domenica 22 gennaio 2017

Preti sposati. Solo una legge?



Da R.D.
Cari   amici, 
“Vocatio”, associazione nata per una chiesa dal basso, dal 2008 cerca di raccogliere attorno a sé sacerdoti, che hanno lasciato il ministero ed hanno ottenuto dalla Chiesa il
permesso di formare una propria famiglia.

A Roma un Convegno

Nei giorni 24-25-26 marzo c.a., “Vocatio” promuoverà a Roma il convegno dal titolo CELIBATO DEL CLERO? E’ SOLO UNA LEGGE!, come risulta dal blog di Ernesto Miragoli, aggiornato in data 17-01-2017. Per i temi trattati, il blog rimanda alle pagine Facebook: Preti Sposati, Riammissione sacerdoti sposati, Associazione sacerdoti lavoratori sposati.
L’incontro avrebbe dovuto aver luogo ad Ascoli Piceno nello scorso mese di novembre, ma, date le difficili condizioni logistiche, avrà luogo, invece, a ROMA.

I temi

Inevitabile, direi, che il convegno prendesse le mosse dal tema Donna e prete, un amore irrisolto e da La (ri)scoperta della bellezza e della santità del matrimonio e della famiglia nella chiesa di papa Francesco.
Benché vi possano essere analogie tra la situazione esistenziale del sacerdote, che liberamente ha lasciato il ministero, e le persone separate e risposate, l’analogia viene meno quando alla “sposa” del sacerdote, che è la Chiesa, si pensa di sostituire una famiglia umana particolare, ipotizzando un «presbiterato “a due polmoni”: preti celibi e preti sposati».
«L’incontro, per la prima volta, vede la partecipazione di un vescovo – mons. Giovanni D’Ercole -» (Dal blog di Ernesto Miragoli).
Il blog lamenta che «per troppi anni i Pastori hanno colto nei preti che lasciano il ministero per sposarsi un problema ed hanno emarginato questi fratelli che si sono sentiti in esilio. Più che un problema le famiglie dei preti sposati possono essere un’opportunità per la chiesa e l’esilio al quale spesso sono state condannate può essere stato per loro una catarsi che ha consentito di riflettere su modi diversi (ma non contrastanti) di vivere il sacerdozio ministeriale.
E’ vero, ritengo, che, come per i separati divorziati e risposati, che, per la durezza di cuore, la superficialità e l’ inadeguatezza dei fratelli, spesso sono stati lasciati a sé stessi, -con sofferenza e a detrimento della stessa fede-, il sacerdote, che ha scelto di chiedere la dispensa, quando non ha lasciato la Chiesa in malo modo, non sempre è stato accolto, anche se molte sono le situazioni che dicono il contrario. Ma è certo che, pur stanti le fragilità dei singoli sacerdoti, essi sono certo più consapevoli delle esigenze del proprio stato rispetto ad un laico, data la propria formazione e discernimento.
Il timore, non infondato, è  che, dalla fragilità umana, -chi nega che sia è sempre esistita- si vogliano derivare delle conseguenze dottrinali-pastorali, che rifondino l’idea di sacerdozio quanto al celibato, inteso solo come legge ecclesiastica.
La legge ecclesiastica non va intesa solo come un atto dettato dalla volontà ed intelligenza umana, ma in armonia con il dettato divino. Naturalmente, con il mutare delle situazioni, possono essere utili o necessari degli adattamenti. Ciò non toglie che, in generale, nella Chiesa Cattolica, nella quale risplende e si perpetua la missione affidatale da Cristo, il sacerdozio celibatario è stato visto non solo come un rimedio a situazioni disordinate, che spesso si insinuavano nel sacerdozio uxorato -mai approvato-, ritenendolo un fenomeno circoscritto e che meno testimoniava lo splendore della scelta di Cristo per la Sposa, che è la Chiesa, la comunità. Il sacerdote sceglie la Chiesa e non una specifica donna, che è una sorella.
Chi scrive queste affermazioni è anch’esso sacerdote sposato e che ha ottenuto le debite dispense. Giunto a questa scelta per diversi motivi importanti. Ma non penserebbe mai di ridurre il Ministero di Cristo a misura d’uomo. Sentitosi inadeguato e carente nella propria fede, ha preferito chiedere alla Chiesa, che è Madre, l’aiuto per ricollocarsi nello stato laicale. Ma se chi, come me, avendo fatto lo stesso, poi pensasse di recuperare ciò che, con rammarico, ha lasciato, rischia di ridurre la visione dell’incommensurabilità del dono del sacerdozio ordinato.

