice, insieme a Kiko Argüello, del Cammino neocatecumenale. 

La risposta è arrivata dall’arcivescovo di Vienna, il cardinale Christoph Schönborn, che ha detto: «Si, era giusto». E il motivo lo spiega Papa Francesco nella lettera inviata a Kiko dopo aver ricevuto il volume, ora pubblicata in apertura del libro: «Attraverso queste pagine si rende tangibile la testimonianza di un grande amore a Gesù, la cui luce trasforma la sofferenza in offerta, la stanchezza in allegria, la vita in un tempo per evangelizzare». 

Schönborn ha perciò voluto dire «grazie» a Carmen, scomparsa il 19 luglio del 2016, «per averci lasciato vedere un po’ il suo cuore, per averci mostrato le sue lotte interiori ed esteriori». Lotte che la Hernández affidava tutte a Gesù, suo «amico» e suo «sposo», in un dialogo incessante che proseguiva ad ogni ora del giorno e della notte. Lotte più banali come la pigrizia o la dipendenza dalle sigarette: «Tutto il giorno a fumare stupidamente», scriveva in un passaggio riletto dal cardinale. O le lotte con Kiko, che per circa cinquant’anni è stato suo compagno di evangelizzazione senza sosta in tutto il mondo, con cui a volte faticava a relazionarsi: «Questo Kiko tutto il giorno in azione…. è un terremoto di installazione… io vorrei solo sedermi con te in pace», si legge. Fino ad arrivare ai più profondi travagli interiori, ad una sofferenza dell’anima che l’ha accompagnata per decenni e che ora affiora in numerose varianti: incertezze, frustrazioni, complessi, sconforto, dubbi. 

Un vuoto che però Carmen ha saputo colmare con «l’amore incondizionato» al Signore, ha sottolineato Schönborn, e con una vita spesa per la missione. Per il porporato austriaco questi «schizzi», questi frammenti di vita messi nero su bianco che rammentano la «notte oscura» attraversata da tanti Santi - da San Giovanni della Croce a Madre Teresa - e che delineano un nuovo volto della co-iniziatrice dell’itinerario neocatecumenale, sono «perle» che «aiutano a capire profondamente come sia cresciuto il Cammino, cosa ha ispirato questo che da seme di senape è divenuto un tale grande albero». 

In particolare, ha aggiunto, «mi commuove quando parla del popolo di Dio. Carmen vede ciò che il Concilio ha detto. “Vedo un popolo che cammina verso la libertà”, scriveva. Non è questa la grande visione del Concilio?». Schõnborn ha perciò concluso: «Carmen ha contribuito in maniera decisiva al fatto che in tutto il mondo un popolo cammini verso la libertà, verso Gesù. Come non essere riconoscenti a Dio per questo dono?»
Mentre la scrittrice Costanza Miriano ha ricordato l’incoraggiamento di Carmen Hernández a sviluppare il “genio” di migliaia di donne, ricordando l’importanza del loro ruolo di custodi della «matrice della vita», da parte sua Kiko, messa da parte la visibile emozione, ha lasciato il posto ai ricordi personali. Ha quindi spiegato al folto pubblico - che vista la scarsa capienza dell’Auditorium si è sistemato in piedi, a terra, o in alcune salette con la diretta streaming - che «mai Carmen avrebbe accettato» di veder pubblicati i suoi diari. «È stata in un certo senso una violenza che ho fatto per amore ai fratelli del Cammino», perché - e ha ripetuto le parole della sua prefazione - «avete diritto di conoscere il cuore di Carmen, il suo immenso amore a Gesù Cristo. Nessuno di noi merita una sorella come lei». 

Nemmeno lui stesso: «È sorprendente che Dio abbia unito a una donna così eccezionale ad uno come me. A volte le chiedevo: “Carmen, chi sono io?”. “Un idota”, mi rispondeva”». «Leggere queste pagine - ha aggiunto Kiko - è stata per me una bomba, a volte anche una bastonata in testa. Ho detto: ma chi è questa donna? Cinquant’anni di sofferenza costante che mi ha tenuto nascosta. È come se Dio le avesse fatto una sorta di deserto intorno per avere amore solo a Lui. È emozionante». 

Argüello ha concluso condividendo alcuni ricordi del suo recente viaggio in Cina e in India, dove ha raccontato di aver «visto miracoli» e «incontrato persone felici». In particolare in Cina, ha annunciato, «siamo pronti per iniziare un neocatecumenato con la Chiesa ufficiale. L’ho detto a tanti vescovi e sacerdoti che ho incontrato e che erano entusiasti del Cammino: stiamo preparando 20mila sacerdoti per la missione. E al più presto cominceremo le catechesi nelle chiese di Pechino».  

L’incontro è terminato con una preghiera del “Padre Nostro” su richiesta di Kiko. Tutte le copie dei “Diari” venduti durante la presentazione sono andate esaurite; il ricavato sarà destinato al sostegno delle famiglie in missione nei cinque continenti.

Le famiglie in Missione del Cammino Neocatecumenale. Dal Perù alla Siberia...





