mercoledì 15 febbraio 2017

Chi fa la predica al Papa?

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PIETRO MESSA* (Vatican Insider)


Ogni anno a inizio Quaresima si svolge una settimana di Esercizi per la Curia romana; con papa Francesco essi si svolgono fuori dalle mura vaticane così da favorire il raccoglimento e in questo si può cogliere un tratto del suo essere gesuita. Ma l’influenza ignaziana fu determinante fin nell’istituzionalizzazione di tale momento; infatti Pio XI nel 1239 con l’enciclica Mens nostra oltre a evidenziare l’importanza degli esercizi spirituali annunciò che diede «le opportune disposizioni affinché un corso di santi spirituali Esercizi abbia luogo ogni anno in questa Nostra Sede Vaticana». E così da allora, eccetto alcune sporadiche eccezioni dovute a celebrazioni giubilari o conciliari, ogni anno qualcuno è chiamato a tenere un ritiro al papa e ai suoi collaboratori e la scelta dei predicatori è simultaneamente rivelatrice dell’orientamento di ogni pontificato e nel frattempo una indicazione per la Chiesa tutta.  

Così se ai tempi di Pio XI e Pio XII furono chiamati dei «professionisti» degli esercizi spirituali, ossia essenzialmente gesuiti e i cosiddetti «missionari di Rho», Giovanni XXIII invece invita anche un semplice parroco o lo stesso predicatore apostolico, il cappuccino padre Ilarino da Milano. Con Paolo VI la scelta si apre a orizzonti internazionali e a persone rappresentative del mondo ecclesiale, quali per esempio Bernhard Häring, il domenicano iniziatore dei preti operai Jacques Loew, Divo Barsotti, Maurice Zundel, il presidente del Consiglio episcopale latinoamericano monsignor Eduardo Francisco Pironio; per la prima volta è invitato anche un cardinale, cioè l’arcivescovo di Cracovia, Karol Wojtyla. L’ultimo a tenere gli esercizi alla Curia romana nel suo pontificato, pochi mesi prima della morte, fu il gesuita Carlo Maria Martini, in quel tempo rettore della Pontificia Università Gregoriana. Con Giovanni Paolo II numerosi sono i cardinali chiamati a predicare e tra di essi vi è anche Joseph Ratzinger e quest’ultimo divenuto Papa in parte continuerà tale linea. Con Francesco invece sono semplici sacerdoti che tengono le meditazioni. 

C’è anche da segnalare che in alcuni anni la scelta del predicatore è motivata da determinate ricorrenze e celebrazioni: così in prospettiva del Sinodo del 2008 inerente a «La Parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa» è stato invitato un biblista di fama internazionale ossia il gesuita Albert Vanhoye mentre nel 2015 a motivo dell’Anno della Vita consacrata è chiamato il carmelitano Bruno Secondin. Ma non secondario nella scelta dei predicatori è il Concilio Vaticano II e la sua recezione; infatti quasi come conseguenza della costituzione Dei verbum – che secondo una certa vulgata avrebbe riconsegnato alla Chiesa la Sacra Scrittura – negli ultimi decenni, oltre al già ricordato Albert Vanoye, vi sono altri biblisti di primo livello che predicano. Così nel 1978 è lo stesso rettore del Pontificio Istituto Biblico, ossia il gesuita Carlo Maria Martini; nel 1982 tocca al biblista francese Stalislas Lyonnet; poi al cardinale Giovanni Saldarini, pure lui biblista; non poteva mancare Gianfranco Ravasi che nel 2013 li predicò subito dopo l’annuncio delle dimissioni di Benedetto XVI; e nel 2016 Ermes Ronchi. 

Non è che prima ne fossero mancati quali per esempio il gesuita Giuseppe Filograssi, professore di Sacra Scrittura, che predicò per ben due volte gli Esercizi in Vaticano, ossia nel 1939 e nel 1944; interessante è considerare che nel frammezzo di tale predicazione nel 1943 fu pubblicata l’enciclica Divino afflante spiritu di Pio XII «sul modo più opportuno di promuovere gli studi biblici» in occasione del cinquantesimo anniversario della pubblicazione da parte di Leone XIII dell’enciclica Providentissimus Deus sullo «studio delle Sacre Scritture». 