Bellezza del Vangelo della famiglia

Qualcuno potrebbe pensare che, dato proprio la bellezza del Vangelo della Famiglia, ed essendo il sacerdote chiamato a formare ed accompagnare le famiglie, sperimentare la vita di famiglia potrebbe collocarlo all’interno della massa come un lievito. Ciò è vero, ma il sacerdote è chiamato per la comunità nella sua interezza e non per una parte pur nobile ed indispensabile alla comunità.
Chi pratica l’apostolato da laico sposato sa come gli impegni della comunità assorbano fino a far patire la famiglia, i figli soprattutto. Le singole e felici eccezioni non dimostrano il contrario. Ma non si tratta solo di opportunità, bensì di ripresentare nel tessuto della Chiesa, inizio del Regno, una piena libertà per il Regno ed ogni fratello, o, sorella.

Gruppo degli esclusi?

Davanti ad affermazioni come fanno parte del gruppo degli esclusi che sono “l’oggetto” di questa riflessione, anche i preti che ad un certo punto della loro vita, hanno maturato la decisione di lasciare l’esercizio pubblico del loro ministero presbiterale, per condividere con la donna di cui si sono innamorati e dalla quale si sentono amati. Mi e ti chiedo: Ma caro confratello. Tu ti senti amato da una donna, ma non abbastanza da Cristo, che ti ha chiamato in uno stato di vita speciale? Non ti viene qualche dubbio? Forse non devi rivedere qualche tua certezza? Non sei forse al centro della domanda perché troppo chiuso nei confini della tua sensibilità e meno della tua vocazione illimitata? Certo, come lo fu per gli Apostoli, anche per il presbitero non è facile seguire Gesù fino a Gerusalemme. E’ vero. E’ vero che i sacerdoti, nonostante i ripetuti inviti del Concilio, -e del buon senso- spesso non sanno vivere la fraternità e carità sacerdotale, ma anche questo dipende da poca fede e da necessità di conversione. Su questo si deve puntare e non sull’amore di una donna particolare, anch’essa chiamata in una vocazione. Se la ami, lasciala libera, oppure, insieme a lei vivi la nuova condizione!

Diritto Canonico o Vangelo?

Si dice che si faccia prevalere il diritto sul Vangelo. Onestamente, non lo credo. Il diritto, specialmente dopo la riforma del CJC, è fortemente vicino alla stessa spiritualità del Vangelo. Abbiamo sostituito ancora di più, invece, le nostre visoni limitati, a volte egoismi, al Vangelo, dimentichi di cosa sia un cammino di ascesi per il sacerdote nella Chiesa. Spesso siamo così feriti e disorientati, nello spirito, asserviti alla mondanità spirituale, da opporre Chiesa a comunità.
Cosa vorrebbe poi dire comunità dal basso? La comunità è dall’alto perché convocata da Dio e Dio ha scelto uomini imperfetti per pascerla.

Relatività delle testimonianze e necessità del discernimento

Leggo nella testimonianza di Perin Nadir Giuseppe:
«Quando si sceglie di promettere l’amore e la fedeltà a una persona, davanti a Dio, e secondo il cuore stesso del Vangelo, non si può più ragionare in termini di legalità o di liceità, ma bisogna riscegliere ogni mattina – talora con una fatica enorme – di ritornare al “principio”, per trovare il modo di essere creativamente fedeli alla concretezza di un amore che non solo non è mai scontato, ma non è mai semplicemente definibile».
Mi sento di dirti che, forse, qualche anno fa, prima di promettere amore e fedeltà a una persona davanti a Dio, l’avevi promesso a Dio in Persona e ne eri felice: non ti ricordi? Io credo di sì. Io me lo ricordo, eccome! Non centrano i termini di legalità e liceità, centra la serietà dell’impegno assunto con Dio. Se poi, per i motivi più diversi e validi, e riconosciuti dalla Chiesa, non riesci a sostenere il cammino, ecco che la Chiesa ti usa Misericordia e ti concede di prendere una pausa, o, di lasciare lo stato sacerdotale, ma, attenzione, senza per questo smettere di essere sacerdote e con una missione tutta speciale da compiere nella Chiesa, offrendoti quotidianamente, nella tua nuova vita, ma con spirito sacerdotale, di intercessione per tutto il Popolo di Dio. E qui, è vero, la Chiesa non ha approfondito questo aspetto e non ne ha tratto le debite conseguenze per una direzione spirituale per quanti abbiano lasciato il ministero. Questo è vero, ed urge che la Chiesa pensi ad una pastorale spirituale. Per esempio, nella mia Diocesi, è in atto un cammino, condotto nella massima discrezione, in questo senso.
Potrebbe essere di aiuto a tutti noi la lettura attenta del seguente studio:
Renzo Lavatori-Ruggero Poliero, Il prete identità e missione. Squarcio sul suo Mistero, Casa Mariana Editrice, 2013.
Ad ogni modo, auguro a ciascuno di partecipare con profitto al Convegno indetto.