Venerdì della XXXII settimana del Tempo Ordinario



Il dono totale di sé offerto da Cristo sulla croce sia per voi principio, 
stimolo e forza per una fede che opera nella carità. 
La vostra missione nella Chiesa e nel mondo 
sia sempre e solo «in Cristo», risponda alla sua logica e non a quella del mondo, 
sia illuminata dalla fede e animata dalla carità 
che provengono a noi dalla Croce gloriosa del Signore.

Benedetto XVI  

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Dal Vangelo secondo Luca  17,26-37  

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: “Come avvenne al tempo di Noè, così sarà nei giorni del Figlio dell’uomo: mangiavano, bevevano, si ammogliavano e si maritavano, fino al giorno in cui Noè entrò nell’arca e venne il diluvio e li fece perire tutti.  Come avvenne anche al tempo di Lot: mangiavano, bevevano, compravano, vendevano, piantavano, costruivano; ma nel giorno in cui Lot uscì da Sodoma piovve fuoco e zolfo dal cielo e li fece perire tutti. Così sarà nel giorno in cui il Figlio dell’uomo si rivelerà.  In quel giorno, chi si troverà sulla terrazza, se le sue cose sono in casa, non scenda a prenderle; così chi si troverà nel campo, non torni indietro. Ricordatevi della moglie di Lot.  Chi cercherà di salvare la propria vita la perderà, chi invece l’avrà perduta la salverà.  Vi dico: in quella notte due si troveranno in un solo letto; l’uno verrà preso e l’altro lasciato; due donne staranno a macinare nello stesso luogo, l’una verrà presa e l’altra lasciata”.  Allora i discepoli gli chiesero: “Dove, Signore?”. Ed egli disse loro: “Dove sarà il cadavere, là si raduneranno anche gli avvoltoi”. 

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Anche oggi ci siamo alzati, lavati, vestiti, abbiamo fatto colazione  e siamo saliti in macchina o in metropolitana diretti verso le cose di ogni giorno; forse qualche novità, un esame all'università, un appuntamento importante, comunque una giornata come le altre, sino all’istante in cui spegneremo la luce per addormentarci. Ma se su questo giorno si stendesse, improvvisa, la coltre della “notte” e dovessimo morire? Sarebbe tutto perduto, finito? Moriremmo con la vita troncata a metà, affamati come se ci avessero scacciato da un banchetto dove abbiamo potuto “mangiare” solo qualche antipasto e “bere” appena un paio di aperitivi? Ci sentiremmo frustrati dopo aver faticato invano per “comprare” affetti, delusi per non aver fatto in tempo a “costruirci” la carriera, basiti con i semi di un amore appena “piantati” e non ancora fioriti, sorpresi a cercare di “vendere” di nuovo e in un altro modo la nostra immagine? Salperemmo con l’ira di chi si crede vittima di una colossale ingiustizia? Eppure è quello che sperimenteremo proprio oggi. Ogni giorno, infatti, puntuali arrivano parole impreviste che ci umiliano, altri sono pronti a prendere decisioni inaspettate che stravolgono i nostri piani, le incomprensioni e i giudizi graffiano all’improvviso le relazioni a cui più teniamo; e, pur ribellandoci e lottando, coliamo a picco, perché non ci rendiamo conto che anche oggi, come sarà quello della morte per ciascun uomo e l’ultimo per il mondo, è il “giorno in cui il Figlio dell’uomo si rivelerà”. 

Il Signore, infatti, invia ogni giorno “Noè” a preparare davanti a tutti un’arca sulla terra ferma quando sembra splendere il sole, mentre Lot, accanto a noi, è in fuga da tutto quello che ci rapisce cuore e mente. E’ la Chiesa, posta nel mondo come un segno di contraddizione. I suoi figli, come Noè, sono stati scelti per restare ogni istante nell’ “arca” della vita nuova, in attesa del Signore; come Lot, fuggono dall’ipocrisia del mondo vivendo nella verità e nella libertà ogni rapporto. Non temono la morte, perché hanno dentro la vita che non muore. Nulla li sorprende, perché nulla è improvviso per chi ha la certezza che neanche la più grande sofferenza, il fallimento più atroce, potrà separarli dall’amore di Dio “rivelato” in Cristo Gesù. Non dobbiamo far nulla di speciale, solo ci è chiesto di obbedire come il Popolo di Israele nella “notte” di Pasqua: abbandonare in fretta le “nostre cose”, le zavorre affettive e gli idoli che non ci hanno saziato, senza “voltarci indietro” come la moglie di Lot, con il cuore ancora a Sodoma, perché ne resteremmo di nuovo intrappolati. E lasciarci umilmente liberare dal sangue di Cristo, ungendo con il suo perdono gli stipiti della nostra vita, perché nella “notte” che arriva, il peccato e la morte non ci lascino prede degli “avvoltoi”. Anche oggi, infatti, “due” uomini e “due” donne faranno le stesse cose, quelle di ogni giorno; uno “perdendo la vita” e l’altro “cercando di salvarla”, uno, secondo il significato dei termini greci originali, “offrendo la vita” e l’altro restandovi “attaccato”.