Significativo che anche nel 2017 venga invitato un biblista ossia il padre Giulio Michelini; infatti è il quinto centenario della riforma protestante che si fa iniziare convenzionalmente con l’affissione nel 1517 alle porte della chiesa di Wittenberg da parte di Martin Lutero delle celebri tesi. E quale tratto caratterizzante del protestantesimo è indicata la preminenza data alla Sacra Scrittura; quindi la scelta di un biblista ha un significativo valore ecumenico. Tuttavia in Martin Lutero, come in altri che in quei secoli fecero propria l’ansia di riforma, vi fu un non marginale pensiero e azione antigiudaica – al riguardo importante l’introduzione di Adriano Prosperi al volume di Martin Lutero, «Degli ebrei e delle loro menzogne» (Torino 2008) – tanto che quando a Norimberga fu condannato a morte Julius Streicher, direttore della rivista antisemita nazista Der Stürmer, egli disse che al suo posto doveva esserci proprio Martin Lutero. Per esempio tra i Frati Minori osservanti spesso la predicazione era accompagnata da una ostilità verso gli ebrei come nel caso di Bernardino da Feltre – una sua predica a Firenze ebbe come esito l’aggressione della casa di un ebreo che stava per essere ucciso (cfr. Let. Pellegrini, «Tra la piazza e il Palazzo. Predicazione e pratiche di governo nell’Italia del Quattrocento», in «I frati osservanti e la società in Italia nel secolo XV», Spoleto 2013, pp. 120-121 – o Giovanni da Capestrano. Nel tentativo di comprensione di quest’ultimo il professore Giacomo Todeschini ha sintetizzato il tutto con l’espressione «guardiano della soglia» (cfr. F. Sedda, Giovanni da Capestrano un antisemita?, in L. Pezzuto, Giovanni da Capestrano. Iconografia di un predicatore osservante dalle origini alla canonizzazione, Roma 2016, pp. 279-287). 

Considerando tutto ciò significativo è che in questo 2017 il predicatore degli esercizi alla Curia romana non solo sia un biblista ma anche un appassionato degli studi ebraici (cfr. per esempio il suo contributo «Nicola da Lira e l’esegesi giudaica», in «I Francescani e gli Ebrei», Firenze 2013, p. 277-296) che ha fatto ricerca e coltiva relazioni con centri di cultura ebraici. Tutto questo potrebbe contribuire a che unitamente le diverse confessioni cristiane giungano non tanto a una «richiesta di perdono» per il passato, ma ad avere un’onestà intellettuale come fece Giovanni Paolo II nella lettera apostolica Operosam diem indirizzata nel 1996 al cardinale Carlo Maria Martini, arcivescovo di Milano, in occasione del XVI centenario della morte di sant’Ambrogio, vescovo e dottore della Chiesa.  

In questo Documento, Giovanni Paolo II, pur elogiando il pensiero del Santo, afferma che «inadeguato si rivelò» l’atteggiamento avuto da Ambrogio riguardo agli ebrei. Infatti il Pontefice parlando del rapporto di Ambrogio con le autorità civili scrive: «Era una strada difficile da percorrere, tutta da inventare; ed Ambrogio dovette di volta in volta precisare meglio modalità e stile. Se gli riuscì di coniugare fermezza ed equilibrio negli interventi già menzionati — nella questione cioè dell’altare della Vittoria e quando fu richiesta una basilica per gli ariani — inadeguato si rivelò invece il suo giudizio nell’affare di Callinico, quando nel 388 venne distrutta la sinagoga di quel lontano borgo sull’Eufrate. Ritenendo infatti che l’imperatore cristiano non dovesse punire i colpevoli e neppure obbligarli a porre rimedio al danno arrecato (Cfr. S. AmbrosiiEp. extra coll. I, 27-28) andava ben oltre la rivendicazione della libertà ecclesiale, pregiudicando l’altrui diritto alla libertà e alla giustizia».  

* Pontificia Università Antonianum. Confratello di padre Michelini