martedì 28 febbraio 2017

Come si scivola all’inferno



di Gonzalo Miranda.
In Olanda c’è chi vuole ora dare la possibilità di venire ucciso legalmente anche a chi semplicemente è stufo della vita. È la proposta avanzata con lettera formale al Parlamento da parte dei ministri della Salute e della Giustizia. Il testo è ovviamente un po’ meno diretto: il diritto a “terminare la propria esistenza” verrebbe concesso alle “persone che hanno l’opinione… che la loro vita sia completa”. Evidentemente la restrizione della legge attuale alle sole persone affette da una malattia inguaribile sembra troppo limitante.
Operazione simile nello stato americano dell’Oregon, nel quale alcuni pretendono di allargare il diritto al suicidio assistito per coloro che non sono in grado di svolgere attività che rendono la vita godibile. Difatti, sembra che una buona maggioranza delle persone che ricorrono al suicidio assistito lo facciano semplicemente perché sono stanche di vivere.
Posizioni estreme? Per niente: posizioni perfettamente coerenti, una volta accettata la posizione estrema di rendere legale che un cittadino ponga fine alla vita di un altro o l’aiuti a farla finita.
Nel dibattito bioetico sul tema dell’eutanasia, molti autori hanno preannunciato la discesa del “pendio scivoloso” (the slippery slope): una volta che si accetta o si legalizza un certo comportamento, si andrà giù giù fino a giustificare altre azioni oggi considerate inammissibili. Altri rifiutano questo ragionamento come infondato, anzi una “fallacia logica”. Spesso, i critici del concetto del “pendio scivoloso”, considerano certe derive abbastanza improbabili (almeno nel nostro tempo e nella nostra società). Su Wikipedia, c’è addirittura una voce dedicata alla “Fallacia della brutta china”, dove si fa un esempio di successione considerata del tutto arbitraria. Il ragionamento fallace andrebbe così: “L’eutanasia è pericolosa. Si comincia col dare la morte a quelli che la chiedono. Poi a quelli che presumibilmente la chiederebbero. Poi a quelli che dovrebbero chiederla. Poi a quelli che la meritano”. L’obiezione di alcuni autori consiste nel negare che se si legalizza l’eutanasia si cadrà necessariamente nei crimini praticati dal regime Nazista.
In realtà non si tratta necessariamente di dire che se cominci qui scivolerai fino all’inferno. Anche se ti fermi un po’ prima c’è da preoccuparsi. Proviamo infatti a verificare la successione (questa sì, fallace) dell’esempio citato: si comincia col dare la morte a quelli che la chiedono. Poi a quelli che non la chiedono. Già fatto: eutanasia per bambini sofferenti in Belgio. Oppure: Si comincia col dare la morte a chi è malato terminale. Poi anche a chi non è terminale ma soffre di una malattia fisica con dolori insopportabili. Poi pure a chi non è malato fisicamente ma soffre psicologicamente. Già fatto: dalla legge del 1993 a quella del 2002; e prima di quest’ultima, diverse sentenze giudiziarie. E, se si accogliesse la recente proposta in Olanda: si comincia col dare la morte a chi è malato terminale… Poi a quelli che pensano che la loro vita sia completa. Ancora da fare.
In realtà, la discesa sul “pendio scivoloso” è, più che una teoria, un dato di fatto: basta conoscere un po’ la storia di leggi e sentenze nei Paesi in cui l’eutanasia o il suicidio assistito sono stati legalizzati. E il fatto che molti la prevedessero tempo fa risponde semplicemente a come funziona la logica umana. Se si accetta un determinato comportamento in funzione di determinati principi, seguiranno poi facilmente comportamenti simili basati sugli stessi principi. Logica e coerenza.
Sono due i principi che avallano fondamentalmente la giustificazione dell’eutanasia e dell’assistenza al suicidio: Compassione e Libertà. Non è un caso che la principale agenzia pro eutanasia degli Stati Uniti si chiami oggi “Compassion and Choice” (alcuni anni fa era la “Hemlock Society” — “Società Cicuta”: sicuramente meno carino come nome). Interessante notare come quasi sempre gli autori danno molta importanza al “and” (compassione e scelta libera), in maniera alquanto incoerente.
Da una parte, si dice che si tratta di una questione di autonomia e libertà: ognuno è padrone della propria vita e dovrebbe poter decidere come e quando finirla. Se però, rispondi che allora anche un ragazzo di 25 anni, stufo di vivere per qualunque motivo, dovrebbe poter porre fine alla propria vita con il servizio eutanasico da parte dello Stato; anzi, che se siamo coerenti, non dovremmo nemmeno chiedergli per quale motivo lo voglia fare, molti protestano e ti accusano di demagogia. Anche la lettera dei due ministri olandesi al Parlamento si premura di chiarire che l’opinione che la vita sia completa deve essere “attentamente considerata” (e chi decide se la considerazione è stata “attenta”?). É o non è, ognuno, libero di decidere?
Viceversa, se l’eutanasia si giustifica per compassione verso chi soffre (fisicamente o mentalmente), perché negarla a chi non la può chiedere, solo per il fatto di non poterlo fare, per esempio il bambino piccolo, magari a richiesta dei genitori? Certo, parlare in modo così netto non aiuta molto alla causa delle promozione dell’eutanasia. Si preferisce andare, scivolare, piano piano. Una strategia molto più efficace.
Padre Gonzalo Miranda, LC, è uno dei relatori al seminario residenziale di studi sociali (Scuola di resistenza al pensiero unico), organizzato dall’Associazione “Vita è”, che si svolge da sabato 29 a lunedì 31 ottobre presso la Fraternità Francescana di Betania a Cella di Noceto (Pr). Tra i relatori figura anche l’arcivescovo emerito di Bologna, cardinale Carlo Caffarra. Per informazioni: vitae.formazione@gmail.com

Gesù salva, Mosè investe e il Guru spende...

