mercoledì 25 gennaio 2017

Giungla di città



La realtà urbana e ciò che oggi ci chiede. Nella zuffa in città si può vedere il bene

Avvenire

(Marco Impagliazzo) Zygmunt Bauman ci ha aiutato a leggere la realtà contemporanea, il mondo in cui viviamo, come un grande scenario 'liquido', in cui l' orizzonte è a breve termine, l' obiettivo è viaggiare leggeri, il riferimento è l' individuo, l' incertezza e la paura la fanno da padroni. L' orizzonte dell' uomo contemporaneo è oggi la città. La Conferenza degli episcopati latinoamericani all' assemblea di Aparecida del 2007 affermava: «La fede ci insegna che Dio vive nella città, in mezzo alle sue gioie, ai suoi desideri e alle sue speranze, come anche in mezzo ai suoi dolori e alle sue sofferenze».
Luogo degli uomini e di Dio, intreccio di bene e di male, la città è contraddittoria, percorsa da fremiti differenti, abitata da sentimenti a volte contrapposti. Ben lo vediamo in questi giorni di grande freddo, quando l' indifferenza di vaste realtà anonime è sfidata da un moto di solidarietà trasversale, che vede migliaia di cittadini portare coperte, sacchi a pelo, pasti e bevande caldi, accoglienza alle vite 'scartate', ai tanti senza fissa dimora per cui 'non c' è posto' né riparo. In tanti si sono dati da fare in questi giorni per supplire alla scarsità di risposte pubbliche. In tanti hanno sentito di appartenere a una comunità di destino, hanno scelto di vedere gli invisibili e di essere più 'cittadini' e solidali, realizzando quanto l' arcivescovo Jorge Mario Bergoglio aveva scritto qualche anno fa: «Se partiamo dalla constatazione che l' anti-città cresce con lo sguardo e che la più grande esclusione consiste nel non riuscire neanche a 'vedere' l' escluso - quello che dorme per strada non viene visto come persona, ma come parte della sporcizia e dell' abbandono del paesaggio urbano, della cultura dello scarto, del rifiuto - la città umana cresce con lo sguardo che 'vede' l' altro come concittadino. In questo senso, lo sguardo della fede è fermento per uno sguardo civico» (Dio nella città, Ed. San Paolo). La città di oggi è il laboratorio di una nuova società, quella del millennio che avanza, di una globalizzazione che fa perno sull' urbanità. È un mondo complesso, quello che si va disegnando. In cui convivenza ed esclusione si affrontano, in cui massificazione e solitudine si sfidano. In cui si tratta di garantire una tenuta sociale originale, non più cementata dalle classi sociali o dalle ideologie. In cui occorre tessere legami di condivisione e di speranza tra soggetti più distanti e diversi che in passato. In cui è necessario gettare ponti verso una 'periferia diffusa' che non è solo la cintura urbana delle grandi metropoli. Nelle tante periferie di Roma, che conosco meglio, sono scomparsi i corpi intermedi, la gente è sola. «Chi orienta più la gente di periferia in un mondo complicato?'», si è chiesto Andrea Riccardi. È un lavoro lungo, non facile. Ma penso a quanto scriveva il giovane David Maria Turoldo nel luglio 1946: «Dio si è incarnato e abita fra noi. È un errore pensare che Dio è lontano, che abita in un' altra città: di città ce n' è una sola; egli dimora fra queste mura. È qui, dentro questa periferia che è come un cerchio di fuoco dove si azzuffano angeli e uomini. La città è il luogo della nostra battaglia, è proprio questo contendere il terreno a Satana, qui dove egli aveva piantato la sua roccaforte, il mio piacere di stare in città, di essere la città, di sentirmi una sola cosa con essa». Se è vero che le città sono «un cerchio di fuoco dove si azzuffano angeli e uomini» - e lo vediamo ogni giorno - dobbiamo imparare a sentire la forza di bene che la nostra società sa esprimere, le risorse di idee e di solidarietà che sanno farsi strada, ed emergere, per contrastare il buio e tradursi in vicinanza concreta, in tessuto, in «voglia di comunità» (per citare ancora Bauman). In questo mondo, diventato di città e periferie, il compito che abbiamo davanti a noi è quello di essere un po' più angeli e un po' meno banali.