venerdì 27 gennaio 2017

La Chiesa di Milano si vergogna della famiglia



di Andrea Zambrano
Verrà giorno che le famiglie sposate dovranno fare l’accento svedese come Fantozzi per mimetizzarsi. Se prima a destare scandalo erano le cosiddette unioni irregolari, oggi, nella Chiesa della misericordia a buon mercato sono le cosiddette unioni regolari: monogame, fedeli, innamorate, anche se tra alti e bassi. Insomma: le famiglie cristiane non avranno più ospitalità neppure in chiesa. Non è catastrofismo, ma una lettura consequenziale della realtà. A Milano il furore anti coniugale ha intaccato la nobile istituzione dell’Arcidiocesi che, nell’approcciarsi alla Festa delle Famiglie prevista per domani (la liturgia ambrosiana sposta all’ultima domenica di gennaio la Solennità della Santa Famiglia che nel rito romano è dopo Natale), ha inviato ai parroci un dettagliato vademecum per illustrare le finalità e le caratteristiche della festa da celebrare a messa.
Tralasciamo il lungo papiro condito di parole passepartout come “accoglienza”, “porte aperte”, “stile di vita nella gioia” e concentriamoci sul finale del documento dove vengono illustrate “alcune attenzioni per le messe”. Secondo l’ormai rodata tecnica del complesso natalizio, ecco che le famiglie cattoliche, domenica potranno festeggiare sì la loro unione, ma di nascosto per non offendere stavolta, non i musulmani, ma i divorziati.
“Nella giornata che celebra la Festa della Famiglia un invito è quello a non dimenticare le tante persone che vivono la solitudine, la vedovanza, l’abbandono da parte del coniuge, i figli «divisi» tra papà e mamma...”. E fin qui...
Ma il top si raggiunge con la richiesta di non celebrare gli anniversari di matrimonio. “Appunto per motivi di delicatezza e rispetto, l’indicazione è quella di evitare, durante le Messe di domenica prossima, la celebrazione degli anniversari di matrimonio”. Delicatezza e rispetto. Verso chi poi? Abbiamo inaugurato la stagione dell’invidia della felicità altrui, della vergogna per ciò che fino a ieri era qualche cosa di così prezioso da diventare sacramento. Così se una famiglia è felice, magari perché mamma e papà ne hanno passate di tutti i colori, ma possono arrivare alle nozze d’oro come San Paolo al termine della corsa, no: questa è mancanza di rispetto per chi invece è caduto. Che è come impedire a Federer di esultare a 35 anni suonati per rispetto al povero Wawrinka.
La notizia ha dello sconcertante, così sconcertante che dopo un pomeriggio di fuoco qualcuno deve aver avvisato l'Arcivescovo Angelo Scola, il quale ha provveduto saggiamente a far togliere dalla home page il riferimento. Ma fino a ieri mattina l'ufficio di Pastorale familiare della Diocesi, guidato da una coppia e da un sacerdote di stretta osservanza martiniana, difendevano ancora la scelta. Però nel sito curato dall'Ufficio, il riferimento agli anniversari spostati ad altra data rimane, contribuendo così a creare ancora più confusione e ambiguità.
Pasticcio comunicativo a parte, la trovata è assurda, offensiva e costituirebbe una pericolosa deriva, oltre che un drammatico precedente. Farebbe sentire le famiglie cattoliche come appestate. Discriminate. 
Non appena pubblicata sul sito diocesano, la notizia ha fatto il giro di Milano. Tanto che il Forum delle associazioni famigliari non ha mancato di protestare contro la decisione.
“Vorremmo esprimere il nostro dispiacere per un invito a escludere dalla Festa della famiglia il ricordo della ricorrenza degli anniversari di matrimonio. Pur comprendendo la sottolineatura di un’attenzione nei confronti di tutte le situazioni di sofferenza, pensiamo che festeggiare gli anniversari esprima il desiderio di voler testimoniare la bellezza della famiglia e le gioie che accompagnano la vita coniugale. Non crediamo che questa testimonianza di un valore umano e cristiano possa essere recepito dai divorziati come una mancanza di rispetto o di sensibilità nei loro confronti: siamo certi invece che anche loro condividano e vivano la festa come un valore”.