Chi è Osho? La sua spiritualità è valida per i cristiani?



Gesù salva, Mosè investe e il Guru spende – Da un adesivo presente sul parabrezza della Rolls Royce di Osho”. (1)

1- Chi era Osho?

Nato nel 1931 con il nome di Rajneesh Chandra Mohan a Kuchwara, India, in una famiglia giainista, era un professore di filosofia e sanscrito all’Università di Jabalpur (India). Nel 1966 abbandona la sua carriera, viaggia in India per tre anni e poi crea la Fondazione Rajneesh. Da quel momento cambia il suo nome in Bhagwan Shree Rajneesh (che tradotto sarebbe “Signore Dio”).
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“Nel 1981 Rajneesh fugge improvvisamente da Puna a causa delle accuse di frode fiscale” (2) e si trasferisce ad Antelope (Oregon, USA), dove ha fondato una sorta di ashram con 1300 seguaci, chiamato “Rajneeshpuram”.
“Dopo essersi trasferito in Oregon nel 1981, fino alla metà di quel decennio, il suo movimento crebbe molto rapidamente. In Europa ha aperto una catena di ristoranti e discoteche, chiamato Zorba il Buddha (…) i suoi adepti cominciarono a praticare la prostituzione per aumentare le casse del guru. Ricordiamo che possedeva novantadue Rolls Royce, sei aerei e una collezione inestimabile di gioielli (…) Nel 1983, il governo degli Stati Uniti tolse lo status di città alla Comune del Rajneeshpuram, perché in contrasto con il divieto costituzionale della separazione tra Stato e Chiesa. Un anno dopo iniziò a ricevere denunce, da parte di diversi genitori, in merito al presunto lavaggio del cervello nei confronti dei figli e in merito alla grande quantità di armi che circolavano nella Comune (…) Il Pubblico Ministero scoprì che nella Comune il Guru, apostolo di pace e di amore, aveva un suo esercito privato dotato di armi modernissime (pistole, mitragliatrici Uzi-B, Magnum 44, fucili d’assalto m-16, etc)”. (1)
“Nel 1985 è stato processato per 35 accuse federali (possesso di documenti di immigrazione falsi, etc.). Condannato, accetta di lasciare gli Stati Uniti e di pagare una multa di 40.000 dollari. Tornò quindi a Puna, in India”. (3) Negli ultimi anni della sua vita fu conosciuto come “Osho”. Morì il 19 gennaio 1990, in India.
(1) Alfredo Silletta – Sectas, cuando el paraíso es un infierno.
(2) Mather & Nichols – Diccionario de Creencias, Religiones, Sectas y Ocultismo.
(3) Manuel Guerra – Diccionario Enciclopédico de las Sectas.


2- Che cos’è il rajneeshismo, e cosa i neo-sannyas o neo-sannyasin?

Il rajneeshismo è una dottrina pregna di sincretismo, un mix delle varie tradizioni dell’India: induismo e buddismo tantrico insieme a un po’ di sufismo e di cristianesimo. Da tutto ciò deriva un panteismo che insegna che l’universo sarebbe governato da una “bio-energia” o “energia vitale”, cioè da un’”anima cosmica”. Come mezzo per accedere alla conoscenza non dà valore alla ragione, né ai sensi, né alla fede, bensì all’esperienza interiore. Da qui il suo disprezzo per tutte le religioni e per i loro fondatori.
“Rajneesh abbracciò le idee del sesso libero e della completa liberazione delle inibizioni (…) Oltre al sesso libero, l’insegnamento più radicale di Rajneesh era che l’unità familiare dovesse venire completamente smantellato. Disse che la famiglia era “la più grande minaccia al progresso umano”. Molti scrittori cristiani hanno visto questo come uno dei segni che si trattasse di una setta. Rajneesh restituì l’accusa al mittente, denunciando il Papa e Madre Teresa e dichiarando che il Cristianesimo stesso fosse una setta”. (4)
“Il Parlamento europeo ha incluso il rajneeshismo tra le sette pericolose”. (5)
I suoi seguaci vengono chiamati neo-sannyas o neo-sannyasin. Tra le loro pratiche citiamo il vegetarismo, una sottomissione totale a Rajneesh, la “resa totale dei beni patrimoniali (…) vagano nudi per la stanza, mentre si sfogano alternando esteriorizzazioni di rabbia, sospiri profondi, risate, carezze, baci, etc., in sessioni di 15 minuti”. (6)
(4) Mather & Nichols – Diccionario de Creencias, Religiones, Sectas y Ocultismo.
(5) Manuel Guerra – Dizionario enciclopedico delle sette.
(6) Ibid.

3- Il pensiero di Osho

Osho fu istruito nel giainismo. Il giainismo è una religione indiana, fondata nel VI secolo a.C. da Vardhamana Mahavira, che si oppone alla casta sacerdotale e ai testi sacri indù. I suoi seguaci credono nella reincarnazione e negano che ci sia un Dio creatore, benché credano in diverse divinità (Arhat). Nonostante le basi religiose di Osho fossero il tranteismo e nel pananimismo giainista, la sua visione era più che altro prossima al monismo indù. Secondo tale pensiero, tutto è illusione; l’unica cosa reale è Dio. Considerando che il suo soprannome dovrebbe essere tradotto come “Signore Dio”, appare evidente che il guru credeva che lui era l’unica cosa reale.


