martedì 17 gennaio 2017

Rut, modello di accoglienza



(Giacomo Gambassi) Nella tradizione ebraica si parla di Nchèsed, ossia di opere di bene che vanno al di là delle necessità materiali e comportano il tentativo di capire i bisogni anche psicologici del prossimo. Nella tradizione cristiana si ricorre all' espressione "atti gratuiti di amore e di misericordia" capaci di tradursi in una carità che non conosce confini umani o geografici. È il cuore del Libro di Rut, al centro della 28ª Giornata per l'approfondimento e lo sviluppo del dialogo fra cattolici ed ebrei che si celebra oggi in Italia. 
Un appuntamento che si inserisce «in un periodo storico in cui si vede da una parte il moltiplicarsi di iniziative di dialogo (e non solo con il mondo ebraico) ma dall'altra una sorta di chiusura pregiudiziale, sempre in agguato, sempre pericolosa e soprattutto sempre assolutamente sterile», spiega il direttore dell' Ufficio nazionale Cei per l' ecumenismo e il dialogo interreligioso, don Cristiano Bettega, nella presentazione del sussidio alla Giornata. Una pubblicazione che è un confronto a due voci sul Libro di Rut fra il vescovo di Frosinone-Veroli-Ferentino, Ambrogio Spreafico, presidente della Commissione episcopale per l' ecumenismo e il dialogo, e il rabbino capo di Milano, Alfonso Arbib, presidente dell' Assemblea dei rabbini d' Italia. 
Lo scorso anno si era concluso l' itinerario decennale sul Decalogo che aveva fatto da filo conduttore alla Giornata. «Per i prossimi cinque anni - afferma Spreafico - abbiamo scelto di proporre alla comune riflessione un brano preso da cinque libri che nella Bibbia ebraica costituiscono le cinque megillot (i rotoli): Rut, Cantico dei Cantici, Qoelet, Lamentazioni, Ester». Aggiunge Arbib «Il Libro di Rut fin dai tempi dei Gheonim si usa leggere durante la festa di Shavuot, cioè la festa del Mattàn Torà (il dono della Torà)». Il testo è la storia di una donna straniera - modello di pietà - andata in sposa al figlio di una betlemita, Noemi, che era aveva lasciato la terra d' Israele per una carestia ed era emigrata a Moab. «Il midràsh - ricorda il rabbino - sostiene che la carestia non avesse colpito la sua famiglia che era molto benestante e importante. 
Ciò che induce a emigrare è il timore di doversi assumere la responsabilità di occuparsi delle persone colpite dalla carestia di dover dar da mangiare o un tetto sotto cui ripararsi ai poveri. Dal punto di vista della norma legale la scelta è legittima, ma il midràsh chiede di andare al di là della norma stretta». Secondo il vescovo, siamo di fronte a «una storia tanto attuale che ci mette a contatto con il dramma dell' emigrazione di tante donne e uomini che fuggono dai loro Paesi non solo per le guerre, ma anche per la povertà e l' impossibilità di provvedere al futuro delle loro famiglie». 
Rut, divenuta vedova, resta accanto alla suocera Noemi una volta che quest' ultima decide di tornare nella sua terra. «La segue quando ritorna a Betlehem povera, umiliata - sottolinea Arbib -. E si identifica completamente con la suocera e con il suo popolo convertendosi all' ebraismo e dicendo: "Il tuo popolo è il mio popolo, il Tuo Dio è il mio Dio"». Si tratta di un esempio di chèsed, di vicinanza e aiuto. Tiene a precisare Spreafico: «Rut compie un atto di misericordia, non lasciando sua suocera alla solitudine e a un destino incerto. Questo attira su di lei la benedizione del Signore e la benevolenza degli uomini. Gesti di amore aprono la vita di queste due donne a un futuro pieno di speranza. Dio sembra guidare la storia di queste due donne verso l' accoglienza e l' inclusione». 
Fondamentale nel libro è l' incontro fra Rut e l' israelitico Boaz. «Con chèsed - osserva il rabbino - si comporta Boaz che permette a Rut di spigolare nel suo campo nonostante sia straniera. Ma un atto di chèsed ancora maggiore lo fa sposando Rut e dando una discendenza alla casa di Noemi». Per Spreafico, emerge la preoccupazione di «non esclusione », di «integrare anche lo straniero, assieme alle altre persone deboli economicamente e socialmente, come gli schiavi, l' orfano e la vedova». E chiarisce: «Il testo nasconde una tradizione biblica interessante che apre alla solidarietà anche con coloro che non sono parte del popolo di Dio». 
Così, conclude il rabbino capo di Milano, «il Libro di Rut ci indica una delle direzioni in cui il dialogo si può sviluppare: quella della solidarietà verso il prossimo che può essere comune alle varie religioni ma soprattutto all' ebraismo e al cristianesimo che vengono da una radice comune e che hanno nel principio "ama il prossimo tuo come te stesso" un elemento essenziale».

