lunedì 6 febbraio 2017

Non temere. Essa ti è stata destinata fin dall'eternità...


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Raffaele significa medicina di Dio e di solito si rappresenta questo arcangelo insieme a Tobia, mentre lo accompagna o lo libera dal pericolo del pesce. Il suo nome compare soltanto nel libro di Tobia, dove egli viene presentato come modello di angelo custode, perché protegge Tobia da tutti pericoli: dal pesce che voleva divorarlo (6, 2) e dal demonio che l’avrebbe ucciso con quegli altri sette pretendenti di Sara (8, 3). Guarisce la cecità del padre (11, 11) e così manifesta il suo carisma speciale di essere medicina di Dio e patrono di coloro che curano i malati. Sistema la faccenda dei soldi prestati a Gabaele (9, 5) e consiglia a Tobia di sposarsi con Sara. Umanamente, Tobia non si sarebbe mai sposato con Sara, perché aveva paura di morire come i precedenti mariti di lei (7, 11), ma Raffaele guarisce Sara dalle sue paure e tranquillizza Tobia affinché si sposi, perché quel matrimonio è voluto da Dio da tutta l’eternità (6, 17). Lo stesso Raffaele è colui che presenta le preghiere di Tobia e della sua famiglia davanti a Dio: Quando pregavate, io presentavo le vostre orazioni davanti al Santo; quando tu seppellivi i morti, anch’io ti assistevo; quando senza pigrizia ti alzavi e non mangiavi per andare a seppel-lirli, io ero con te (12, 12- 13). Raffaele viene considerato il patrono dei fidanzati e dei giovani sposi, perché sistemò tutto ciò che riguardava il matrimonio fra Tobia e Sara e risolse tutti i problemi che ne impedivano la realizzazione. Per questo tutti i fidanzati devono raccomandarsi a san Raffaele e, per mezzo di lui, alla Madonna che, come Madre perfetta, si preoccupa della loro felicità. Così Lei fece infatti alle nozze di Cana, durante le quali ottenne da Gesù il primo miracolo per far felici i neo sposi.
Ci sono storie di santi e mistici dove si vede chiaramente che Dio non li vuole nei monasteri e quindi ne frati o suore o preti, ma che li destina al matrimonio. Questo e il passo della bibbia sopra riportato sta ad indicare che il matrimonio è un dono di Dio che ha decidiso fin dell’ eternità nel suo infinito amore. Quindi sta all’uomo fidarsi dell’ amore di Dio e capire o meglio discernere.
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Un aspetto particolarmente delicato del discernimento si ha in prossimità di scelte fondamentali che condizionano tutto il resto della propria esistenza; ci riferiamo alle due grandi scelte vocazionali del battezzato: il matrimonio e la vita consacrata. Alla domanda se un(a) giovane è chiamato(a) al matrimonio oppure alla vita consacrata si può rispondere solo dopo un processo di ricerca che, nella tradizione cristiana, prende il nome di “discernimento vocazionale”. Anche qui si hanno dei criteri che è opportuno conoscere bene per non correre il rischio di scambiare le proverbiali lucciole per lanterne. Il primo fondamentale criterio per la ricerca vocazionale – criterio che vale tanto per il matrimonio quanto per la vita consacrata – consiste nella osservazione delle inclinazioni profonde della persona. Qui Satana pone una prima, micidiale trappola, che ha provocato in tanti battezzati dei dolori non necessari. La trappola consiste nel far pensare al giovane che la propria vocazione, richiedendo una rinuncia a se stesso, come il Vangelo insegna, porti necessariamente a un conflitto con la propria natura. Il giovane è perciò spinto a perseverare in un cammino (sia di coppia sia di noviziato) che lo tormenta nell’intimo. Satana lo convince che questo tormento deriva dal fatto che Dio chiama tutti i suoi figli a portare la croce e il giovane va avanti facendo a pugni con se stesso, convincendosi forzatamente ogni giorno di essere nella volontà di Dio. La menzogna satanica consiste in questo: è vero che Dio chiama tutti alla croce e che il Vangelo richiede una rinuncia a se stessi, ma non è vero che ciò vada contro le inclinazioni migliori e più profonde della persona; LA CROCE EVANGELICA NON DISTRUGGE LA PERSONA IN QUELLE CHE DEVONO ESSERE LE SUE ESPERIENZE MIGLIORI E PIÙ BENEDETTE; LA CROCE EVANGELICA DISTRUGGE CIÒ CHE NELL’UOMO È PECCAMINOSO E RIBELLE A DIO, NON LO DISTRUGGE NELLA SUA ADESIONE AL VOLERE DEL PADRE: NELL’INSEGNAMENTO DI GESÙ “MORIRE A SE STESSI” NON SIGNIFICA UCCIDERE LE PROPRIE ASPIRAZIONI PIÙ NOBILI, MA SIGNIFICA CHE VANNO ELIMINATI TUTTI QUEGLI ATTACCAMENTI PERSONALI CHE FANNO DA OSTACOLO ALLA VOLONTÀ DI DIO E CHE CI RENDONO MENO LIBERI DI SERVIRLO. E’ bene chiarirlo una volta per tutte: a Satana non importa impedire il compimento di scelte in favore del Vangelo; gli basta che quella scelta che io faccio in favore del Vangelo non sia quella che Dio mi chiede. Così facendo io sarei infatti già fuori della volontà