4- Osho, la scienza e la religione

Il guru avrebbe detto sulla scienza e la religione: “Voglio dirti che la scienza è il valore supremo. E ci sono due tipi di scienza: una, una scienza oggettiva, che riguarda il mondo esterno; e la seconda, una scienza soggettiva, che finora è stata chiamata religione. Ma è meglio non darle questo nome. È meglio chiamarla la scienza dell’interiorità, e dividere la scienza in due parti – scienza oggettiva e scienza soggettiva. Ma falla diventare un tutto unico, solido, e la scienza rimane il valore supremo – non c’è nulla di più alto”. (7)
Non esiste una scienza oggettiva e una soggettiva. La scienza è oggettiva, a prescindere dal fatto che chi la applichi sia soggettivo. Per quanto riguarda la “scienza soggettiva”, questa non esiste, a meno che la religione non sia una scienza.
Contraddittoriamente, nel libro “Dal sesso all’eros cosmico” nel capitolo intitolato “Liberazione”, dice: “Tuttavia, in nome della religione ci hanno insegnato la negazione della vita. La filosofia della religione è stata orientata verso la morte, non la vita. Predica che è importante ciò che viene dopo la vita, e che ciò che precede la morte non abbia senso. Finora, la religione ha adorato la morte, ma non ha mostrato alcun rispetto per la vita”.
(7) Osho.com

5- Perché l’insegnamento della Chiesa non è compatibile con il pensiero di Osho?

Oltre a questioni di carattere squisitamente etico, il pensiero cristiano non è compatibile con l’idea di monismo, perché questo sostiene che ogni cosa o persona sia soltanto una parte di un unico essere universale, e che la realtà sia fondamentalmente spirituale, cercando così di risolvere ogni dualismo non lasciando spazio alla trascendenza di Dio. Per questo tipo di approccio panteistico, cioè, tutto è Dio. Un Dio assolutamente immanente, del quale saremmo dei frammenti, esseri senza libertà: una capricciosa illusione.


Traduzione dallo spagnolo a cura di Valerio Evangelista

Basta un click!



A colloquio con il direttore internazionale Frédéric Fornos. Un click per pregare / Intenzioni dell’Apostolato della preghiera per il 2018 