Le polemiche sono state così veementi che l’Ufficio di Pastorale Famigliare della Diocesi di Milano ha così replicato, difendendo la scelta, poi bloccata dall'Arcivescovo: “Il Servizio Diocesano per la Famiglia ha scelto da ormai dieci anni di dare come indicazione di collocare in altri momenti dell’anno pastorale questa celebrazione. Il motivo veniva proprio dall’esperienza pastorale diretta: evitare che il clima di festa prevalesse sul fine riflessivo, di coscientizzazione e di educazione che contraddistingue la scelta tipicamente ambrosiana di estrapolare la memoria liturgica della Santa Famiglia dal periodo natalizio. Si è voluto cioè evitare che tutto l’impegno pastorale si riducesse all’organizzazione di una celebrazione liturgica festosa a cui faceva seguito un grande momento distensivo di condivisione intorno al pasto”.
Questa la spiegazione ufficiale, che sembra aprire scenari inquietanti. A parte la parola “coscientizzazione” che sembra uscita direttamente dalla facoltà di sociologia di Trento, a questo punto che facciamo del Natale? Anche il 25 dicembre si mangia e si beve e si fa festa. Oltre ovviamente a pregare e andare a messa. Che facciamo? Spostiamo al 7 marzo?
Che poi: la celebrazione degli anniversari di matrimonio nelle messe non è nient’altro che una serie di preghiere rituali nella messa per la benedizione degli sposi. Quindi, a rigor di logica, è una preghiera anche per chi è divorziato o, come si ama dire oggi, ferito, il quale è ancora sposato di fronte a Dio e quindi nulla vieta che la preghiera lo tocchi.
Però, leggendo il Messale Romano, è facile comprendere perché certe preghiere diano fastidio e si capisce come certe raccomandazioni non siano altro che il frutto di certe ermeneutiche sinodali oggi molto in voga.
“Siete venuti nella casa del Signore per rinnovare gli impegni solennemente sanciti davanti all'altare. Perché la divina grazia vi confermi nel santo proposito, rivolgete a Dio il vostro ringraziamento e la vostra supplica”. Gli sposi invece dicono: “Benedetto sei tu, o Padre, perché ci hai benignamente assistiti nelle vicende liete e tristi della vita; aiutaci con la tua grazia a rimanere sempre fedeli nel reciproco amore, per essere buoni testimoni del patto di alleanza in Cristo Signore”. Alla benedizione delle fedi: “Signore, benedici questi anelli nuziali: gli sposi che li porteranno custodiscano integra la loro fedeltà, rimangano nella tua volontà e nella tua pace e vivano sempre nel reciproco amore”. E la preghiera finale: “Dio vi custodisca in tutti i giorni della vostra vita: sia vostro aiuto nella prosperità, conforto nel dolore e colmi la vostra casa delle sue benedizioni. Per Cristo nostro Signore”.
Insomma: in quelle preghiere si parla di fedeltà, di impegno, di protezione del cielo, di aiuto di Dio, di alleanza, di tutti i giorni della vita. Si parla dunque di una felicità eterna, di un aiuto di Dio costante, di uno sforzo nella quotidianità nell’amarsi e nell’accettarsi. Si parla di un obiettivo che oggi è diventato non solo irraggiungibile, ma anche scorretto, non consono ai tempi e ora offensivo per chi invece di fronte a quegli impegni è caduto.
Quella dell'Ufficio per la pastorale familiare è una visione ecclesiologica che va oltre la sfera matrimoniale e famigliare, è un pugno in faccia ad un sacramento che dovrebbe essere uno dei pilastri della vita cristiana. E soprattutto è un degradare il matrimonio cristiano a una delle tante opzioni umiliando chi in quel matrimonio ha seminato vita, sofferenza, speranze e può presentarsi di fronte al Signore per rendere grazie di tutto ciò che ha ricevuto.
