martedì 28 febbraio 2017

Ecumenismo è: vivere Cristo.




(Riccardo Burigana) «Lund è stata una di quelle esperienze che cambiano la vita». Adesso però «è importante che questo dialogo non si viva solo a Roma o a Ginevra», ma «raggiunga le comunità locali». È quanto sostiene Munib Younan, dal 2010 presidente della Federazione mondiale luterana, ricordando l’incontro ecumenico vissuto in Svezia insieme a Papa Francesco, «mio fratello in Cristo». Younan, vescovo della Chiesa luterana evangelica in Giordania e in Terra santa, nei giorni scorsi a Firenze per partecipare al convegno «Rileggere la Riforma», ha accolto l’invito del nostro giornale a rispondere ad alcune domande sullo stato del dialogo ecumenico nel cinquecentenario della Riforma protestante e sull’impegno dei cristiani nella costruzione della pace nel mondo, in particolare in Terra santa.
Cosa rappresenta il dialogo ecumenico per la Federazione mondiale luterana?
Per i luterani l’ecumenismo è il centro della propria vita di fede; per questo la Federazione ha promosso dei dialoghi bilaterali con la Chiesa cattolica, la Chiesa ortodossa, le Chiese riformate e gli anglicani, delle conversazioni con i pentecostali e i battisti, un percorso penitenziale con i mennoniti. L’ecumenismo non è solo però un confronto teologico per capire come superare le divisioni. Deve cambiare il volto delle comunità, deve penetrare in profondità nell’esperienza quotidiana di ogni cristiano. Una delle questioni aperte è la recezione di quanto si è fatto dal punto di vista del dialogo teologico proprio nella vita quotidiana: lo spirito di Lund può aiutare i cristiani a scoprire che l’ecumenismo è vivere Cristo insieme per affrontare insieme le sfide che sono le stesse per tutti i cristiani.
Quali saranno i temi della prossima assemblea generale della Federazione che si terrà a Windhoek, in Namibia, dal 10 al 16 maggio?
Ogni sette anni la Federazione mondiale luterana tiene un’assemblea generale nella quale si discutono le linee guida per gli anni successivi. È un momento importante perché si incontrano i luterani da tutto il mondo per condividere le esperienze delle comunità locali. Quest’anno parleremo della Riforma, la quale costituisce un patrimonio spirituale che richiama tutti i cristiani, non solo i luterani, a riflettere sul fatto che siamo stati «liberati dalla grazia di Dio», tema dell’assemblea. A Windhoek saranno tre i punti di confronto: il primo è ricordare a tutti che la salvezza è gratuita e non può essere acquistata in alcun modo; si deve fuggire dall’idea che la prosperità del singolo è una strada che conduce alla salvezza, come qualcuno è tentato di dire leggendo qualche pagina delle sacre Scritture. Il secondo aspetto riguarda la dignità dell’uomo: non si può accettare la povertà, la schiavitù, la negazione dei diritti umani, tra i quali la libertà religiosa; i cristiani devono mettere al centro il rispetto per ogni uomo e per ogni donna condannando qualsiasi atto di violenza e di emarginazione. Il terzo punto concerne la salvaguardia della creazione: ci troviamo in un punto di “non ritorno”, come ripetono tanti scienziati; dopo gli accordi firmati a livello internazionale le Chiese devono lavorare per invertire la rotta nello sfruttamento del creato in modo da intervenire sui mutamenti climatici in atto. Non si tratta di qualcosa che tocca luterani e cattolici ma tutto il mondo: costruire la pace e la giustizia partendo dalla salvaguardia del creato è un compito che deve coinvolgere tutti.
Qual è lo stato delle relazioni tra la Federazione mondiale luterana e la Chiesa cattolica dopo l’incontro ecumenico di Lund?
Lund è stata una di quelle esperienze che cambia la vita: è stato importante viverla dopo la redazione del documento Dal conflitto alla comunione che ha aiutato luterani e cattolici a cercare sempre i punti di convergenza a partire da quanto già ci unisce; il documento indica cinque imperativi che devono guidare il cammino ecumenico, che parte dal comune riconoscimento dell’unico battesimo in Cristo. Nel presente del cammino ecumenico tra luterani e cattolici acquista una valenza profetica la diaconia nei confronti del mondo, poiché testimonia il comune impegno a favore degli ultimi. Lund è stata possibile perché da cinquant’anni cattolici e luterani hanno iniziato un dialogo ecumenico che ha prodotto dei documenti, ma soprattutto ha fatto crescere fiducia e amicizia; ora è importante che questo dialogo non si viva solo a Roma o a Ginevra, ma raggiunga le comunità locali. Nei prossimi mesi saranno affrontate le questioni che ancora separano luterani e cattolici; si discuterà dell’ecclesiologia, della natura del ministero e della comunione ecclesiale. In questo dialogo pesa il passato di secoli di silenzio. Il nostro passato non si può cambiare ma non deve determinare il nostro presente e il nostro futuro. Io sono sicuro che un giorno si potranno superare queste divisioni e si potrà condividere il pane della mensa eucaristica: tale cammino non dipende da noi, ma è nelle mani di Dio.