di Perin Nadir Giuseppe
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Il Giubileo straordinario della Misericordia si è concluso domenica 20 novembre 2016, solennità liturgica di Gesù Cristo, Signore dell’universo.
Alla Signoria di Gesù, Papa Francesco ha affidato la vita dell’intera Chiesa, dell’umanità e l’immenso cosmo, perché effonda la sua misericordia, come rugiada del mattino, per una feconda storia da costruire con l’impegno di tutti nel prossimo futuro: andando incontro ad ogni persona e portando la bontà e la tenerezza di Dio, quale segno che il Regno di Dio è già presente in mezzo a noi.
Un programma impegnativo per tutti : per il Papa, i vescovi, i preti, i religiosi e per ogni cristiano e persona che nelle sue relazioni con il prossimo, sceglie di lasciarsi “guidare” solo dall’amore che accoglie e condivide e non dall’odio che respinge, non dalla violenza che uccide, non dall’egoismo che isola, non “per vergognoso interesse, ma con animo generoso; non come padroni delle persone, ma facendosi modelli del gregge” ( 1Pt 5, 2-3). …

Quando Papa Francesco, l’ 8 dicembre 2015, ha indetto il Giubileo straordinario della Misericordia era convinto che – abbattute “le muraglie” che per troppo tempo avevano rinchiuso la Chiesa in una cittadella privilegiata – lo Spirito Santo avrebbe fatto comprendere ai pastori delle comunità ecclesiali, che era giunto il tempo di annunciare il Vangelo in modo nuovo, “usando la medicina della misericordia, invece di imbracciare le armi del rigore, per servire l’uomo in ogni sua condizione, infermità e necessità.
Ma, le “muraglie” che dividono e separano “alcuni” dagli altri, non sono ancora cadute del tutto, nemmeno all’interno della Chiesa, a causa della incapacità di molti a “comunicare”, a dialogare, cioè “a costruire insieme ponti”, per “transitare reciprocamente” le proprie voci, i sentimenti, le differenze e le proprie aspettative”…
Mentre Dio, nel relazionarsi ai suoi figli con amore misericordioso e tenerezza, “abbraccia tutti”… noi, invece, nelle nostre relazioni tra umani, facendo prevalere il Diritto sul Vangelo, escludiamo sempre qualcuno…
Chi sono questi “esclusi” ?
Sono tutti coloro che “vivono in situazioni di sofferenza”, di povertà, di abbandono, di solitudine, perché “ privati” di ogni sostegno e di ciò che costituisce la “dignità della vita e delle persone” (amore, famiglia, lavoro, nutrizione, salute, libertà….)
un progetto di amore e di vita, da realizzare, lasciandosi guidare dalla “Parola di Dio”.

