sabato 28 gennaio 2017

Scelti da tutto il mondo



Anticipiamo un articolo che esce sul prossimo numero di «Vita e Pensiero», il bimestrale di cultura e dibattito dell’Università cattolica del Sacro cuore.
(Giovanni Maria Vian) Il concistoro del 19 novembre 2016, con il quale sono entrati nel collegio dei cardinali 17 nuovi membri, ha riacceso l’attenzione su questo singolare organismo che da oltre nove secoli elegge il papa. Caratteristico della Chiesa romana, l’istituto cardinalizio viene fatto risalire all’età tardoantica. In quest’epoca il termine latino cardinalis aveva un’accezione prevalentemente liturgica, ed era usato per i membri del clero legati alle principali chiese di Roma, poi anche per alcuni ecclesiastici in altre diocesi, e non solo in Italia.
In realtà la storia del cardinalato inizia ad assumere vera rilevanza dopo il Mille, con il movimento di riforma generato da un forte impulso della sede romana. Nel 1059 l’elezione papale, in cui per secoli erano intervenute diverse componenti della Chiesa romana, viene infatti riservata ai cardinali vescovi e solo molto più tardi, nel 1179, si estende agli altri ordini di cardinali, cioè ai cardinali preti e ai cardinali diaconi. Non è dunque forse un caso che la prima attestazione dell’espressione sacrum collegium compaia tra queste due date, in un documento sinodale francese del 1148.
Entrata presto nell’uso corrente, molti secoli dopo la definizione di “sacro collegio” viene ratificata nel Codex iuris canonici del 1917, con un’aggiunta: i cardinali costituiscono «il senato del romano pontefice». Le due espressioni non verranno tuttavia recepite nel codice riformato dopo il Vaticano II e promulgato nel 1983, dove l’istituto è descritto più sobriamente come peculiare collegium, che “particolare” lo è davvero.
Proprio negli anni in cui al collegio ormai denominato “sacro” veniva riservata l’elezione del papa, Bernardo da Chiaravalle, nel celebre De consideratione, rivolgendosi a Eugenio III, suo antico discepolo divenuto successore dell’apostolo Pietro, dedica un capitolo alla scelta dei cardinali, e si chiede “se non debbano essere scelti da tutto il mondo quelli che il mondo giudicheranno” (an non eligendi de toto orbe orbem iudicaturi). Bernardo è dunque il primo a porre la questione dell’internazionalizzazione, come oggi si direbbe; una questione che verrà poi dibattuta soprattutto a partire dagli inizi del Trecento, quindi negli anni del conciliarismo quattrocentesco e infine in età contemporanea, mentre con il trascorrere del tempo andrà sempre più a incrociarsi con le vicende e il nodo del potere papale.
All’ecclesiologia medievale risale infatti la singolare definizione di “parte del corpo del papa” (pars corporis papae) per indicare l’insieme dei cardinali: è appunto il pontefice a sceglierli, anzi a crearli, termine tecnico che intende proprio sottolineare questa prerogativa sovrana — ma spesso condizionata da non poche variabili — nella selezione dei più stretti collaboratori del papa nel governo della Chiesa. E nel cuore del medioevo il sacro collegio si afferma come un organismo ristretto e influente che nel 1289 riesce a ottenere dal pontefice la metà delle entrate della sede romana. Non interessati anche per questo motivo ad aumentare di numero, i cardinali governano realmente insieme al pontefice grazie ai frequentissimi concistori.
Tra alterne vicende, tuttavia, sin dagli inizi del Cinquecento questa forma particolare di esercizio della collegialità si stempera, per l’aumento progressivo del collegio e quindi per la parallela perdita d’importanza dei concistori a vantaggio delle congregazioni romane. Questa doppia tendenza viene sancita dalle decisioni di Sisto v, che nel 1586 per il sacro collegio fissa il limite di settanta membri, mantenuto per quasi quattro secoli, e due anni più tardi riforma la curia romana, stabilendo un assetto rimasto di fatto inalterato sino al radicale aggiornamento voluto da Pio X nel 1908.
La questione posta invece già all’esordio dell’istituzione cardinalizia da Bernardo da Chiaravalle comporta vari aspetti, di ordine politico e teologico, che convergono sulla questione decisiva del potere papale e sulle possibilità di condizionarlo, e non solo al momento dell’elezione in conclave. Così nel medioevo si discute sull’opportunità di creare cardinali tedeschi, ammessa con difficoltà e di fatto non verificatasi per oltre due secoli tra Duecento e Quattrocento. Sono più rari di un corvo bianco, si scrive nel 1519, e questo a causa di una sorta di bilanciamento visto come necessario tra imperium, appannaggio della nazione germanica, e sacerdotium, da lasciare quindi ad altre nationes. Nel 1294 si registra invece il più pesante intervento di un potere laico in tutta la storia del sacro collegio per l’influenza angioina sull’unica creazione cardinalizia effettuata da Celestino v nel suo brevissimo e infelice pontificato.
Non è poi certo un caso che una prima internazionalizzazione del sacro collegio intervenga nell’età del conciliarismo con Eugenioiv, ovviamente ristretta in larghissima prevalenza ai diversi stati italiani, alla Francia e alla Spagna. Questa tendenza sarà poi mantenuta per tutta l’età moderna: in quest’epoca «la stabile maggioranza italiana nel collegio dei cardinali era una condizione indispensabile della libertà d’azione del papa» grazie a nomine «più affidabili di quelle straniere, che erano forzate», sintetizzerà senza giri di parole lo storico anglicano Owen Chadwick nel suoThe Popes and the European Revolution. E l’allusione dello studioso è naturalmente alle creazioni volute dalle corone, soprattutto tra Cinquecento e Settecento. Si spiega così la schiacciante prevalenza degli italiani, in particolare di quelli provenienti dallo stato pontificio, nella scelta dei cardinali, tenacemente perseguita dai papi e garanzia, implicita o almeno sperata, per un governo meno influenzato da forze esterne.