di Dio, con l’aggravante di essere falsamente convinto di averla compiuta. Solo l’ubbidienza al direttore spirituale e alle indicazioni della Chiesa può salvare la persona da inganni così potenti. Un secondo criterio che deve essere applicato nella ricerca vocazionale consiste nella pace interiore. Quando un battezzato si trova al posto in cui Dio lo vuole, il “segno” della approvazione divina consiste in una profonda pace interiore. Questa pace è inalterabile e non può essere scalfita nemmeno dai problemi o dalle difficoltà della vita quotidiana (cfr. At 5,41). Un terzo criterio consiste nella stabilità e persistenza del volere. Quando un determinato progetto viene da Dio ed è sua volontà, allora esso si presenta alla nostra mente con insistenza e costanza. Ciò significa che, nella ricerca vocazionale, se un(a) giovane oscilla dinanzi alle grandi scelte (mi sposo… non mi sposo… prendo i voti… non li prendo…), allora è già un segno negativo, e non bisogna insistere o pressare perché il (la) giovane prenda una decisione. Se uno non raggiunge una fermezza di volontà su una determinata decisione di ordine vocazionale (matrimonio o vita consacrata), può essere segno che Dio non glielo sta chiedendo. Questi tre criteri che abbiamo enunciato sono comuni a ogni ricerca vocazionale; all’interno poi delle due possibili scelte vanno individuati altri punti di riferimento. Lo vedremo al prossimo incontro.
Il matrimonio come “sacramento” è una vocazione. Va perciò vissuto in un determinato modo a partire dal fidanzamento. Quando il (la) giovane, nella direzione spirituale e nell’applicazione corretta dei tre criteri che già abbiamo enunciato, ha compreso che la sua vocazione è quella matrimoniale, allora la tappa più importante è la scelta del partner. Tale scelta viene di solito fatta dai giovani secondo due logiche; la prima, più diffusa, è la scelta autonoma, che si traduce così: “il matrimonio è un affare che riguarda me, perciò sposerò chi più mi aggrada”. Questa frase sembra molto ragionevole, ma rispecchia un atteggiamento in cui il matrimonio non è più una vocazione, ma un progetto personale e quasi privato. Il sacramento del matrimonio va accolto in modo diverso. Bisogna per prima cosa interrogare la Bibbia per sapere “in che modo” l’amore umano può divenire sacramento.
La prima indicazione proviene da Gen 2,18: “Voglio fargli un aiuto che gli sia simile”. La condizione basilare perché due giovani possano giungere a un amore di livello sacramentale è che SIANO SIMILI. Spesso due giovani si scelgono solo perché si piacciono, mentre a livello del cuore possono essere molto diversi. Certo, uno è libero di intraprendere anche un rapporto di coppia con una persona che si porta dentro altri ideali, altre visioni della vita o altre credenze, ma costui deve sapere che nella diversità interiore non si può costruire quell’amore voluto da Dio. Sarà sempre un amore a cui mancherà qualcosa per sentirsi pienamente felici. Una coppia può fiorire nel sacramento del matrimonio solo quando è capace di incontrarsi a tutti i livelli del dialogo interpersonale: livello fisico (una sessualità che non strumentalizza il corpo), livello cognitivo (condivisione di ideali comuni), livello spirituale (condivisione del cammino di fede). E’ chiaro che queste condizioni possono verificarsi solo con alcuni tipi di partner, che eventualmente possono essere scelti, ma non con altri. La scelta del partner è perciò la causa primordiale del fallimento del sacramento del matrimonio, o della sua riduzione a semplice amore umano. Se il fidanzato, o la fidanzata, che uno si sceglie è una persona estranea alla vita della comunità cristiana, il sacramento è già in buona parte fuori discussione: è lo stesso che scegliere l’amore umano e non il sacramento. IL SACRAMENTO DEL MATRIMONIO È CELEBRATO DAI DUE PARTNERS E PRENDE VITA SOLO NELLA FEDE DI ENTRAMBI, NON IN QUELLA DI UNO SOLO. La seconda indicazione proviene da Gen 2,22: “Il Signore Dio plasmò la donna e la condusse all’uomo”. E’ dunque Dio che conduce i due l’uno verso l’altro; non sono i due che si appropriano l’uno dell’altro per movimento autonomo. La difficoltà della scelta del partner si ridimensiona notevolmente, quando, al di sopra dei propri progetti personali, che magari spingono verso decisioni affrettate, si è capaci di pregare e attendere che Dio ci conduca a chi Lui sa essere la persona adatta proprio a me. Se il matrimonio deve divenire sacramento, Dio deve avere un ruolo e una posizione fin dalla scelta del partner e dall’attesa dell’incontro (cfr. Sir 26,3 e Tb 7,12).


ps. qui la fonte e la continuazione per il discernimento sulla vita/scelta consacrata. http://www.cristomaestro.it/discernimento/vocazionale/scprt_consacrata.html
fonti:
p. Angel Pena – Arcangeli
don Enzo Cuffaro – cristomaestro.it