sabato 25 febbraio 2017

La lotta dell’anima




«Come cristiani ortodossi siamo chiamati a vivere il periodo della santa e grande quaresima come un tempo di sobrietà coscienziosa e di ravvedimento, come un momento di eternità della nostra identità ortodossa. Siamo chiamati cioè a vivere e a convivere con Cristo, a vivere ecclesiologicamente e spiritualmente, poiché solo nella vita in Cristo esiste la possibilità di ravvedere la nostra coscienza e di elevarci nel luogo della libertà reale e degli infallibili giudizi per il nostro riposo e la nostra redenzione».
Il messaggio che il patriarca ecumenico Bartolomeo, arcivescovo di Costantinopoli, ha scritto quest’anno per l’inizio della quaresima è una vera e propria omelia catechetica nella quale invita gli ortodossi, «attraverso la grazia e la filantropia di Dio», a vivere con criterio «il momento più adatto per volgere l’anima umana, la nostra propria anima, verso il Signore». Si tratta infatti di «un raccoglimento continuo davanti al mistero di Dio che si sviluppa ogni giorno, il mistero della salvezza dell’uomo».
L’occasione offerta dai sacri digiuni — spiega il patriarca ecumenico — ha una particolare caratteristica, ovvero «il ravvedimento e la sobrietà dell’anima, che è chiamata, particolarmente durante questo periodo pieno di divini propositi e santità, a rendersi conto delle cose passeggere e visibili e a passare gradualmente verso le cose più importanti, superiori, verso le cose invisibili». Bartolomeo cita il Grande canone di Andrea di Creta, nel quale il vescovo bizantino parla a sé e a ogni anima afflitta e affaticata dalle tentazioni e dalle preoccupazioni della vita presente: «Il santo, cosciente del peso dell’anima umana, ferita dal peccato, nell’agonia grida: “Anima mia, anima mia, sorgi, perché dormi?”. Questo grido conduce alla presa di coscienza della vanità e al timore indicibile della fine della vita terrena: “La fine si avvicina e sarai (anima mia) nel turbamento”. Davanti alla fine inaspettata della vita che viene “come un ladro nella notte”, il luminare di Creta chiama se stesso e ogni anima ferita e pervasa dal timore dell’insicurezza: “Ritorna dunque in te, perché ti risparmi Cristo Dio, che è presente ovunque e che tutto ricolma”».
L’insegnamento e la voce patristica ortodossa esortano, dunque, durante il periodo quaresimale, a «essere coscienti ciascuno di “chi siamo, dove ci troviamo e dove andiamo”, cioè dove ci dirigiamo», a «percepire la vanità della vita effimera e a convertirci per quanto “in conoscenza e ignoranza, in parole e opere, in attività e in tutti i nostri sensi” abbiamo operato fino a oggi non secondo il Vangelo e la legge della grazia di Cristo, e a ravvederci». Solo allora — sottolinea l’arcivescovo di Costantinopoli — «troveremo misericordia e grazia e ci risparmierà colui che esamina i cuori e le intimità e tutti i segreti degli uomini e i pensieri che il Signore conosce, e non ci imputerà i vani pensieri che conducono alle opere inutili».
Davanti all’uomo si configura una lotta che «si computa nella nostra sobrietà e nel nostro ravvedimento, nella metanoia. Attraverso la metanoia, cioè la consapevolezza del nostro stato, e attraverso la confessione, la nostra vita si adorna con “la remissione dei peccati, la comunione dello Spirito santo, la pienezza del regno dei cieli”. Il ravvedimento si identifica con la coscienza dell’uomo che si converte (cfr. 2 Corinzi, 1, 12 e Romani, 2, 15). La coscienza è dono di Dio».
Il primate conclude il suo messaggio quaresimale con un’invocazione al Signore affinché renda degni «tutti i fedeli ortodossi, in pace e in contrizione di cuore, di attraversare il sacro periodo e lo stadio che si apre di grazia e forza, affinché dopo aver compiuto la corsa valorosamente giungiamo tutti al giorno sovrano della tua risurrezione e con gioia incessantemente ti lodiamo con il capo incoronato» (cfr. Poema di Teodoro, Triodion).

L'Osservatore Romano