mercoledì 15 febbraio 2017

Per un rapporto sessuale soddisfacente ci vogliono...

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Questa storia della pornografia sta prendendo una piega imprevista (e impressionante): sembrava un vizietto da niente, di cui neanche vale la pena parlare, e invece ogni giorno qui viene fuori qualche psicologo, qualche sessuologa, a dire che le cose non stanno esattamente così. Cruciani alla radio dice che uno ha “diritto” di guardarsi un porno (con annessi e connessi…), ma negli stessi giorni Aleteia Italia gira le dichiarazioni di Pamela Anderson (!) che dice: «Per un rapporto sessuale soddisfacente ci vogliono intimità e fiducia, e il porno distrugge l’una e l’altra cosa».
Paolo VI diceva che il mondo di oggi ascolta i testimoni, non i maestri, e che se mai ascolta i maestri lo fa perché in loro vede anzitutto dei testimoni. Così giorno dopo giorno fioccano le Pamela Anderson che svelano l’altra faccia di una luna che pare generalmente una metafora poetica senza importanza, e che invece è un pugno di polvere e buio senza vita.
Il mio tour sul ciglio del lato oscuro della “luna” è cominciato con un libro di Giovanni Cucci, è proseguito con quello di Antonio Morra ed è culminato con Thérèse Hargot. Una trilogia di cui ho già parlato. Ora che sono sul crinale e i miei occhî si vanno abituando all’oscurità, vedo che si assiepano insieme maestri e testimoni, come da una riva nebbiosa dell’Acheronte, a sospirare accenti diversi gli uni dagli altri.
Ad esempio, domani racconterò su La Croce il recentissimo documentario di Ovidie (un’altra delle scoperte che ho fatto grazie al libro della Hargot), che descrive nomi, numeri e ombre dell’impero multinazionale della pornografia. Pensavate che Spectre fosse un parto della fantasia di un romanziere? Aspettate di leggere che cosa tira fuori questa ex pornostar datasi al documentarismo.

Oggi invece voglio riportare le parole di Jean-Paul Brighelli, che poco dopo l’uscita francese del libro della Hargot (parliamo quindi di un anno fa) era stato invitato con lei a Polonium, una trasmissione di approfondimento che va in onda in seconda serata. Per avere un’idea della scena, visto che i personaggi sono perlopiù sconosciuti al grande pubblico, bisogna figurarsi di vedere allo stesso tavolo, magari moderati da Lilli Gruber, l’ormai nota Thérèse Hargot in compagnia di Valentina Nappi, Tinto Brass, Rocco Siffredi e un personaggio a metà tra Franco Nembrini e Massimo Recalcati.

Non saprei a chi altri assimilare Jean-Paul Brighelli, nel panorama italico: forse un Massimo Gramellini ragionevole e non pontificante potrebbe rendere l’idea, ma non sono sicuro che questo adynato renda più chiaro il profilo del personaggio.