Sono i PRETI-SPOSATI .
Quando si sceglie di promettere l’amore e la fedeltà a una persona, davanti a Dio, e secondo il cuore stesso del Vangelo, non si può più ragionare in termini di legalità o di liceità, ma bisogna riscegliere ogni mattina – talora con una fatica enorme – di ritornare al “principio”, per trovare il modo di essere creativamente fedeli alla concretezza di un amore che non solo non è mai scontato, ma non è mai semplicemente definibile.
Si tratta di ricominciare sempre da “principio”; nella coscienza, che questo principio, in realtà è più grande delle nostre convinzioni ed è più ampio delle nostre scelte.
In questo momento, la grande sfida della Chiesa, nei confronti di questi preti sposati, dovrebbe essere la conversione dall’atteggiamento dei farisei e dei dottori della Legge che si sentono investiti dalla responsabilità di “dirigere il traffico della vita”, all’atteggiamento evangelico del Signore Gesù, che coinvolge personalmente nel “traffico”, talora così caotico, della vita, senza guardare nessuno dall’alto in basso, ma vivendo una reale compromissione con la vita di tutti e di ciascuno.
Molti di questi preti hanno scelto di sposarsi civilmente, senza chiedere alla Sede Apostolica, alcun Rescritto di dispensa dal celibato.
Altri, invece, avendo scelto di sposarsi nella “forma canonica”, cioè in chiesa, hanno chiesto ed ottenuto dalla Sede Apostolica, il RESCRITTO DI DISPENSA DAL CELIBATO, con la conseguente “perdita dello stato clericale” ( can. 290 § 3), di cui sono entrati a far parte, ricevendo il sacramento dell’Ordine ( can. 266 §1), ma senza perdere il loro “essere prete” per sempre, dal momento che “ la sacra ordinazione, una volta ricevuta validamente, non può essere mai annullata” ( can 290).
Ma, in entrambi i casi, con la perdita dello “stato clericale”, il prete viene “spogliato di tutto”. Vale a dire :
1)● perde tutti i diritti, ● gli oneri che sono propri dello stato clericale ( can.292) : ● perde “ gli uffici ecclesiasti” ; ● non è più obbligato dagli altri doveri connessi con lo stato clericale; ● gli è proibito di esercitare la “potestà di ordine”, salvo il disposto del can. 976; ● non può tenere l’omelia; ● non può esercitare il ministero straordinario della sacra comunione; ● non può esercitare un ufficio direttivo in campo pastorale; ● non può avere alcun compito nei seminari e negli istituti similari per gli studi di grado superiore, in qualunque modo dipendenti dall’autorità ecclesiastica; ● non può esercitare un compito direttivo o d’insegnamento; ● e tale norma vale anche per quanto riguarda l’insegnamento della religione anche negli istituti similari non dipendenti dall’autorità ecclesiastica; ● deve stare lontano dai luoghi nei quali è conosciuta la sua condizione antecedente (anche se l’Ordinario dell’incardinazione o il superiore maggiore religioso, può dispensare da questa clausola contenuta nel rescritto, se si può prevedere che la presenza del richiedente non provochi scandalo).

Questo elenco di “perdite” (diritti e doveri) e di “restrizioni” (non può…) viene configurato nel diritto canonico, come “pene espiatorie” ( cann. 1336 § 1; 1337; 1338) che hanno come fine principale e diretto : il castigo del delitto, la riparazione dell’ordine e della disciplina ecclesiale, turbati dalla violazione della legge o del precetto penale.
E’ vero che il Diritto Canonico afferma : ”Attentano invalidamente il matrimonio coloro che sono costituiti negli ordini sacri”(can.1087), ma – considerando che si tratta di un impedimento di diritto ecclesiastico, connesso con la legge del celibato ( can. 277) e che tale impedimento, considerato il carattere perpetuo e indelebile della sacra ordinazione, cessa soltanto per dispensa che è riservata al Romano Pontefice (cann 291 e 1078 §2) – mi sono sempre chiesto : “un prete che si sposa in forma canonica”, quindi dopo aver chiesto ed ottenuto dalla Sede Apostolica il Rescritto di dispensa, quale delitto commette per essere punito così severamente con le pene espiatorie sopra elencate che gli tolgono ogni possibilità di collaborazione nei vari settori della vita pastorale, con il Vescovo della Diocesi o il parroco della comunità in cui risiede con la sua famiglia ?
2) Al prete-sposato che “perde lo stato clericale” è proibito, perfino, di svolgere quei ministeri che i laici, a ciò preparati, possono essere chiamati ad esercitare, come recita il can. 228, §1 : “ I laici che risultino idonei, possono
essere assunti dai sacri pastori in quegli uffici ecclesiastici e in quegli incarichi o funzioni (munus) che, secondo le disposizioni del diritto, essi sono in grado di esercitare”.
Il Diritto Canonico (can.910), stabilisce che “ il ministro straordinario dell’Eucaristia” è l’accolito e anche un altro fedele designato a norma del can.230, § 3 che recita : “ Dove la necessità della Chiesa lo consigli, in mancanza di ministri, anche i laici, pur senza essere lettori o accoliti, possono prestare opera di supplenza in alcune delle loro funzioni, esercitare cioè il ministero della parola, presiedere alle preghiere liturgiche, amministrare il battesimo e distribuire la Sacra Comunione, secondo le prescrizioni del diritto”.
Ma il prete-sposato – come è scritto nel Rescritto di dispensa – “non può esercitare il ministero straordinario della sacra comunione”.
Al prete-sposato anche se laureato in teologia dogmatica, morale, diritto… gli viene negata la possibilità d’insegnare scienze sacre, che invece è consentito ai laici a ciò preparati : “ attenendosi alle norme prescritte negli statuti circa l’idoneità richiesta, i laici possono ricevere dalla legittima autorità ecclesiastica, il mandato d’insegnare scienze sacre” (can. 299, §3).

