venerdì 6 gennaio 2017

La scelta di accogliere



Pubblichiamo di seguito uno stralcio dal libro «La scelta di accogliere» (Magnano, Edizioni Qiqajon, Comunità di Bose, pagine 94, euro 8,50), che affronta il tema della crisi migratoria in Europa.
(Roberto Mancini) Il valore e l’esperienza dell’accoglienza sono il vero banco di prova per l’autentica spiritualità. Questa è estranea all’isolamento nel misticismo e all’indifferenza verso le sorti del mondo. Davvero spirituale, cioè illuminata dallo spirito dell’amore, è la scelta di essere presenti con passione ai problemi, alle contraddizioni, alle esperienze cruciali e alle speranze dell’umanità intera.
Tale scelta è diventata decisiva perché oggi si è fatta radicale e ineludibile l’alternativa tra l’accoglienza e il potere, tra l’apertura alla comunione e l’attaccamento alle forme di privilegio che vogliamo difendere. 
In queste pagine propongo una riflessione sulla trasformazione del modo più abituale di sentire, di pensare e di vivere che ci è chiesta dall’urgenza di rendersi disponibili ad accogliere gli altri. 
Una scelta che riguarda ognuno non solo nel senso attivo di ospitare chi bussa alla nostra porta, ma anche nel senso dell’essere accolti: trovare accoglienza, infatti, è un bisogno e un desiderio fondamentale per chiunque. L’itinerario del mio discorso comincia con una chiarificazione del valore di questa scelta, prosegue con un richiamo all’esperienza attuale dei migranti e si conclude approfondendo il significato del diritto di tutti ad avere una casa, nel senso concreto, esistenziale e simbolico dell’espressione. Ogni collettività umana è pensabile come una comunità in viaggio che, proprio per questo, prende una strada o un’altra. Data la complessità del «soggetto» di questo viaggio, è chiaro che in effetti vanno considerate direzioni diverse, che coesistono in contrasto tra loro. In fin dei conti bisogna misurarsi ogni volta con la stessa alternativa, che peraltro si presenta in forme differenti: o si va verso l’umanizzazione di persone e collettività, in modo da realizzare nella storia almeno «una società decente». Oppure si va verso la disumanizzazione, ossia verso la perdita del volto migliore dell’umano negli individui, nelle comunità e nelle istituzioni. In tal caso prende corpo una condizione sistematica di estraneità a se stessi, che gli analisti della modernità da Jean-Jacques Rousseau a oggi hanno chiamato «alienazione». Viene così costruito un sistema organizzativo i cui automatismi crescono fino a dominare donne e uomini, costringendoli appunto a un’esistenza disumana: la burocrazia, il mercato, la tecnologia, l’apparato globale dei media ne sono gli esempi principali. La costellazione di significati che ruota attorno all’idea di accoglienza ci orienta evidentemente verso l’umanizzazione, ma attualmente questo specifico dinamismo è sicuramente in una fase di recessione e non certo di fioritura. Molti credono che accogliere significhi rimetterci, esporsi a oneri ingiustificati, rischiare di perdere la propria identità e il proprio spazio. L’accoglienza non rende competitivi, non dà profitto e fa anche paura perché espone a pericoli che paiono immotivati. Così è agevole criticarla pubblicamente come espressione di “buonismo”. Per esempio, quasi tutte le forze politiche presenti sulla scena europea traggono giovamento in termini di consenso elettorale dalla condanna dell’accoglienza nei confronti delle persone straniere, ma anche di ogni tipo di esistenza marginale e di vite alla deriva: poveri, mendicanti, nomadi, rom, esuberi espulsi dal mercato, irregolari a vario titolo. Ne deriva il fatto che l’accoglienza non è accolta. Come parola, come esperienza e come cultura, in ogni caso sembra un riferimento fuori mercato: chi si trova ad avere potere e denaro non ha alcun bisogno dell’accoglienza, risolve altrimenti e a modo suo, mentre l’accoglienza si riceve e si offre prescindendo dal merito, dal pagamento, dall’interesse. La natura, che pure ci accoglie, non è accolta; i giovani, i poveri, gli esuberi, gli stranieri, le donne nella loro differenza non trovano accoglienza. I non accolti sono la maggioranza della società. E Dio stesso, in una società costruita in questo modo, di certo non è accolto. Ovunque sembra essere in vigore esclusivamente la logica della conquista tramite lotta. A me pare invece che sia essenziale e indispensabile fidarsi della parola “accoglienza”, seguirla fino in fondo e risalire alla sua logica complessiva, perché grazie a un simile cammino potremo liberarci di una situazione di oppressione e di degrado (coperta dall’eufemismo “crisi”) che grava sulla società mondiale. D’altra parte quella di accoglienza è una categoria non solo etica e politica, ma anche antropologica, esistenziale, cosmica, religiosa.

L'Osservatore Romano