venerdì 17 febbraio 2017

DAT E EUTANASIA: I TESTIMONI


Giovedì 16 febbraio in un’affollata sala stampa della Camera dei deputati ha avuto luogo una conferenza stampa sulle DAT (“Dichiarazioni anticipate di trattamento”), in vista dell’imminente discussione del ddl in Aula, in cui hanno preso la parola chi ha vissuto quelle situazioni (lo stato vegetativo, il coma, la malattia grave) che sono spesso invocate nel dibattito sull’eutanasia e sulle DAT.
L’evento, organizzato da ProVita ONLUS, ha riscosso grande interesse e partecipazione giornalistica.
Ha introdotto e moderato Toni Brandi, presidente di ProVita onlus, il quale si è detto disgustato dal fatto che nel ddl sulle DAT si prevede la possibilità di disporre la sospensione dell’idratazione e dell’alimentazione, vincolando il medico – in quest’ipotesi – a uccidere per omissione. In seguito ha preso parola il deputato Eugenia Roccella, la quale ha ricordato lo stato delle discussioni alla Camera sul ddl sulle DAT lamentando il fatto che si vuole evitare il dibattito, saltando l’esame degli emendamenti e per mezzo di sessioni notturne.
Sylvie Menard, ricercatrice oncologica ed ex allieva del prof. Veronesi, era favorevole all’eutanasia e aveva persino redatto un testamento biologico. Ma quando scopre di avere un cancro inguaribile al midollo osseo, la sua prospettiva sulla vita e la morte cambia radicalmente: vuole vivere la sua vita fino in fondo e diventa una ferma oppositrice dell’eutanasia e del testamento biologico: nessuno può sapere come reagirà di fronte alla malattia.
Roberto Panella, anche lui entrato in coma dopo un incidente, ha raccontato la sua lotta per la sopravvivenza e ribadito la dignità di ogni vita, anche quella che si trova in coma. La madre ha rivelato alcuni episodi spiacevoli riferiti al personale medico, che discutevano se lasciare morire Roberto in sua presenza. Ma Roberto recuperava progressivamente la coscienza: non dobbiamo sottovalutare la capacità di comprensione di chi apparentemente è “totalmente incosciente”.
Pietro Crisafulli, fratello di Salvatore Crisafulli, la cui vita e il cui risveglio dallo stato vegetativo sono raccontati anche in un film, ha testimoniato di come abbia compreso l’assurdità dell’eutanasia proprio aiutando suo fratello: nonostante le gravissime condizioni psicofisiche, la sua vita era assolutamente “degna”. Nessuno è meno degno per le condizioni di disabilità.

In seguito, Sara Virgilio ha raccontato la sua storia: dopo un terribile incidente causato da un pirata della strada, lo stato di coma si è sommato a molte altre problematiche fisiche. Questo stato ha indotto i medici ha ritenere che al 99,9% Sara non ce l’avrebbe fatta, oppure, anche se fosse uscita dal coma, non ci sarebbero state possibilità di recuperare una vita “normale”. Molte persone, davanti ad una prospettiva del genere, disporrebbero nelle proprie “DAT” di essere lasciati morire per disidratazione. Eppure la speranza dovrebbe essere sempre l’ultima a morire: Sara non solo è uscita dal coma, ma è riuscita a realizzarsi pienamente nella vita, sia nella sua carriera universitaria che professionale.
E’ intervenuto poi Max Tresoldi: la madre di lui ha raccontato come, dopo un gravissimo incidente, Max sia entrato in coma e poi in stato vegetativo. I genitori di Max l’hanno circondato di cure e hanno sempre cercato di comunicare con lui, anche se molti medici e infermieri continuavano a ripetere che “era inutile”. Max però si sveglia dallo stato vegetativo dopo dieci anni, e gradualmente comincia a comunicare con piccoli gesti. Il padre ha letto una lettera in cui, prima dell’incidente, Max aveva dichiarato di non voler vivere nell’ipotesi che si fosse trovato in uno stato di grave compromissione psicofisica: ma da quando a Max è toccato vivere effettivamente questa esperienza, dimostra sempre una forte voglia di vivere e una grande felicità.
Queste testimonianze smentiscono i presupposti che stanno alla base delle DAT e dell’eutanasia (anche omissiva): che ci siano vite “indegne di essere vissute”; che uno possa da “sano”, sapere in anticipo il suo atteggiamento di fronte ad una grave malattia; che in coma e nello stato vegetativo “non ci sia niente da fare” e che il paziente sia come un “corpo morto”. Max, Roberto, Pietro, Sara e Sylvie ci dimostrano invece la dignità di ogni vita, il coraggio nascosto delle persone comuni davanti alla malattia, e il fatto che convenga sempre vivere fino in fondo la propria vita.
Da: www.notizieprovita.it