3)Il nome di questi preti-sposati sia che abbiano chiesto ed ottenuto il Rescritto di dispensa o meno, viene cancellato sia dall’ Annuario Pontificio, dove sono scritti i titoli e i nomi dei cardinali, dei vescovi, di preti secolari e regolari… e sia dall’Annuario Diocesano, dove i preti sono elencati con i dati anagrafici : in ordine alfabetico, per anno di ordinazione e per incarico nei vari uffici curiali e pastorali.

4) Infine, il Diritto Canonico stabilisce che “ nell’infliggere pene ad un chierico, si deve sempre provvedere che non manchi del necessario per un decoroso sostentamento, tranne che si tratti della dimissione dallo stato clericale”(can 1350, §1).
“Se, tuttavia, il chierico dimesso dallo stato clericale risultasse veramente bisognoso a causa della pena inflittagli, l’Ordinario abbia cura di provvedere in suo favore nel miglior modo possibile (can. 1350 §2).

Perché mi sono soffermato su tutte queste “restrizioni” o “divieti” contenuti nel Rescritto di dispensa dal celibato ?
Perché aiuta a capire come mai “ tanti Vescovi diocesani – soprattutto quelli di nuovo incarico – non sappiano quanti siano i preti sposati sul loro territorio.
I nomi di questi preti sono scomparsi dall’Annuario Diocesano e i nuovi vescovi diocesani non hanno alcun elemento cartaceo attraverso il quale poter “fare la conta”. Per poter arrivare a sapere quanti siano dovrebbero fare un censimento mirato. Ma nessuno si prende la “briga di farlo”.
Ammesso che, attraverso un censimento mirato, potessero arrivare ad una conoscenza numerica dei preti sposati presenti nella loro Diocesi, in pratica poi, considerando tutte le restrizioni e i divieti contenuti nel Rescritto di dispensa, i “margini di manovra” che i vescovi hanno, per far tesoro della disponibilità dei preti sposati” a collaborare nelle varie parrocchie dove questo si rendesse necessario o per lo meno opportuno, sono alquanto ristretti per non dire nulli.
I vescovi hanno “le mani legate” e non possono fare molto, perché “ogni decisione in questo campo” è riservata alla Sede Apostolica che agisce tramite i vari Decasteri romani, dove i “vari funzionari” che vi lavorano ( cardinali, vescovi o preti che siano) non hanno alcuna cognizione di “come si comportino e vivano i preti sposati con le loro famiglie” nelle varie comunità parrocchiali ove risiedono.
E, se qualche vescovo prendesse delle iniziative personali in questo settore minato, rischierebbe di “saltare per aria”, cioè di compromettere la sua “carriera ecclesiastica”.
Per cui, molti vescovi, di fronte a questa situazione, si limitano a “fare spallucce”. Eppure, Papa Francesco – recandosi al quartiere romano di Ponte di Nona, per incontrare , volutamente, sette famiglie di preti sposati – ci ha mostrato di avere una sensibilità pastorale, particolare ed unica.
Non si può negare che i gesti, le parole e le scelte di Papa Francesco trasmettono – soprattutto nel Popolo di Dio – un “contagio”, mentre in molti vescovi, gli stessi gesti, parole e scelte creano un profondo “disagio”, perché non riescono a capire quale sia “il disegno” che il Papa intende realizzare.
In realtà, secondo P. Lombardi – Papa Francesco non ha un disegno organico alternativo da attuare . La sua ansia, invece, di poter arrivare a “stringere la mano a tutti” è piuttosto la risposta ad una situazione che chiede di mettersi in cammino.
Molti vescovi ammirano la generosità di Papa Francesco e capiscono che il suo modo di fare è “un riscatto psicologico”, dal momento che in giro c’è tanta demotivazione, ma temono il nuovo. E, il Papa fa bene – secondo Luigi Accattoli – a spingerli ad affrontarlo.
P. Josè Maria Castillo, invece, in una sua riflessione, fa osservare come all’interno della Comunità ecclesiale, ci siano molti “attriti” e “frizioni” tra i “pastori del gregge”: da una parte ci sono alcuni vescovi e preti che difendono una fedeltà assoluta alla tradizione, al Magistero precedente e alle sue verità, senza considerare che i tempi e la cultura sono cambiati, mentre dall’altra ci sono vescovi e preti che sostengono la visione di una Chiesa che dovrebbe preoccuparsi soprattutto della “sofferenza delle persone”, causata dalle tante situazioni di privazione (cibo, lavoro, casa, salute….) che devono affrontare.
Questi “attriti e frizioni” richiamano alla memoria lo scontro tra i “Maestri della Legge”, difensori delle loro tradizioni religiose e il comportamento di Gesù che curava gli ammalati, dava da mangiare ai poveri e si era fatto amico dei pubblicani e dei peccatori.
E’ evidente che Gesù non è stato un uomo esemplare al suo tempo.
Quello che è certo, invece, è che gli “esemplari” (di allora come di oggi) finiscono molto in fretta per essere abbandonati nel baule dei ricordi.
Se è vero che “far parlare la sofferenza è la condizione di ogni verità” – come affermò Theodor W. Adorno – quale verità possono difendere quelli che lasciano da parte la sofferenza, a secondo della convenienza ?
