giovedì 23 febbraio 2017

“Lion”






Quando il mese scorso l’Academy ha presentato le sue nomination agli Oscar, la maggior parte dei film era più o meno famosa, almeno per gli amanti del cinema. Certo, forse non tutti avevamo visto La La Land, ma sapevamo che era un musical con Ryan Gosling e quella ragazza da Easy Girl e Birdman. E sebbene quasi nessuno abbia visto Moonlight, molti sapevano comunque che si trattava di una storia pseudoartistica sui pesanti temi del razzismo e della sessualità. Arrival è quel film sci-fi di Amy Adam, e Il diritto di contare è sui primi programmi nello spazio.
E poi c’è Lion – La strada verso casa.
Molti non sapevano granché su Lion prima che venisse nominato per sei premi Oscar, e ancora adesso sono in pochi a conoscere questo film… ma bisognerebbe farlo. In primo luogo perché è un film grandioso, ma anche perché tratta della famiglia – del suo potere, della sua bellezza e intensità – anche quando la famiglia è apparentemente diversa.
La storia (vera) raccontata da Lion si concentra su un bambino di nome Saroo, che aveva solo 5 anni quando è stato accidentalmente perso dalla famiglia, nell’India povera e rurale. Si è addormentato su un treno deserto, nel cuore della notte, e quando si è svegliato Saroo era letteralmente a migliaia di chilometri da casa. Non sapeva abbastanza della sua famiglia o del suo villaggio da poter trovare la strada di casa.

La storia sarebbe potuta finire male. Saroo avrebbe potuto vivere la sua infanzia per le strade, come tanti altri hanno fatto (e fanno). Sarebbe potuto cadere nel vortice del traffico di esseri umani, da cui è riuscito a fuggire per poco. Ma Saroo è stato adottato da due australiani, Sue e John Brierley (interpretati da Nicole Kidman e David Wenham). Lo hanno amato profondamente, dandogli ogni tipo di privilegio. Saroo è cresciuto in una casa libera dalle necessità, e piena di affetto.

Ma, quando Saroo diventa un giovane uomo (SPOILER ALERT), si ricorda dell’altra famiglia, quella che si è inconsapevolmente lasciato alle spalle 20 anni prima. Immagina come sua mamma indiana lo stia ancora cercando, e come lei e suo fratello possano essere tormentati dal senso di colpa e dal dolore. Con l’aiuto di Google Earth, si pone l’obiettivo di trovarli… ma facendo tutto all’oscuro dei suoi genitori adottivi. Dice di non voler sembrare “ingrato”.

Il dolore (e la bellezza) di Lion si basa su un malinteso semplice ma triste. Saroo si mette in testa che la sua prima famiglia sia l’unica “vera”. Pensa che i Brierleys abbiano adottato lui e suo fratello Mantosh perché non potevano avere una famiglia “vera”. E che quindi loro fossero una seconda scelta.

E per un po’ Saroo ci crede. Ma non la sua madre adottiva. Dice a Saroo che lui e suo fratello non erano una seconda scelta. Ma la prima.
“Volevamo voi due”, gli dice. “Questo è quello che volevamo. Volevamo voi due, nella nostra vita“.
Alla fine, Saroo dice a Sue della sua ricerca per trovare la madre e il fratello. Sue è forse sconvolta? Arrabbiata? Triste? Niente affatto. Anzi, incoraggia Saroo a farlo. “Spero davvero che lei sia lì”, dice Sue riferendosi alla mamma indiana di Saroo. “Deve vedere quanto sei bello”.

Lion è basato sulla storia vera di Saroo, raccontata a sua volta nel suo libro “A Long Way Home“. Riesce perfettamente a toccare le giuste corde emotive. Ci immedesimiamo nel giovane Saroo, mentre vaga per le strade dell’India, tutto solo e perso. Comprendiamo il suo desiderio, da uomo, di ricongiungersi con la famiglia che ha lasciato, e addirittura piangiamo per lui quando compie alcuni passi falsi lungo la strada.
Ma questa storia parla anche di maternità. Potremmo discutere su cosa abbia un impatto più grande su noi e sui nostri figli, se la “natura” o il “nutrire” (inteso come crescere i figli, ndt); Lion risponde a questa domanda con “entrambi”. Saroo è il prodotto di due famiglie, che lo amano entrambe. Entrambe le madri gli hanno dato qualcosa di insostituibile.

L’amore di una madre è, forse, ciò che riflette di più l’amore di Dio per noi. Un amore instancabile, fiero, senza pari. E una madre che adotta è un riflesso straordinario di questo amore. Noi non siamo nati nella famiglia di Dio, ma vi siamo innestati. Non siamo la Sua seconda scelta, ma la Sua prima.

Traduzione dall’inglese a cura di Valerio Evangelista