venerdì 20 gennaio 2017

Venerdì della II settimana del Tempo Ordinario. Comento audio al Vangelo



Gesù chiama quelli che “vuole". In spagnolo amare e volere si esprimono con la stessa parola, “querer”. E’ salito sul monte Golgota perché solo inchiodato sulla Croce dai nostri peccati poteva conoscere e così volere e amare ciascuno di noi “così come siamo”. Che follia... Gesù vuole e sceglie in base al requisito che chiunque rifiuterebbe. Non ci ha scelto per le nostre capacità ma per quello che nascondiamo. Come ha voluto e scelto quei dodici uomini perché conosceva il loro cuore e sapeva che l’avrebbero vigliaccamente tradito: ha voluto e scelto la povertà e la debolezza dei peccatori, tu ed io, per poterli amare. E’ questo il senso di ogni chiamata. Per questo proprio dalla Croce che oggi ci limita e umilia nella nostra realtà, il Signore ci attira a sé per strapparci alla superbia che ci obbliga a essere il dio che non siamo accogliendoci senza riserve nel suo amore. L'abbandono del ministero, come il divorzio, le fughe di ogni giorno dal sacrificio e dalla sofferenza nascono sempre da un errore di prospettiva che ci fa scambiare Colui che chiama con colui che è chiamato. Quando entriamo in crisi dinanzi alla nostra debolezza per l’orgoglio con cui il demonio vorrebbe rubarci la chiamata, occorre tornare sempre alla sua origine che è Cristo e lo stare stare con Lui nella Chiesa, dove sperimentare il suo amore che assume la nostra realtà per trasfigurarla. Come ha fatto con Giacomo di Zebedèo e Giovanni suo fratello, ai quali diede il nome di Boanèrghes, figli del tuono. Come ti chiamerà oggi il Signore? Lucia “figlia della burrasca” per la tua nevrosi? Giuseppe “pentola di fagioli” per la tua pignoleria che ti fa puntualizzare su tutto? Claudio “topo gigio” perché sempre timoroso a causa delle sofferenze patite? Marisa “nuvole e sole” per i cambiamenti di umore repentini? Ebbene, proprio i difetti e le debolezze, le sofferenze della storia che nel mondo attirano ironia e spesso disprezzo e rifiuto sono il nome nuovo - il suo - che Gesù imprime in noi unendoci a Lui sulla Croce dove ci "fa" apostoli. Attraverso la Parola, i sacramenti e la comunione con i fratelli, come un artigiano, plasmando la materia grezza che gli offriamo crea in noi la sua immagine. Apostolo infatti significa inviato, in ebraico “shaliah”, ovvero un altro se stesso di colui che lo inviava. Come la Sposa dell’Agnello, senza macchia né ruga, bella della bellezza del suo Sposo; la comunità che ci accoglie e della quale, fondati sulla fede degli Apostoli, siamo chiamati ad essere le porte sempre aperte per offrire al mondo la salvezza. Niente più paura, perché Cristo ha vinto la morte e la notte non esiste più; nella Chiesa Egli ha il potere di trasformare tutte le debolezze in pietre preziose e meravigliose attraverso le quali risplende la luce del giorno eterno sul mondo. Sì, sulla Croce le lacrime, i lutti, il pianto, tutto di noi rifulge della gloria della resurrezione, predicazione credibile del Regno che pregustiamo e vessillo di vittoria capace di scacciare i demoni che tengono schiavi gli uomini con la paura della morte.