Il gesto compiuto da Papa Francesco – come osserva Ernesto Miragoli – non va sottovalutato perché è molto significativo : rompe vecchi schemi”; è indicativo del senso di una missione; è un esempio da imitare.
Il Papa, con questo gesto, ci ha fatto capire che per incontrare veramente la gente che soffre e si sente abbandonata da tutti e rendersi conto dei loro disagi esistenziali, è necessario uscire “dalle mura del Tempio sacro, non essere legati da alcun comportamento predefinito dal cerimoniale, andare al di là delle formule e di un linguaggio “obbligato”, essere disposti a dialogare “guardandosi negli occhi” e lasciare che il proprio cuore batta all’unisono con quello dell’altro.
Papa Francesco è andato a quell’incontro alla “luce del sole”, proprio come fece Gesù “Entrò nella città di Gerico e la stava attraversando, quand’ecco un uomo di nome Zaccheo, capo dei pubblicani e ricco, cercava di vedere Gesù… quando giunse sul luogo, Gesù alzò lo sguardo e gli disse: “Zaccheo, scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua”. “Scese in fretta e lo accolse pieno di gioia”. Vedendo ciò, tutti mormoravano: “ E’ andato in casa di un peccatore” ( Lc 19,1-7).
Ogni vescovo diocesano, in quanto successore degli Apostoli e “ pastore del gregge” a lui affidato, dovrebbe imitare il gesto di Papa Francesco.
“Vi ho dato un esempio, infatti, perché anche voi facciate come ho fatto io ( Gv 13,15).
In altre parole è necessario che la Chiesa ( la barca di Pietro), ancora una volta, abbia il coraggio di “prendere il largo” (Lc 5).
Si tratta di un cammino lungo, ma appassionante, aperto e richiesto ad ogni credente : libertà, non costrizione; invito e non controllo; misericordia e non mero adeguamento a norme.
Il “sogno” per farsi “segno” richiede ad ogni discepolo del Signore che forma la Chiesa, di essere fedele ad uno degli appelli più ricorrenti che il Signore rivolge: “ Non temere” (EG 141).
La Chiesa non deve aver paura di errori e di ambiguità, ma imparare ad attraversare il mare della storia senza chiudersi in una corazza di riti e di modi che si presumono immodificabili. Perché tale corazza serve solo ad aprire la strada alla “mondanità spirituale” che si nasconde dietro apparenze di religiosità e persino di amore alla Chiesa e che consiste nel cercare, al posto della gloria del Signore, la gloria umana ed il benessere personale” (RG 93).
Ma, tra i vescovi, anche se molti ammirano la capacità e l’audacia apostolica del Papa di porre gesti di misericordia “in uscita”, verso i diseredati, i non credenti, i preti sposati… poi, quasi tutti, preferiscono restare nel già noto, perché sentono la vertigine dell’ignoto.
Che cosa bisognerebbe fare, allora ?
Bisognerebbe avere il coraggio di “convertirsi e credere al Vangelo” per vivere come il Vangelo ci dice che dobbiamo vivere.
Quando Gesù si è messo ad annunziare il Regno di Dio, cosa ha fatto?
Si è messo a curare gli ammalati, alleviare le pene, accogliere persone abbandonate, mangiare con gli affamati… senza considerare, in alcun modo, se quelle guarigioni e quei pranzi con persone di mala vita e cattiva fama, fossero permesse o proibite dalla religione.
Questo comportamento di Gesù ci insegna che noi non incontriamo primariamente Dio “nella osservanza della Religione”, ma nella lotta contro la sofferenza umana.
E, dal momento che la misericordia viene identificata, concretamente, con la responsabilità che ogni credente è chiamato ad assumere nei confronti di chi gli è “prossimo” – soprattutto dei più poveri ed emarginati e di quanti vivono ai margini della strada della vita, nelle periferie esistenziali – di conseguenza, per rendere credibile il Vangelo ai nostri contemporanei, dobbiamo interrogarci se “ il comportamento misericordioso abbia come movente l’etica del bisogno o l’etica del dovere” ?
L’amore, più che un dovere, è un bisogno essenziale dell’essere umano. E, l’etica fondata sull’amore, è, a sua volta, fondata sui bisogni delle persone, prima che sul dovere.
Il comportamento di Gesù, descritto nei Vangeli, è molto eloquente: Gesù non ha mai agito per motivi di convenienza, ma unicamente per alleviare o risolvere i bisogni delle persone che a Lui si rivolgevano, non esitando per questo di mancare ai doveri imposti dalla Legge e dalla religione ebraica.
Gesù si giocò il suo prestigio, la sua credibilità, la sua immagine pubblica pur di rimediare alle necessità evidenti della povera gente.
Gesù, per poter agire non ha mai aspettato “il giorno seguente o il tramonto”, quando non era più obbligatorio osservare il “riposo sabatico”, perché per Gesù l’etica del bisogno veniva prima dell’etica del dovere ed aveva escluso dal suo comportamento l’etica basata sulla convenienza.