Non per vantarsi, perché di fronte ad una coppia che rinnova le promesse matrimoniali non c’è nessun vanto: c’è semmai una consapevolezza ancora maggiore rispetto al giorno del matrimonio dell’importanza, della sfida creatrice a cui Dio ha chiamato gli sposi, c’è un abbandono maggiore, proprio perché tante ne sono state vissute.
Invece un ufficio di pastorale familiare può permettersi di presentare una visione rovesciata della realtà, e dunque diabolica, che induce a ritenere il matrimonio come qualche cosa di sconveniente, almeno di fronte a qualche categoria “sociale”, da non promuovere, qualche cosa di cui vergognarsi, uno scandalo. Invece di illustrare a chi vive situazioni irregolari quale sia la situazione perfetta insegnata dalla Chiesa, la Diocesi più grande d’Europa voleva smettere di insegnare per gettare in pasto ai suoi fedeli il più trito del così fan tutti, svilendo l’opera di chi, in questi anni di inizio millennio, si sta battendo nella società perché la famiglia abbia il suo centro originario nella vita dell’uomo.
E poco importa se la burocrazia curiale accampa le giustificazioni più astruse. Resteranno sempre delle scuse, che il più delle volte serviranno a celare alcune, misere, buone intenzioni. Che sappiamo bene che cosa sono solite lastricare.

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Il cardinal Carlo Caffarra
Guerra a Caffarra, il "massimalista" della famiglia
di Lorenzo Bertocchi

«Il Magistero sa cambiare, Caffarra no». Questa è l’opinione del professor Andrea Grillo che sul sito della rivista Muneracontinua un misericordioso attacco al cardinale Carlo Caffarra che insieme ad altre quattro porpore ha sottoposto al pontefice i famosi dubia, dubbi, sull’interpretazione del capitolo VIII di Amoris laetitia.
Caffarra, già primo preside del Pontificio Istituto Giovanni Paolo II per studi su Matrimonio e Famiglia, viene considerato l’alfiere di un «disastro massimalistico» della teologia morale e del Magistero. Lo aveva scritto, dice Grillo, il «grande moralista Bernhard Haering» in un articolo pubblicato sulla rivista dei dehoniani, Il Regno, nel 1989. «Allora Caffarra poteva determinare “la posizione del magistero” in materia familiare e sessuale, con un massimalismo e una intransigenza del tutto unilaterali». Ma non basta. Per Grillo, che cita Haering, il cardinale arcivescovo emerito di Bologna è fautore di una teologia «intollerante e semplificatrice», con una posizione teoretica che impedirebbe «qualsiasi forma di “convenienza”, di “epikeia”, di “discernimento”». Quella di Caffarra sarebbe «una intelligenza dell’etico puramente formale e fredda», addirittura «disumana» nel risolvere le questioni di etica sessuale e matrimoniale. 
Ovviamente tutta questa freddezza, questa insipiente brutalità, è stata fermata da Amoris laetitia. Caffarra, secondo Grillo, ai suoi tempi, «ha rappresentato una rottura grave e pesante (…) di cui porteremo ancora a lungo i segni e le cicatrici», ma finalmente un Magistero «serio, solerte, appassionato e fedele alla grande tradizione della Chiesa, alla sua meravigliosa complicatezza e alla sua sorprendente ricchezza» ha segnato non solo la fine di «un incubo», ma la fine di «un delirio».