Bisogna però arrivare al lunghissimo pontificato di Pio IX perché il numero dei cardinali italiani cominci a decrescere. Se infatti dei 205 creati tra il 1800 e il 1846 dai suoi quattro predecessori ben 160 sono gli italiani (il 78 per cento), la percentuale con Mastai Ferretti scende al 58 per cento (71 su 123), e viene mantenuta da Leone XIII (85 su 147), per abbassarsi ancora al 53 per cento (83 su 158) con i loro tre successori tra il 1903 e il 1937, anno dell’ultima creazione cardinalizia di Pio XI. Ratti nel 1924 tiene un piccolo concistoro per due soli cardinali, ma entrambi statunitensi, ed è questa la prima creazione, sia pure minuscola, senza europei. Questa particolarità verrà ripetuta soltanto dall’ultimo concistoro di Benedetto XVI, alla fine del 2012, quando i sei cardinali non europei mostreranno la necessità di bilanciare il precedente concistoro tenuto all’inizio dello stesso anno, dove ben due terzi dei 18 nuovi cardinali erano europei (tra loro, sette italiani).
La rivoluzione in questo ambito avviene pochi mesi dopo la conclusione della seconda guerra mondiale, quando il 24 dicembre 1945 Pio XII annuncia il suo primo concistoro per la creazione di cardinali, il più numeroso fino ad allora registrato e che il papa tiene il 18 febbraio: gli ecclesiastici rivestiti della porpora romana da Pacelli sono ben 32, di cui soltanto quattro italiani. «Un’immagine viva dell’universalità della Chiesa» sottolinea il papa in quella vigilia di Natale, perché «come abbiamo veduto negli anni trascorsi del nostro pontificato confluire nell’eterna città, nonostante la guerra, uomini di ogni nazione e delle più lontane regioni, così avremo ora, cessato il conflitto mondiale, la consolazione — piacendo al Signore — di veder affluire intorno a noi nuovi membri del sacro collegio provenienti dalle cinque parti del mondo». E, quasi a prevenire le critiche per la drastica riduzione degli italiani, Pacelli aggiunge che l’Italia non «ne rimarrà diminuita, ché anzi splenderà agli occhi di tutti i popoli come partecipe» della grandezza e dell’universalità della Chiesa che l’ultimo papa romano definisce «soprannazionale»: madre che «non appartiene né può appartenere esclusivamente a questo o a quel popolo» e che «non è né può essere straniera in alcun luogo». Così, dopo un secondo concistoro nel 1953, alla fine del pontificato di Pio XII i cardinali italiani crolleranno al 27 per cento (14 su 52) mentre gli europei scenderanno sotto i due terzi.
È dunque questo il vero inizio dell’internazionalizzazione del sacro collegio, continuata in proporzioni diverse dai suoi successori. Nelle creazioni di Giovanni XXIII — che oltrepassa il numero dei cardinali fissato da Sisto v quasi quattro secoli prima e moltiplica le nazionalità — gli italiani risalgono infatti al 42 per cento (22 su 52) e gli europei ben oltre i due terzi. Al pari di Pacelli, a innovare incisivamente per quanto riguarda il sacro collegio è Paolo VI, che crea ben 143 cardinali: tra loro 38 italiani, che tornano così a scendere e non superano il 27 per cento; ma soprattutto a calare in maniera sensibile, sotto i due terzi, sono gli europei.
All’inizio degli anni settanta a Montini — che secondo John F. Broderick dichiara pubblicamente i criteri delle sue creazioni cardinalizie come nessun altro predecessore aveva fatto — risalgono altre due misure radicalmente innovative nella storia del sacro collegio: l’esclusione dei cardinali ultraottantenni dal diritto di voto attivo in conclave e l’innalzamento del limite degli elettori, fissato a 120. Nei due conclavi del 1978 entrano così 111 elettori, e sono 115 in quello del 2005, con una sostanziale parità numerica — nei tre conclavi — tra europei e non europei, mentre in quello del 2013 tra gli elettori vi è un leggero aumento dei cardinali europei (60 su 115), conseguente alle scelte di BenedettoXVI.
Primo papa non europeo da quasi tredici secoli, Francesco ha creato 44 cardinali elettori: tra loro, meno di un terzo sono europei, e cioè 14 (metà dei quali italiani, circa il 16 per cento). Così, all’indomani della terza creazione cardinalizia di Bergoglio, il 29 novembre 2016, gli elettori erano 120, cioè il numero massimo previsto dalla riforma di Paolo VI e solo episodicamente oltrepassato dai suoi successori. Tra i cardinali elettori i 66 non europei erano ormai in una maggioranza — già registrata per brevi periodi nell’ultimo quarantennio, ma più accentuata e destinata ad aumentare — a fronte dei 54 europei (tra questi, ben 25 italiani). Nel complesso, un quadro molto variegato e che anche nella composizione del collegio cardinalizio rispecchia ed esprime davvero, come ha detto il pontefice settant’anni dopo il primo concistoro di Pio XII, l’universalità della Chiesa.
L'Osservatore Romano