E’ stato detto e ripetuto tante volte, in quest’anno giubilare che “E’ proprio di Dio usare misericordia e specialmente in questo si rivela la sua onnipotenza”- come afferma S. Tommaso nella Summa Theologiae, II-II, q. 30,a.4 – perché la misericordia divina non è un segno di debolezza, ma la qualità dell’onnipotenza divina.
La misericordia non è un’idea astratta, ma una realtà concreta con cui Egli rivela il suo amore come quello di un padre e di una madre che si commuovono fin dal profondo delle viscere per il proprio figlio.
Ma, nella Chiesa – oggi, come ieri – non c’è misericordia nei confronti dei preti-sposati, perché, basandosi sulle norme del Diritto si continua a rifiutare ogni loro collaborazione per la costruzione del Regno di Dio nell’oggi della storia umana.
Ma nella Chiesa di oggi come di ieri non c’è nemmeno la “tenerezza” che significa prendersi cura dell’altro, chiunque esso sia; è consentirgli di essere nella pienezza delle sue risorse; è fasciarne le ferite e non soffocarlo con rigide verità assolutizzate; è accogliere e non imprigionare; è abbracciare e non trattenere.
La tenerezza è un’autentica espressione della verità e la verità è una relazione; è l’amore di Dio per noi in Gesù.
La tenerezza è come un tessuto costellato di tante fibre: delicatezza, vicinanza, amorevolezza, sollecitudine, accoglienza, stupore, disarmo.
La tenerezza consiste nel ritirarci, nel decentrarci, nel creare spazi vuoti per fare spazio all’altro. E, l’essenza della tenerezza è conoscenza, comunicazione, comprensione, sostegno emotivo, stima, condivisione, fiducia, affetto, ma senza che nessuno perda la propria identità e autonomia.
Avere tenerezza nei confronti di un altro vuol dire mettersi nella pelle dell’altro, senza smarrire il senso della propria identità. Vuol dire ricevere l’altro nel proprio territorio, senza invadere e senza sentirsi invasi.
Ecco perché affermo che nella Chiesa di oggi, come in quella di ieri, non c’è “misericordia” né “tenerezza” nei confronti dei “preti-sposati, perché queste persone continuano a non avere alcuna voce all’interno della Chiesa, ma il loro grido anche se affievolito a causa dell’indifferenza di molti, non si è ancora spento.
E’ amaro constatare che nemmeno in questo giubileo, la Chiesa istituzionale sia riuscita a curare le ferite di questi preti, con la solidarietà e l’attenzione, a lenirle con l’olio della consolazione, a fasciarle con la misericordia.
Si continua ancora a vivere nell’indifferenza che umilia, nell’abitudinarietà che anestetizza l’animo ed impedisce di scoprire la novità, nel cinismo che distrugge.
Milioni di persone in questo anno Giubilare, hanno attraversato la “porta santa”, forse più volte, per lucrare l’indulgenza plenaria.
Milioni di persone hanno riflettuto sulla “misericordia” e tenerezza di Dio, ma ho la sensazione che al di là di ogni formalità legata ai riti e alla recita di formule, molti non siano riusciti ad incontrare veramente DIO, come Persona “misericordiosa e tenera” che vive nei poveri e sofferenti.
L’invito del Papa di aprire gli occhi per guardare le miserie del mondo, in generale, ma soprattutto le ferite di tanti fratelli e sorelle che vivono al nostro fianco e sono privati della loro dignità, in molti cuori è caduto nel vuoto e , tanto meno, ci si è sentiti provocati ad ascoltare il loro grido di aiuto.
Nessun vescovo, eccetto Papa Francesco, ha avuto il coraggio di stringere la mano di qualche prete sposato per tirarlo a sé in modo da far sentire a lui e alla sua famiglia il calore dell’amicizia e della fraternità.
Nessun vescovo ha avuto il coraggio di fare proprio il grido dei preti sposati che spesso si leva all’interno delle varie Comunità ecclesiali, per spezzare insieme la barriera dell’indifferenza che spesso regna sovrana per nascondere l’ipocrisia e l’egoismo.
E’ vero che l’Anno Santo Giubilare della misericordia si è ormai concluso, ma il Dio della misericordia e della tenerezza è rimasto ad “abitare in mezzo a noi” per dare senso alla nostra storia umana, su questo pianeta TERRA.
E’ rimasto ad abitare in mezzo a noi per aiutarci a “costruire, nel prossimo futuro, una storia feconda con l’impegno di tutti: andando incontro ad ogni persona, portando la bontà e la tenerezza di Dio, quale segno che il Regno di Dio è già presente in mezzo a noi.
E’ rimasto in mezzo a noi per insegnarci, donandoci il suo Spirito di amore : ad annunciare il Vangelo in modo nuovo, usando la medicina della misericordia, invece di “imbracciare le armi del rigore”; a servire l’uomo, in ogni sua condizione, in ogni sua infermità, in ogni sua necessità.
Non ci viene chiesto di essere immacolati, ma piuttosto che siamo sempre in crescita, che viviamo il desiderio profondo di progredire nella via del Vangelo” ( EG 151).
“La Chiesa non deve essere una dogana, ma la casa paterna dove c’è posto per ciascuno con la sua vita faticosa” (EG 47).