(Nicola Gori) Più di quattrocentomila persone utilizzano l’app Click to pray, lasciandola aperta almeno cinque minuti. Ciò significa che le persone non si limitano a scaricarla, ma la usano per la preghiera. Questa nuova comunità digitale affianca già da un anno la Rete mondiale di preghiera del Papa (Apostolato della preghiera) e la rende ancora più conosciuta. A parlarne in questa intervista all’Osservatore Romano è il direttore internazionale della Rete, il gesuita Frédéric Fornos, che presenta anche le intenzioni di preghiera affidate da Papa Francesco al movimento per il 2018.
Quali sono le principali novità delle intenzioni del prossimo anno?
Le novità corrispondono alle preoccupazioni che il Papa ha riguardo alle sfide del mondo e alla missione della Chiesa, o sono legate a eventi importanti che si celebrano nel 2018. A febbraio, per esempio, Francesco chiede di pregare e di mobilitarsi contro la corruzione, un tema molto presente nel suo ministero. Credo sia la prima volta che un Pontefice chieda di pregare affinché chi detiene il potere non si lasci trascinare dalla corruzione. Non dimentichiamo poi che nel 2018 ricorrerà il venticinquesimo anniversario dell’assassinio di don Pino Puglisi, martire per mano della mafia. Un altro esempio è l’intenzione di novembre — «Perché il linguaggio del cuore e del dialogo prevalgano sempre sul linguaggio delle armi» — in occasione del centenario della fine della prima guerra mondiale. Sappiamo quanto il Papa, in un contesto mondiale di “guerra a pezzi”, continui a denunciare le conseguenze drammatiche dei conflitti umani. Metterei in relazione anche l’intenzione di preghiera sulla missione dei laici al trentesimo anniversario della Christifideles laici e l’intenzione sulle famiglie all’incontro mondiale che si svolgerà dal 22 al 26 agosto in Irlanda. In ogni caso, le intenzioni non sono sempre legate a eventi specifici: sono chiavi per la missione. 
Ci sono aspetti particolari sui quali concentrate il vostro impegno?
La nostra missione è di pregare per le intenzioni della Chiesa universale: ciò significa far sì che queste intenzioni orientino la nostra vita e la nostra missione. Per questo invitiamo tutti quelli che partecipano alla Rete mondiale di preghiera del Papa a offrire ogni mattina le loro vite al Signore, con una preghiera che indichi la disponibilità a essere al servizio della missione di Cristo nelle nostre attività, lavori, relazioni. Fin dall’inizio la nostra rete ha aiutato i cristiani ad alimentare una preghiera apostolica, ma a volte si è perso questo dinamismo missionario. Vogliamo tornare a questa dimensione con una preghiera “connessa” al mondo. Nei prossimi due anni ci orienteremo in questa direzione e perciò saremo sempre più al servizio delle parrocchie e approfondiremo la spiritualità del cuore di Gesù come fonte per la missione.
Il video mensile con l’intenzione del Papa, lanciato nel gennaio 2016, sta raggiungendo l’obiettivo?
Lo scopo era, durante il giubileo della misericordia, quello di far conoscere le intenzioni del Pontefice non soltanto alla maggioranza dei cattolici ma anche a tutte le persone di buona volontà, qualunque fosse la loro tradizione religiosa o convinzione filosofica. Dobbiamo ancora lavorare in questo senso, ma i risultati sorpassano ampiamente le aspettative. C’è da tener conto che solo nelle reti vaticane già ci sono più di 13 milioni di visualizzazioni, senza contare gli oltre 4200 mezzi di comunicazione sociale che lo fanno conoscere in 9 lingue. Il video del Papa ha un impatto mondiale, milioni di persone lo vedono e lo utilizzano nelle loro parrocchie, gruppi e movimenti. È attualmente un riferimento ecclesiale. La sua qualità e la sua presenza nelle reti sociali lo hanno reso adatto anche ai giovani, senza contare che viene utilizzato da molte conferenze episcopali. Con questo progetto Francesco può rivolgersi direttamente a una rete mondiale di cattolici di tutti i continenti, che tocca 98 paesi. Il Papa ha apprezzato questa modalità di invito alla preghiera, tanto che ci ha chiesto di continuare nel 2017.
Quanto all’uso dell’app Click to pray, ha qualche dato statistico?
La piattaforma di preghiera del Papa, Click to pray, animata dalla Rete mondiale di preghiera e dal nostro ramo che coinvolge le nuove generazioni, il Movimento eucaristico giovanile (Mej), si sta sviluppando rapidamente. Abbiamo superato le 420.000 persone nella comunità Click to pray (app e reti sociali diverse, come Facebook, Twitter, Youtube, blog, website, newsletter) in lingua spagnola, portoghese, inglese e francese. L’app è stata scaricata più di 110.000 volte e il tempo di utilizzo per sessione ha raggiunto cinque minuti, un dato per noi impensabile. Ciò indica quando qualcuno apre l’app lo fa realmente per pregare. Stiamo ora preparando la versione Click to pray in tedesco e in cinese. Ci sono in progetto anche altre lingue, come l’italiano. La usano molti giovani, non solo per scandire la propria giornata con la preghiera di offerta, la riflessione sulla Parola e l’esame di coscienza, ma anche per condividere le loro intenzioni e ricevere l’appoggio orante di altri fratelli e sorelle. 
Quali novità ci sono state dopo che il Papa l’ha nominato direttore internazionale della Rete e del Mej nel luglio 2016?
Siamo appena all’inizio di un cambiamento. Questo servizio ecclesiale della Santa Sede resta affidato alla Compagnia di Gesù. Siamo presenti in 98 paesi del mondo a livello parrocchiale e popolare, e la maggioranza dei responsabili locali — sacerdoti diocesani, religiose, religiosi, laici — hanno diversi stili ecclesiali e spiritualità differenti. Quello che cambia per me è l’essere nominato direttamente dal Papa: ciò mi aiuta molto chiaramente nel rapporto con i vescovi e le conferenze episcopali o con le realtà diocesane per promuovere questo servizio. L’ho visto chiaramente negli ultimi viaggi che ho fatto in Corea del Sud, Giappone, Vietnam, Australia, Uganda, Repubblica democratica del Congo e Rwanda. Penso che a poco a poco le conferenze episcopali, dovendo approvare la nomina dei vari direttori nazionali, scopriranno anche con un nuovo sguardo questa missione che ha già 172 anni — 100 anni per il Mej — ma che sta incontrando, nel suo processo di ri-creazione, un nuovo dinamismo al servizio della missione della Chiesa.
***
Intenzioni dell’Apostolato della preghiera
Per il 2018
Pubblichiamo il testo italiano delle intenzioni che il Papa ha affidato alla sua rete mondiale di preghiera (Apostolato della preghiera) per il 2018. Nel corso dell’anno, ogni mese è dedicato a un’intenzione per l’evangelizzazione o a un’intenzione universale.
GENNAIO
Per l’evangelizzazione: Perché, nei paesi asiatici, i cristiani, come pure le altre minoranze religiose, possano vivere la loro fede con tutta libertà.
FEBBRAIO
Universale: Perché coloro che hanno un potere materiale, politico o spirituale non si lascino dominare dalla corruzione.
MARZO
Per l’evangelizzazione: Perché tutta la Chiesa riconosca l’urgenza della formazione al discernimento spirituale, sul piano personale e comunitario.
APRILE
Universale: Perché i responsabili del pensiero e della gestione dell’economia abbiano il coraggio di rifiutare un’economia dell’esclusione e sappiano aprire nuove strade.
MAGGIO
Per l’evangelizzazione: Perché i fedeli laici compiano la loro specifica missione mettendo la loro creatività al servizio delle sfide del mondo attuale.
GIUGNO
Universale: Perché le reti sociali favoriscano la solidarietà e il rispetto dell’altro nella sua differenza.
LUGLIO
Per l’evangelizzazione: Perché i sacerdoti che vivono con fatica e nella solitudine il loro lavoro pastorale si sentano aiutati e confortati dall’amicizia con il Signore e con i fratelli.
AGOSTO
Universale: Perché le grandi scelte economiche e politiche proteggano le famiglie come un tesoro dell’umanità.
SETTEMBRE
Universale: Perché i giovani del continente africano abbiano accesso all’educazione e al lavoro nel proprio paese.
OTTOBRE
Per l’evangelizzazione: Perché i consacrati e le consacrate risveglino il loro fervore missionario e siano presenti fra i poveri, gli emarginati e coloro che non hanno voce.
NOVEMBRE
Universale: Perché il linguaggio del cuore e del dialogo prevalgano sempre sul linguaggio delle armi.
DICEMBRE
Per l’evangelizzazione: Perché le persone impegnate nel servizio della trasmissione della fede trovino un linguaggio adatto all’oggi, nel dialogo con le culture.
Dal Vaticano, 13 febbraio 2017
Franciscus 

L'Osservatore Romano

Ecumenismo è: vivere Cristo.