Dispiace che in questi decenni il cattolico professor Grillo, ben addentro alle università pontificie, agli ambienti di varie diocesi italiane, seminari e circoli di fedeli adulti, sia stato costretto a vivere in una Chiesa così tetra e delirante. Verrebbe, infatti, spontaneo chiedersi come abbia fatto a sopravvivere nel suo ruolo di fedele e di stimato professore cattolico, dovendo convivere con un magistero come quello di san Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI. Deve essere stata veramente dura, forse è stato attraversato da moltissimidubia. Immaginiamo il tormento interiore nel doversi confrontare, ad esempio, con un’enciclica comeVeritatis splendor.
Il “grande teologo” Haering, insieme ad altri campioni della contestazione ecclesiale e teologica degli anni sessanta, settanta e ottanta del secolo scorso, ora «sorride dall’alto», dice Grillo, come a farsi beffe di quel monsignore [Caffarra, nda] che allora terremotava la Chiesa con il suo incedere arcigno e insensibile. Qui si sente il sapore della rivincita, un sentimento molto umano, ma non troppo evangelico. Peraltro il professor Grillo è in sintonia con i desiderata del vescovo di Anversa, monsignor Johan Bonny, che nelle sue richieste inviate a Roma per il sinodo 2014 invocava il superamento di una «determinata scuola di teologia morale, costruita su una propria interpretazione della legge naturale». Una interpretazione, ça va sans dire, determinatasi dopo «Humanae vitae e Familiaris consortio», paradigmi di un magistero evidentemente ritenuto per nulla serio, solerte, appassionato e fedele alla grande tradizione della Chiesa.
Secondo Bernard Haering, e altri teologi contestatori, la legge naturale si fa liquida. Viene interpretata come una morale che sa rispondere ai “segni dei tempi”, assumendo e seguendo i nuovi paradigmi dell’umanità. I criteri oggettivi si fanno assenti anche per la distinzione del peccato veniale da quello mortale, aprendo le porte ad una rischiosa morale della situazione. Guarda caso quella stessa da cui metteva in guardia quel magistero ritenuto massimalista, unilaterale e disumano che è presente in Veritatis splendor. «Secondo queste teorie», si legge al n°75 dell'enciclica di Giovanni Paolo II, il “papa della famiglia”, «la volontà libera non sarebbe né moralmente sottomessa a obbligazioni determinate, né informata dalle sue scelte, pur rimanendo responsabile dei propri atti e delle loro conseguenze». In poche parole, si apre la porta alla cosiddetta “etica della situazione”.
Comunque il “grande teologo” preso a riferimento dal tormentato Grillo viene richiamato dalla congregazione per la Dottrina della fede il 27 febbraio 1979, per ritrattare le sue posizioni contro l’enciclicaHumanae vitae del beato Paolo VI. Rifiutò. Dieci anni dopo la stessa congregazione pose il veto alla pubblicazione di un libro  che avrebbe dovuto contenere gli atti di un congresso di moralisti cattolici svoltosi a Roma, all'Accademia alfonsiana, nell'aprile dell'88. Il volume avrebbe dovuto riportare una relazione del padre Haering, nella quale criticava l'antropologia e la teologia che sottostanno alla stessa enciclica. Si trattava, come dice Grillo, di «proscrizioni curiali», oppure di legittimi richiami perché il teologo sconfinava oltre la grande, meravigliosa e ricca tradizione della Chiesa?
Il fedele che volesse orientarsi in questo dibattito potrebbe riferirsi alle parole che il papa emerito, Benedetto XVI, ha riservato all'enciclica Veritatis splendor, in un libro del 2014 dedicato a Giovanni Paolo II. Alla domanda su quali siano state le più importanti encicliche del papa polacco, Ratzinger ne cita 4, ma dedica più spazio a una quinta. Guarda caso: Veritatis splendor.  «Il grande compito che il Papa si diede in quest’enciclica», ha spiegato il papa emerito, «fu di rintracciare nuovamente un fondamento metafisico nell’antropologia, come anche una concretizzazione cristiana nella nuova immagine di uomo della Sacra Scrittura. Studiare e assimilare questa enciclica rimane un grande e importante dovere». Perché, disse, «rimane di immutata attualità».