Perin Nadir Giuseppe
nadirgiuseppe@alice.it


Note di fine testo

Il can. 59, §1 definisce il Rescritto come “atto amministrativo emesso per iscritto dalla competente autorità esecutiva, col quale, ad istanza di una persona, si concede un privilegio, una dispensa o una grazia.

2-L’ufficio ecclesiastico costituisce il cardine dell’intera organizzazione della Chiesa.
Lo strumento tecnico indispensabile per l’ordinato esercizio dei suoi poteri, delle sue funzioni e delle sue attività.
Il Codice di Diritto canonico vi dedica una parte rilevante delle sue “Norme Generali” disciplinandone accuratamente il conferimento e la cessazione (cann 145-196).
Il Nuovo Codice di Diritto Canonico, attenendosi ai criteri stabiliti dal Concilio Vaticano II (Decr. Presbyterorum ordinis, n. 20, 2) modifica il concetto tradizionale di “ufficio ecclesiastico”, sanzionato nel codice precedente pio-benedettino del 1917-18 e lo libera dal suo carattere esclusivamente clericale, rendendolo accessibile anche ai laici.

3-Le pene espiatorie differiscono essenzialmente da quelle medicinali, dette con termine proprio “censure”. L’applicazione della pena espiatoria non é legata alla contumacia (can.1347) né la sua remissione dipende dalla cessazione della medesima (can 1358,§1); la pena espiatoria può essere imposta in perpetuo, per un tempo determinato o per un tempo indeterminato, ossia finché non si conceda la remissione. Cessa per se stessa, con la sua effettiva espiazione, oppure mediante la legittima remissione da parte della competente autorità; l’enumerazione delle pene espiatorie, contenute nel canone, non ha carattere tassativo, ma esemplificativo, come risulta sia dal preambolo del can.1336, §1, sia dal can.1312.