(Riccardo Burigana) «Lund è stata una di quelle esperienze che cambiano la vita». Adesso però «è importante che questo dialogo non si viva solo a Roma o a Ginevra», ma «raggiunga le comunità locali». È quanto sostiene Munib Younan, dal 2010 presidente della Federazione mondiale luterana, ricordando l’incontro ecumenico vissuto in Svezia insieme a Papa Francesco, «mio fratello in Cristo». Younan, vescovo della Chiesa luterana evangelica in Giordania e in Terra santa, nei giorni scorsi a Firenze per partecipare al convegno «Rileggere la Riforma», ha accolto l’invito del nostro giornale a rispondere ad alcune domande sullo stato del dialogo ecumenico nel cinquecentenario della Riforma protestante e sull’impegno dei cristiani nella costruzione della pace nel mondo, in particolare in Terra santa.
Cosa rappresenta il dialogo ecumenico per la Federazione mondiale luterana?
Per i luterani l’ecumenismo è il centro della propria vita di fede; per questo la Federazione ha promosso dei dialoghi bilaterali con la Chiesa cattolica, la Chiesa ortodossa, le Chiese riformate e gli anglicani, delle conversazioni con i pentecostali e i battisti, un percorso penitenziale con i mennoniti. L’ecumenismo non è solo però un confronto teologico per capire come superare le divisioni. Deve cambiare il volto delle comunità, deve penetrare in profondità nell’esperienza quotidiana di ogni cristiano. Una delle questioni aperte è la recezione di quanto si è fatto dal punto di vista del dialogo teologico proprio nella vita quotidiana: lo spirito di Lund può aiutare i cristiani a scoprire che l’ecumenismo è vivere Cristo insieme per affrontare insieme le sfide che sono le stesse per tutti i cristiani.
Quali saranno i temi della prossima assemblea generale della Federazione che si terrà a Windhoek, in Namibia, dal 10 al 16 maggio?
Ogni sette anni la Federazione mondiale luterana tiene un’assemblea generale nella quale si discutono le linee guida per gli anni successivi. È un momento importante perché si incontrano i luterani da tutto il mondo per condividere le esperienze delle comunità locali. Quest’anno parleremo della Riforma, la quale costituisce un patrimonio spirituale che richiama tutti i cristiani, non solo i luterani, a riflettere sul fatto che siamo stati «liberati dalla grazia di Dio», tema dell’assemblea. A Windhoek saranno tre i punti di confronto: il primo è ricordare a tutti che la salvezza è gratuita e non può essere acquistata in alcun modo; si deve fuggire dall’idea che la prosperità del singolo è una strada che conduce alla salvezza, come qualcuno è tentato di dire leggendo qualche pagina delle sacre Scritture. Il secondo aspetto riguarda la dignità dell’uomo: non si può accettare la povertà, la schiavitù, la negazione dei diritti umani, tra i quali la libertà religiosa; i cristiani devono mettere al centro il rispetto per ogni uomo e per ogni donna condannando qualsiasi atto di violenza e di emarginazione. Il terzo punto concerne la salvaguardia della creazione: ci troviamo in un punto di “non ritorno”, come ripetono tanti scienziati; dopo gli accordi firmati a livello internazionale le Chiese devono lavorare per invertire la rotta nello sfruttamento del creato in modo da intervenire sui mutamenti climatici in atto. Non si tratta di qualcosa che tocca luterani e cattolici ma tutto il mondo: costruire la pace e la giustizia partendo dalla salvaguardia del creato è un compito che deve coinvolgere tutti.
Qual è lo stato delle relazioni tra la Federazione mondiale luterana e la Chiesa cattolica dopo l’incontro ecumenico di Lund?
Lund è stata una di quelle esperienze che cambia la vita: è stato importante viverla dopo la redazione del documento Dal conflitto alla comunione che ha aiutato luterani e cattolici a cercare sempre i punti di convergenza a partire da quanto già ci unisce; il documento indica cinque imperativi che devono guidare il cammino ecumenico, che parte dal comune riconoscimento dell’unico battesimo in Cristo. Nel presente del cammino ecumenico tra luterani e cattolici acquista una valenza profetica la diaconia nei confronti del mondo, poiché testimonia il comune impegno a favore degli ultimi. Lund è stata possibile perché da cinquant’anni cattolici e luterani hanno iniziato un dialogo ecumenico che ha prodotto dei documenti, ma soprattutto ha fatto crescere fiducia e amicizia; ora è importante che questo dialogo non si viva solo a Roma o a Ginevra, ma raggiunga le comunità locali. Nei prossimi mesi saranno affrontate le questioni che ancora separano luterani e cattolici; si discuterà dell’ecclesiologia, della natura del ministero e della comunione ecclesiale. In questo dialogo pesa il passato di secoli di silenzio. Il nostro passato non si può cambiare ma non deve determinare il nostro presente e il nostro futuro. Io sono sicuro che un giorno si potranno superare queste divisioni e si potrà condividere il pane della mensa eucaristica: tale cammino non dipende da noi, ma è nelle mani di Dio.