Avvenire

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Numerose le iniziative in Italia per la giornata di approfondimento e sviluppo del dialogo tra cattolici ed ebrei. Quei gesti gratuiti di amore e fraternità 

L'Osservatore Romano 
(Donatella Coalova) La storia dolcissima di Rut, la donna moabita che non abbandona la propria suocera, rivela in filigrana l’amore provvidente di Dio che sa trasformare, con infinita tenerezza, i contesti più dolorosi di lutto e di carestia in orizzonti inediti di luce e di gioia. Tutta la vicenda, narrata con l’uso sapiente delle tecniche stilistiche ebraiche, ricche di parallelismi, assonanze, giochi di parole, ha il fascino sottile dei profumi orientali e incanta con la presentazione dei sentimenti elevati dei protagonisti: fedeltà, giustizia, pietas verso i genitori e gli anziani della famiglia, aiuto ai poveri, accoglienza verso gli stranieri.
Il 17 gennaio la giornata di approfondimento e sviluppo del dialogo tra cattolici ed ebrei invita a meditare questo importante testo biblico. Dopo la riflessione sulle “dieci parole”, si aprirà, dunque, un nuovo ciclo dedicato alle cinque Meghillot (i “rotoli”) e cioè: Rut, Cantico dei Cantici, Qoelet, Lamentazioni, Ester, che nella tradizione ebraica si leggono nelle feste più importanti.
Il sussidio, dopo l’introduzione di don Cristiano Bettega, direttore dell’Ufficio nazionale per l’ecumenismo e il dialogo, offre un saggio di monsignor Ambrogio Spreafico, vescovo di Frosinone-Veroli-Ferentino e presidente della commissione episcopale per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso, su «Ebrei e cristiani: l’ineludibile dialogo». Seguono i commenti al Libro di Rut di Alfonso Arbib, rabbino di Milano e presidente dell’Assemblea dei Rabbini d’Italia e di monsignor Spreafico, che dell’ebraismo è profondo conoscitore, essendo stato docente di lingua ebraica presso la Facoltà valdese di teologia di Roma.
Il rabbino Arbib sottolinea che il Libro di Rut viene letto durante la festa di Shavuot, cioè la festa del dono della Torah, e spiega che, secondo un midrash, ciò avviene perché «questa meghillà è tutta chèsed e la Torah è tutta chèsed».
La chiave di volta per capire il Libro di Rut è proprio il termine chèsed, che indica la carità più profonda, attenta, generosa. Per viverla bisogna «tentare di capire — spiega il rabbino — quali siano le necessità sia materiali sia psicologiche del prossimo, anche quando queste necessità non siano manifestate in modo esplicito». Così, agiscono i protagonisti del racconto, che rivelano un cuore bianco e un animo magnanimo, capace di andare «al di là della regola stretta».
A sua volta monsignor Spreafico mette in rilievo come questo testo biblico racconti le vicende che portano all’accoglienza e inclusione di una straniera: «Siamo davanti a una storia tanto attuale, che ci mette a contatto con il dramma dell’emigrazione di tante donne e uomini che fuggono dai loro paesi non solo per le guerre, ma anche per la povertà e l’impossibilità di provvedere al futuro delle loro famiglie». Una storia che mostra quanto siano benedetti da Dio i gesti gratuiti d’amore e fraternità.
Numerose le iniziative in programma in tutta Italia. Domenica scorsa, a Napoli, dopo le riflessioni sul tema si è tenuto il tradizionale concerto. Il 16 gennaio a Torino, presso il Centro sociale della Comunità ebraica, la dottoressa Ruth Mussi ha parlato su «Il Rotolo di Ruth: messaggi antichi per i nostri giorni». Nella stessa giornata, a Perugia, presso il Centro ecumenico e universitario San Martin», è intervenuto Cesare Moscati, rabbino della comunità ebraica di Roma, su «Il Libro di Rut dalle cinque Meghillot». Il 17 gennaio il cardinale Angelo Scola, arcivescovo di Milano, ha fatto visita al rabbino Alfonso Arbib nella sinagoga del capoluogo lombardo. Le riflessioni di entrambi hanno focalizzato l’attenzione sul valore di riconoscere le comuni radici di fede. Nella stessa giornata, si sono alternati approfondimenti sul Libro di Rut in varie città italiane: a Cuneo a opera della professoressa Paola Pellegrino, con l’accompagnamento di canti della tradizione ebraica, eseguiti dalla professoressa Maria Teresa Milano; a Ravenna è intervenuto il biblista don Cristiano D’Angelo; a Palermo ha parlato il pastore Peter Ciaccio e Luciana Pepi, docente universitaria di lingua e cultura ebraica.
L'Osservatore Romano