Come pensa che i cristiani stiano vivendo la commemorazione del cinquecentenario della Riforma?
Ci sono tre livelli per commemorare questo anniversario: rendere grazie al Signore, insieme, ricordandosi che questo non è mai stato fatto prima; pentirsi per i nostri peccati e per le nostre divisioni, sapendo bene che così noi possiamo vedere Cristo nel volto dell’altro; vivere questo anniversario in uno spirito ecumenico, cioè promuovere una missione condivisa nel mondo, soprattutto nel sud del mondo, dove più diffuse sono le situazioni di povertà. Commemorare insieme la Riforma significa così chiedersi cosa la Riforma dice a ciascuno di noi, sapendo bene che essa non si è conclusa nel XVI secolo ma resta viva nello spirito dell’espressione ecclesia semper reformanda che rinvia alla dinamicità di Cristo, il quale ci invita ad affrontare le sfide presenti. Concordo con Papa Francesco quando chiede di portare «il pulpito per la strada» in modo da rivolgersi a tutti: il mondo ha bisogno della Parola di Dio in un tempo in cui si diffonde sempre più la secolarizzazione e si avverte l’assenza di leader mondiali.
Qual è il suo giudizio sulla situazione della Terra santa?
In questo momento non sono ottimista, la pace sembra lontana, negli ultimi giorni la soluzione dei due stati è stata messa in discussione. Non esiste altra strada che quella del dialogo: la città di Gerusalemme non deve essere divisa ma condivisa diventando un luogo di dialogo. Ho anche paura per i cristiani del Medio oriente per la tentazione di lasciare tutto e partire per un altro paese; di fronte a questa tentazione, che ha già portato tanti cristiani a partire, ci si deve chiedere cosa sarebbe il Medio oriente senza cristiani. Proprio per provare a invertire la rotta si deve promuovere la giustizia con la quale riaffermare i diritti umani e la libertà religiosa per tutti. I cristiani di tutto mondo devono sentirsi responsabili della sorte dei cristiani di Terra santa: per questo devono sostenere spiritualmente e materialmente i fedeli che con la loro presenza possono aiutare alla costruzione della pace.
Cosa possono fare i cristiani per la pace? 
La pace non è una questione che riguarda solo la Terra santa: in tutto il mondo la pace è messa in discussione, anche per la comparsa di tanti politici che soffiano sul fuoco delle divisioni in nome di un interesse personale e locale ignorando il bene del mondo. L’egocentrismo è uno dei peccati più terribili nel mondo presente. I cristiani devono sempre aver presente che la costruzione della pace è un compito che è stato affidato loro da Dio. Di fronte a tale situazione la Chiesa deve far qualcosa: deve diventare la coscienza degli stati, assumere una leadership morale, parlando di giustizia a voce alta, senza aver paura. La Chiesa deve e può fare molto più di quanto i cristiani hanno fatto finora, anche perché, nel 2017, la Chiesa deve essere “una” nel chiedere giustizia, facendosi ascoltare dal mondo della politica con una voce sola.
Cosa fare per rifugiati e migranti?
Considero una vergogna la politica dei paesi europei che rifiutano di accogliere i migranti. È una vergogna per due motivi: dopo la seconda guerra mondiale tutta l’Europa ha vissuto la tragedia dei migranti e l’Europa ha responsabilità precise nelle crisi che sconvolgono il mondo, portando uomini e donne a scappare dai loro paesi, dalla Siria alla Somalia, al Sud Sudan. In questa prospettiva è importante il documento Dare il benvenuto agli stranieri che è stato firmato da tanti leader religiosi che così hanno voluto rispondere a una domanda dell’alto commissario per i rifugiati delle Nazioni Unite, chiedendo alla politica di fare qualcosa per una diversa accoglienza dei migranti. Io stesso sono un rifugiato e capisco bene cosa vuol dire cercare una vita, una dignità di vita. Nel mondo i luterani assistono oltre due milioni di migranti senza chiedere niente; in questo c’è una profonda sintonia. Si deve condannare l’islamofobia, l’antisemitismo, la cristianofobia, la xenofobia che non aiutano a costruire una cultura dell’accoglienza che è una risposta a Dio: chi darà un bicchiere d’acqua, non una bottiglia, avrà parte del regno di Dio.
Cosa pensa dell’impegno di Papa Francesco e del suo personale coinvolgimento nel movimento ecumenico?
Innanzitutto credo che sia stato importante ricordare che Giovanni XXIII, con il concilio Vaticano II, ha aperto una nuova stagione che è stata portata avanti dai suoi successori. Ho avuto la gioia di incontrare Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e Papa Francesco, facendo l’esperienza di quanto stava loro a cuore, non solo il cammino ecumenico ma la promozione del dialogo con tutti. Papa Francesco, il mio fratello in Cristo, ricorda che camminando insieme i cristiani sono più forti nell’annunciare Cristo. Il dialogo è il futuro: Papa Francesco lo ha compreso, lo fa e lo incarna. Nel dialogo e con il dialogo i cristiani sono chiamati a vivere insieme la pace, la giustizia, la salvaguardia del creato, l’amore.
L'Osservatore Romano