Ad ogni modo, Brighelli viene talvolta presentato come “autore di romanzi erotici”, e questo mi lascia sempre perplesso: l’espressione “romanzi erotici”, appena più colorita di “romanzi d’amore” e “storie romantiche”, è sovente un mero eufemismo per “pornografia”. Non ho mai trovato in un manuale che Il piacere o Il trionfo della morte di d’Annunzio vengano definiti “romanzi erotici” (e sì che la mia adolescenza porta il ricordo rovente di alcune di quelle pagine). Ma certo non stiamo parlando di certe paginacce di Apollinaire: d’Annunzio sapeva scrivere, e anche i suoi molti eccessi non venivano abbandonati sul foglio in uno sfogo onanistico. Lasciamo perdere, torniamo a Brighelli: non ho letto i suoi “romanzi erotici”, quindi non so se guardino al modello di d’Annunzio o a quello di Apollinaire (ma siamo in epoca di Cinquanta sfumature…), fatto sta che il nostro è in realtà uomo di lettere e saggista, prima e più che “romanziere erotico”. Mi dico che dovrei approfondire, ma per ora non ne ho tempo: registro soltanto che nella puntata di Polonium il romanziere era di fatto l’unico a condividere le osservazioni della Hargot sulla devastazione psicologica comportata dalla pornografia, particolarmente nei giovani.
Si sa, però, come funzionano queste cose nello show business: oggi a te, domani a me, e magari dopodomani dirò il contrario di quello che dissi ieri per guadagnare un titolo di giornale, una rapida riemersione dall’anonimato di ritorno e cento copie vendute. Mi sono imbattuto (grazie a Luca Marelli per la segnalazione) in un video del 2013, che riporta le parole di Brighelli a Ce soir ou jamais. Ne trascrivo di seguito una sintesi.
Il porno produce disastri mostruosi tra i giovani. Perché mentre noi adulti abbiamo modo di fare comparazioni con la vita vera, e sappiamo che una donna è una cosa molto complicata (e che anche noi uomini siamo spesso molto complicati). In media, invece, i ragazzi vedono il primo film porno a dodici anni e mezzo: non hanno alcun metro di paragone, non hanno niente per sapere che non è reale.
Allora, evidentemente il porno non è reale: pensiamo soltanto all’uso della figura dell’idraulico nei film porno. […] C’è l’idraulico che arriva, anzitutto, dieci minuti dopo la chiamata (e già si vede che non è reale): poi è bello, ha la maglietta artistica e va bene tutto. Ma la bambina di quattordici anni (tale è la media della prima visione del porno tra le bambine oggi) non ha modo di sapere che niente di questo è reale. E poi le “posizioni” dei porno non sono realistiche, non si fanno nella vita vera, non permettono neanche il godimento vero.
Il “codice del porno”, che i giovani conoscono come il menu dei fast food, è appunto merda: bevono merda e vedono merda. Bisogna prendere provvedimenti, perché ogni indagine demoscopica – l’ultima è stata fatta in Québec due mesi fa – dice che il 25% dei giovani dai 16 ai 25 anni ha serî problemi di erezione, e che il Viagra si vende oggi, per il 40%, a persone sotto i 40 anni. Io credo che la liaison tra il Viagra e il porno sia il cuore della questione: il porno “gratuito” vende qualcosa, a parte lo spam, i banner e tutto il resto.
I giovani sono distrutti da tutto questo, e i sessuologi sono sempre più chiamati ad affrontare problemi di dipendenza: due ore, tre ore, sei ore di porno al giorno – perché ci si arriva – ed è certo che a un certo punto [il porno] non ha più alcuna efficacia, almeno non quanto la vita reale… ma come faranno i giovani a uscire e affrontare la vita reale? Oseranno affrontare la mediocrità della vita reale, cioè il suo carattere medio, quando hanno visto sullo schermo ben altre prestazioni? Allo stesso modo, negli Stati Uniti abbiamo 15mila ragazze l’anno, minori, che si fanno impiantare protesi mammarie per assomigliare alle star del porno.
Ebbene, fosse anche solo per questo, tutto ciò meriterebbe di essere proibito, e che si tornasse al Le undicimila verghe e a Le centoventi giornate di Sodoma [romanzi pornografici rispettivamente di Apollinaire e De Sade]: sono dei veri libri che adducono vere idee. Come vedete non parlo a nome della virtù – niente affatto. Parlo a nome della salubrità dell’erotismo.
Questo è ciò che dice Brighelli. Ora, se il mio giudizio su Apollinaire l’ho lasciato intravedere (sarò io a non capire, ma mi è sempre parso un po’ sopravvalutato), quello su De Sade non saprei formularlo compiutamente: il romanzo del primo non ho voluto finirlo, a finire quello del secondo non sono riuscito. A occhio e croce direi che in quei romanzi si pongono i semi della messe venefica di cui Brighelli parla oggi, ma potrei dovermi ricredere, se qualcuno mi spiegasse per bene la cosa: quello che è chiaro è che l’industria del porno ha assunto le fattezze di una spaventosa idra da quando internet ne ha moltiplicato innumerevolmente l’ologramma. E questo non significa, come sembra arguire in ritirata Brighelli, che fino ad allora andava tutto bene. Non c’è bisogno di scomodare Chesterton, lo sanno anche i bambini (e da loro lui pure l’aveva imparato): un drago piccolo non è buono, l’unico drago buono è un drago morto.

Ma non voglio lasciarvi con l’amaro in bocca, non il giorno dopo San Valentino: godiamoci allora la lezione di due veri maestri di erotismo, che non si nascondono l’ambivalenza del desiderio e le sue fatiche. Anzi, le celebrano.