Come pensa che i cristiani stiano vivendo la commemorazione del cinquecentenario della Riforma?
Ci sono tre livelli per commemorare questo anniversario: rendere grazie al Signore, insieme, ricordandosi che questo non è mai stato fatto prima; pentirsi per i nostri peccati e per le nostre divisioni, sapendo bene che così noi possiamo vedere Cristo nel volto dell’altro; vivere questo anniversario in uno spirito ecumenico, cioè promuovere una missione condivisa nel mondo, soprattutto nel sud del mondo, dove più diffuse sono le situazioni di povertà. Commemorare insieme la Riforma significa così chiedersi cosa la Riforma dice a ciascuno di noi, sapendo bene che essa non si è conclusa nel XVI secolo ma resta viva nello spirito dell’espressione ecclesia semper reformanda che rinvia alla dinamicità di Cristo, il quale ci invita ad affrontare le sfide presenti. Concordo con Papa Francesco quando chiede di portare «il pulpito per la strada» in modo da rivolgersi a tutti: il mondo ha bisogno della Parola di Dio in un tempo in cui si diffonde sempre più la secolarizzazione e si avverte l’assenza di leader mondiali.
Qual è il suo giudizio sulla situazione della Terra santa?
In questo momento non sono ottimista, la pace sembra lontana, negli ultimi giorni la soluzione dei due stati è stata messa in discussione. Non esiste altra strada che quella del dialogo: la città di Gerusalemme non deve essere divisa ma condivisa diventando un luogo di dialogo. Ho anche paura per i cristiani del Medio oriente per la tentazione di lasciare tutto e partire per un altro paese; di fronte a questa tentazione, che ha già portato tanti cristiani a partire, ci si deve chiedere cosa sarebbe il Medio oriente senza cristiani. Proprio per provare a invertire la rotta si deve promuovere la giustizia con la quale riaffermare i diritti umani e la libertà religiosa per tutti. I cristiani di tutto mondo devono sentirsi responsabili della sorte dei cristiani di Terra santa: per questo devono sostenere spiritualmente e materialmente i fedeli che con la loro presenza possono aiutare alla costruzione della pace.
Cosa possono fare i cristiani per la pace? 
La pace non è una questione che riguarda solo la Terra santa: in tutto il mondo la pace è messa in discussione, anche per la comparsa di tanti politici che soffiano sul fuoco delle divisioni in nome di un interesse personale e locale ignorando il bene del mondo. L’egocentrismo è uno dei peccati più terribili nel mondo presente. I cristiani devono sempre aver presente che la costruzione della pace è un compito che è stato affidato loro da Dio. Di fronte a tale situazione la Chiesa deve far qualcosa: deve diventare la coscienza degli stati, assumere una leadership morale, parlando di giustizia a voce alta, senza aver paura. La Chiesa deve e può fare molto più di quanto i cristiani hanno fatto finora, anche perché, nel 2017, la Chiesa deve essere “una” nel chiedere giustizia, facendosi ascoltare dal mondo della politica con una voce sola.
Cosa fare per rifugiati e migranti?
Considero una vergogna la politica dei paesi europei che rifiutano di accogliere i migranti. È una vergogna per due motivi: dopo la seconda guerra mondiale tutta l’Europa ha vissuto la tragedia dei migranti e l’Europa ha responsabilità precise nelle crisi che sconvolgono il mondo, portando uomini e donne a scappare dai loro paesi, dalla Siria alla Somalia, al Sud Sudan. In questa prospettiva è importante il documento Dare il benvenuto agli stranieri che è stato firmato da tanti leader religiosi che così hanno voluto rispondere a una domanda dell’alto commissario per i rifugiati delle Nazioni Unite, chiedendo alla politica di fare qualcosa per una diversa accoglienza dei migranti. Io stesso sono un rifugiato e capisco bene cosa vuol dire cercare una vita, una dignità di vita. Nel mondo i luterani assistono oltre due milioni di migranti senza chiedere niente; in questo c’è una profonda sintonia. Si deve condannare l’islamofobia, l’antisemitismo, la cristianofobia, la xenofobia che non aiutano a costruire una cultura dell’accoglienza che è una risposta a Dio: chi darà un bicchiere d’acqua, non una bottiglia, avrà parte del regno di Dio.
Cosa pensa dell’impegno di Papa Francesco e del suo personale coinvolgimento nel movimento ecumenico?
Innanzitutto credo che sia stato importante ricordare che Giovanni XXIII, con il concilio Vaticano II, ha aperto una nuova stagione che è stata portata avanti dai suoi successori. Ho avuto la gioia di incontrare Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e Papa Francesco, facendo l’esperienza di quanto stava loro a cuore, non solo il cammino ecumenico ma la promozione del dialogo con tutti. Papa Francesco, il mio fratello in Cristo, ricorda che camminando insieme i cristiani sono più forti nell’annunciare Cristo. Il dialogo è il futuro: Papa Francesco lo ha compreso, lo fa e lo incarna. Nel dialogo e con il dialogo i cristiani sono chiamati a vivere insieme la pace, la giustizia, la salvaguardia del creato, l’amore.
L'Osservatore Romano

