venerdì 27 gennaio 2017

Evidenza di Dio



Nell’educazione della mente. 

(Inos Biffi) Se Dio esista o non esista è la questione veramente fondamentale, quella da cui nella vita dell’uomo tutto dipende. In realtà, a ben rifletterci, non è propriamente una questione, dal momento che la sua verità sporge e si impone con evidenza. Non parlerei per questo di idea innata, ma di constatazione incontestabile non appena l’uomo si applichi alla riflessione e si metta a pensare.Procediamo per gradi. Il non essere è inavvertibile: se l’uomo fosse circondato dal nulla, se nulla di esistente lo stimolasse, resterebbe in una paralizzante e spenta immobilità. L’esperienza invece attesta il contrario. La sua coscienza si trova svegliata e stimolata da tutto un mondo che, si potrebbe dire, sporge sul non essere, che fissa la sua attenzione e reclama il suo riconoscimento.
Una considerazione sul non essere è posteriore, in ogni caso, a quella sull’essere. Del resto, propriamente parlando, il non essere non può rappresentare un oggetto di pensiero, dal momento che senza oggetto non avremmo neppure il pensiero. 
Da questo profilo non sarebbe infondato parlare di stato “estatico” provato dall’uomo nel suo primo incontro con ciò che esiste: sorgono in lui, a questo primo contatto, sentimenti di stupore, di ammirazione e di gioia. 
Ma l’itinerario della mente umana non si ferma a questa globale percezione dell’essere circostante, che potrebbe equivalere a una percezione dell’essere diffusamente espanso e quindi panteisticamente inteso. 
A una più lucida e argomentata riflessione, avvertiamo l’esistenza di un essere imprescindibile, dimostrato e argomentato, pur non adeguatamente percepito, che costituisce il principio assoluto degli esseri relativi o degli enti, che pullulano intorno a noi, che sono oggetto confacente e proporzionato alla nostra facoltà conoscitiva. 
A questo punto la meraviglia e la soddisfazione non solo non scompaiono, ma accrescono col vedere emergersi da «lo gran mar de l’essere» (Dante Alighieri, Divina CommediaParadisoi, 113) un essere personale, quale causa increata e fondamento stabile di tutto ciò che esiste.
Affermare il primato del nulla significherebbe fare violenza e contraddire l’esperienza umana primaria; significherebbe, cioè, sottrarre la condizione e la premessa indispensabile di quanto avviene col primo risveglio dell’uomo, ossia il suo accorgersi di esistere, un accorgersi senza del quale tutto resterebbe in uno stato di totale paralisi, contrariamente a quello che l’uomo inconfutabilmente constata e cioè che la realtà gli si presenta, svolgendosi e dipanandosi intorno a lui.
Com’è noto, nel mondo dei dotti — un po’ artefatto rispetto a quello delle persone comuni e normali — si va parlando di crisi della metafisica o crisi dell’essere. Ma, a ben vedere, nell’istante stesso in cui l’essere viene negato o problematizzato, in realtà lo si afferma e lo si riconosce. Solo per fantasia, che è poi una contraddittorietà, si può proclamare che l’essere non c’è. Se veramente non ci fosse, neppure si potrebbe dichiararne la non esistenza; cioè neppure il suo non essere potrebbe essere affermato e ritenuto vero.
Eppure avviene così. A dispetto della criticità che si vuole affermare come pregiudiziale assoluta del pensare, ci si comporta nella maniera più clamorosamente contraddittoria. 
Appare da qui la necessità di formare e maturare l’intelligenza, abituandola all’ascolto, all’apertura, all’incontro e quindi alla contemplazione della realtà.
Da questo profilo potremmo parlare di educazione religiosa o teologica “naturale” della mente, nella certezza che — raggiunto l’assesto teologico o il giusto rapporto con Dio — le altre relazioni sono poste fondamentalmente nella condizione di sistemarsi e di articolarsi ordinatamente, anche se si richiederà sempre un alto e analitico impegno mentale.
Un modello incomparabile dello svolgimento di questo impegno ce lo ha lasciato Tommaso d’Aquino, che, riconosciuto il valore di tutta la realtà e di ogni suo frammento, ne ha fatto oggetto di analisi penetrante, per altro in obbedienza con quanto è incluso nell’originario comando di Dio: «Crescete e moltiplicatevi» (cfr. Genesi 1, 28), e con l’esito di far emergere la luminosità dell’universo che Dio ha creato, lasciandovi l’impronta del suo beatificante splendore.
Non per nulla riteniamo beati i teologi, chiamati già da quaggiù a scorgere e a fissare con occhio più penetrante la luce di Dio. 
L'Osservatore Romano