Il Papa a Milano

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Attesi 600mila fedeli. Il Papa a Milano, «boom di disabili» iscritti alla Messa 
Avvenire 
Conferenza stampa di presentazione: non sarà visita blindata. L'arcidiocesi: 3 milioni e 235mila euro il costo complessivo della visita, appello ai privati per contribuire.  -- «Un boom di disabili», per la visita del Papa il 25 marzo a Milano e Monza. Lo ha riferito monsignor Bruno Marinoni, Moderator curiae dell'arcidiocesi di Milano, alla conferenza stampa in Arcivescovado per la presentazione delle azioni messe in campo dalle istituzioni in vista della visita pastorale a Milano(...)




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Intervista del Santo Padre Francesco al mensile “Scarp de' tenis”
Sala stampa della Santa 
Riportiamo di seguito l’intervista che il Santo Padre Francesco ha rilasciato al periodico “Scarp de’ tenis”, mensile della strada, progetto editoriale e sociale sostenuto da Caritas Ambrosiana e Caritas Italiana. L’intervista è stata realizzata in preparazione della visita del Papa nella diocesi di Milano, in programma il 25 marzo 2017:
Intervista del Santo Padre
Santo Padre, parliamo del popolo degli invisibili, delle persone senza dimora. Poche settimane fa, all’inizio dell’inverno e con l’arrivo del grande freddo, ha dato ordine di accoglierli in Vaticano, di aprire le porte delle chiese. Come è stato accolto il suo appello?
L’appello del Papa è stato ascoltato da molte persone e da molte parrocchie. In tanti l’hanno ascoltato. In Vaticano ci sono due parrocchie e ognuna di loro ha ospitato una famiglia siriana. Molte parrocchie di Roma hanno aperto le porte all’accoglienza, e so che altre, non avendo posto nelle canoniche, hanno raccolto il denaro per pagare l’affitto a persone e famiglie bisognose per un anno intero. L’obiettivo da raggiungere deve essere quello dell’integrazione, per questo è importante accompagnarli per un periodo iniziale. In tante parti d’Italia è stato fatto molto. Le porte sono state aperte in molte scuole cattoliche, nei conventi, in tante altre strutture. Per questo dico che l’appello è stato ascoltato. So anche di molte persone che fanno offerte in denaro affinché si possa pagare l’affitto per le persone senza dimora. (...)

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Vatican Insider


(Andrea Tornielli) In preparazione alla visita del 25 marzo il mensile «Scarp de' tenis» venduto dai senza dimora pubblica un lungo colloquio con Francesco: «Ho un grande desiderio, mi aspetto di incontrare tanta gente». Era già accaduto con un giornale delle villas miserias argentine, «Carcova News», poi con un giornale di strada olandese di Utrecht, «Straatnews». Ma non c'è due senza tre. In vista dell'ormai prossima visita a Milano, che avverrà sabato 25 marzo 2017, Francesco ha rilasciato una lunga intervista a un mensile dei senzatetto milanesi. «Scarp de’ tenis» è un giornale, ma anche un progetto sociale. Protagonisti del quale sono le persone senza dimora, e altre persone in situazione di disagio personale o che soffrono forme di esclusione sociale. Il giornale intende dare loro un’occupazione e integrare il loro reddito. Ma intende in primo luogo accompagnarli nella riconquista dell’autostima. A realizzare l'intervista il direttore Stefano Lampertico e Antonio Mininni, venditore prima e poi storico responsabile della redazione di strada. Ecco ciò che il Papa ha detto loro.

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Radio Vaticana
Il cardinale arcivescovo di Milano Angelo Scola ha illustrato oggi in conferenza stampa la visita pastorale che Papa Francesco compirà nel capoluogo lombardo il prossimo 25 marzo. Ce ne parla da Milano Fabio Brenna: Papa Francesco viene per confermarci nella fede per indicarci quello che conta veramente nella vita. E’ questo l’obiettivo dell’intensa giornata di sabato 25 marzo, secondo l’arcivescovo di Milano, il cardinale Scola. Ritmi intensi per una visita (...)

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Diocesi Milano
(Annamaria Braccini) L'impegno collegiale di tutte le istituzioni coinvolte sottolineato nella conferenza stampa in Arcivescovado che ha aggiornato sull’organizzazione e illustrato le azioni messe in campo in vista del 25 marzo. Manca meno di un mese alla visita di papa Francesco a Milano e la macchina organizzativa, ormai, è in movimento a pieno regime. Così, nella Sala convegni dell’Arcivescovado, la conferenza stampa convocata per fare il punto della situazione, specie per quanto riguarda (...)

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La Repubblica 
Papa Francesco, durante la sua visita a Milano, ha espresso il desiderio di incontrare 'uno a uno' i detenuti del carcere di San Vittore. Lo ha detto il responsabile dell'Ufficio comunicazioni sociali della diocesi di Milano, don Davide Milani, durante la conferenza stampa in cui sono stati resi noti i dettagli della visita papale nel capoluogo lombardo. Secondo il programma, infatti, Papa Francesco, si rechera' al carcere di San Vittore alle 11.30 di domenica 25 marzo dove incontrera' i detenuti e pranzera' con loro. (...)
Papa Francesco a Milano il 25 marzo: saluterà i detenuti a San Vittore (Sole 24 Ore)

Medjugorje: tutto falso

ANDREA TORNIELLI
Il vescovo di Mostar: “Non autentiche le apparizioni di Medjugorje”

Monsignor Peric pubblica un lungo articolo ripetendo alcuni argomenti contro l’autenticità del fenomeno proprio alla vigilia dell’arrivo dell’inviato del Papa che deve occuparsi dei pellegrini

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Le “apparizioni" dei primi sette giorni a Medjugorje
Biskupije Mostar-Duvno i Trebinje-Mrkan 


"Se la vera Madonna, Madre di Gesù, non è apparsa – come infatti non è – allora a tutto sono da applicare le seguenti formule: “sedicenti” veggenti, “presunti” messaggi, “preteso” segno visibile e “cosiddetti” segreti."
(Mons. Ratko Perić, vescovo di Mostar) Dato che la "Chiesa del Dio vivente“ è "colonna e sostegno della verità” (1 Tim 3,15), tutte le indagini finora condotte sul “fenomeno di Medjugorje” sono tese a constatare la verità: le apparizioni sono autentiche o non autentiche? Constat vel non de supernaturalitate? A ciò sono servite la prima Commissione diocesana di Mostar: 1982-1984, la Commissione allargata: 1984-1986, la Commissione della Conferenza Episcopale di Zagabria: 1987-1990, la Commissione della Congregazione per la Dottrina della Fede in Vaticano: 2010-2014 e infine la valutazione della stessa Congregazione: 2014-2016, come stabilito da papa Benedetto XVI. Crediamo che tutto sia stato consegnato nelle mani del Santo Padre Papa Francesco. (...) 

Tutto e niente



«Contento, Señor, contento!»: il volto sorridente di un santo contemporaneo, il cileno Alberto Hurtado, il quale anche nelle difficoltà e nelle sofferenze assicura al Signore di essere «felice», si è contrapposto a quello «rattristato» del «giovane ricco» evangelico nella meditazione di Papa Francesco durante la messa celebrata a Santa Marta, martedì 28 febbraio. Sono i due modi di rispondere al dono e alla proposta di vita che Dio fa all’uomo e che il Pontefice ha sintetizzato con un’espressione: «Tutto e niente».
L’omelia di Francesco ha preso le mosse da una considerazione sulla liturgia di questi «tre ultimi giorni prima della Quaresima» nella quale è presentato il «rapporto fra Dio e le ricchezze». Nel vangelo di domenica, ha ricordato, «il Signore è stato chiaro: non si può servire Dio e le ricchezze.
Non si possono servire due padroni, due signori: o tu servi Dio o servi le ricchezze». Lunedì, invece, «è stata proclamata la storia di quel giovane ricco, che voleva seguire il Signore ma alla fine era tanto ricco che ha scelto le ricchezze». Un passo evangelico (Marco, 10, 17-27) nel quale si sottolineava il monito di Gesù: «Quanto difficile è che un ricco entri nel regno dei cieli. È più facile che un cammello passi per la cruna di un ago», e la reazione dei discepoli «un po’ spaventati: “Ma chi si può salvare?”».
Martedì la liturgia ha continuato a proporre il brano di Marco prendendo in esame la reazione di Pietro (10, 28-31), che dice a Gesù: «Va bene e noi?». Sembra quasi, ha commento il Papa, che Pietro con la sua domanda —«Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito. Cosa tocca a noi?» — presentasse «il conto al Signore», come in una «negoziazione di affari». In realtà, ha spiegato il Pontefice, non era probabilmente «quella l’intenzione di Pietro», il quale, evidentemente, «non sapeva cosa dire: “Sì, questo se ne è andato, ma noi?”». In ogni caso, «la risposta di Gesù è chiara: “Io vi dico: non c’è nessuno che abbia lasciato tutto senza ricevere tutto”». Non ci sono mezze misure: «Ecco, noi abbiamo lasciato tutto», «Riceverete tutto». C’è invece «quella misura traboccante con la quale Dio dà i suoi doni: “Riceverete tutto. Non c’è nessuno che abbia lasciato casa o fratelli o sorelle o madri o padri o figli o campi per causa mia e per causa del Vangelo, che non riceva già ora in questo tempo cento volte tanto in case, fratelli, sorelle, madri, campi, e la vita eterna nel tempo che verrà”. Tutto».
Questa è la risposta, ha detto il Pontefice: «Il Signore non sa dare meno di tutto. Quando lui dona qualcosa, dona sé stesso, che è tutto».
Una risposta, però, dove emerge una parola che «ci fa riflettere». Gesù infatti afferma che si «riceve già ora in questo tempo cento volte in case, fratelli insieme a persecuzioni». Quindi «tutto e niente». Ha spiegato il Papa: «Tutto in croce, tutto in persecuzioni, insieme alle persecuzioni». Perché si tratta di «entrare in un altro modo di pensare, in un altro modo di agire». Infatti «Gesù dà se stesso tutto, perché la pienezza, la pienezza di Dio è una pienezza annientata in croce». Ecco quindi il «dono di Dio: la pienezza annientata». Ed ecco allora anche «lo stile del cristiano: cercare la pienezza, di ricevere la pienezza annientata e seguire per quella strada». Certamente un impegno che «non è facile».
Ma il Papa, seguendo la sua meditazione, è andato oltre e si è chiesto: «qual è il segno, qual è il segnale che io vado avanti in questo dare tutto e ricevere tutto?». Cosa fa capire, insomma, che si è sulla strada giusta? La risposta, ha detto, si trova nella prima lettura del giorno (Siracide 35, 1-15), dove è scritto: «Glorifica il Signore con occhio contento. In ogni offerta mostra lieto il tuo volto, con gioia, consacra la tua decima. Dà all’Altissimo secondo il dono da lui ricevuto e con occhio contento secondo la tua volontà». Quindi, «occhi contenti, lieto il volto, gioia...». Ha spiegato il Pontefice: «Il segno che noi andiamo su questa strada del tutto e niente, della pienezza annientata, è la gioia».
Non a caso «il giovane ricco si fece scuro in volto e se ne andò rattristato». Non era stato «capace di ricevere, di accogliere questa pienezza annientata». Invece, ha spiegato il Papa, «i santi, Pietro stesso, l’hanno accolta. E in mezzo alle prove, alle difficoltà avevano lieto il volto, l’occhio contento e la gioia del cuore. Questo è il segno».
Ed è a questo punto che il Papa è ricorso a un esempio tratto dalla vita della Chiesa contemporanea: «Mi viene in mente — ha detto — una frase piccolina di un santo, san Alberto Hurtado, cileno. Lavorava sempre, difficoltà dietro difficoltà, dietro difficoltà... Lavorava per i poveri». È un santo che «è stato perseguitato» e ha dovuto affrontare «tante sofferenze». Ma «lui quando era proprio lì, annientato in croce» diceva: «Contento, Señor, contento, “Felice, Signore, felice”».
Che sant’Alberto, ha concluso il pontefice, «ci insegni ad andare su questa strada, ci dia la grazia di andare su questa strada un po’ difficile del tutto e niente, della pienezza annientata di Gesù Cristo e dire sempre, soprattutto nelle difficoltà: “Contento, Signore, contento”».
L'Osservatore Romano