martedì 7 marzo 2017

Come perfetti sconosciuti



Se proprio stando a tavola i «perfetti sconosciuti» del film campione d’incassi del 2016 ci hanno rivelato tragicamente «il nostro stato di salute» attraverso «il gioco allo scoperto con i cellulari», rivelando «adulteri e segreti», sempre a tavola «il mangiare insieme» è cristianamente un segno di unità e di salvezza. Questo riferimento cinematografico — suggeritogli dal nipote con un messaggio sul telefonino — ha caratterizzato la terza meditazione degli esercizi spirituali svolta da padre Giulio Michelini martedì mattina, 7 marzo, e centrata appunto sul tema «Pane e corpo, vino e sangue» (Matteo, 26, 20-35).
Di fronte al Papa e ai suoi collaboratori della Curia romana, il religioso ha invitato a capovolgere «la realtà del non potersi fidare più di nessuno e dei tradimenti», rilanciando invece «la bellezza dello stare insieme» espressa, appunto, anche «dal mangiare insieme». Il film del regista Paolo Genovese, ha spiegato, racconta «la cena di tre coppie e un single che mettono sul tavolo i propri cellulari accettando di rivelare il contenuto di tutti i messaggini». Ed «è significativo che tutto avvenga proprio a tavola», ha commentato il predicatore.
Un vero e proprio esame di coscienza, dunque, avviato già lunedì pomeriggio, con la seconda meditazione. Michelini ha messo in guardia dalla tentazione di «ridursi a essere professionisti del sacro», scendendo «a compromessi pur di salvaguardare la facciata, la struttura, l’istituzione, a scapito dei diritti delle persone». Attenzione, perciò, a starsene «nei palazzi, in nome di un astratto o ideale senso del sacro», senza «accogliere i poveri».
Tra i suggerimenti per la sua riflessione di martedì mattina, il religioso ha anche raccomandando la rilettura dell’enciclica Laudato si’, «soprattutto nel punto in cui si condanna l’ineguale distribuzione di risorse e ci viene ricordato come nel mondo si spreca approssimativamente un terzo degli alimenti che si producono, e il cibo che si butta via è come se lo si rubasse dalla mensa del povero». E così la prima questione posta dal predicatore «ci tocca da vicino e riguarda il nostro rapporto con il cibo». A questo proposito ha riproposto la settima delle Regole per ordinarsi nel mangiare per l’avvenire di sant’Ignazio di Loyola: «Bisogna evitare che l’animo sia tutto intento a quello che si mangia, e che uno mangi in fretta spinto dall’appetito; al contrario bisogna avere padronanza di sé, sia nel modo di mangiare sia nella quantità».
Il predicatore ha suggerito di riflettere proprio sul «ruolo ecclesiale» affidato a ciascuno, invitando a chiedersi «come sia possibile che noi cristiani, che dovremmo trovare l’unità proprio attorno alla cena, riproduciamo allo stesso modo, con le nostre divisioni, le stesse dinamiche divisorie della comunità di Corinto», secondo quanto lamentava lo stesso san Paolo, indicandone la fragilità. Certo, ha riconosciuto, «molti sono i passi intrapresi per trovare un’unità, a esempio con i luterani, ma ancora molto c’è da fare». Una terza riflessione è stata proposta dal religioso riguardo al «perdono dei peccati», con il suggerimento di domandarsi «se siamo veramente consapevoli che Gesù, versando il suo sangue, ha davvero, con la propria vita e non solo a parole, detto e dato il perdono di Dio».
La meditazione di martedì mattina, dunque, ha preso le mosse dalla «dimensione teologica, antropologica ed esistenziale del mangiare insieme», con la constatazione anche che «Adamo era vegetariano e solo dopo la caduta e il diluvio all’uomo viene dato il permesso di nutrirsi degli animali». Michelini è passato poi ad «analizzare le parole di Gesù sul pane e sul calice», accennando «anche al tradimento di Giuda e alla profezia dell’abbandono».
Nel pomeriggio di lunedì 6, «le ultime parole di Gesù e l’inizio della passione» (Matteo, 26, 1-19) hanno fatto da filo conduttore della seconda meditazione. «Gli esegeti — ha fatto presente il religioso — discutono su quando inizi il racconto della passione di Gesù»: e proprio «nel vangelo di Matteo c’è un segnale chiaro: quando Gesù ha terminato i suoi discorsi». Qui «non si intendono solo i cinque discorsi che attraversano l’intero primo vangelo — ha precisato — ma si dice che, da qui in avanti, Gesù porterà a compimento l’opera in altro modo, progressivamente diminuendo le sue parole, fino a non dire più nulla, se non uno scandaloso grido dalla croce, talmente imbarazzante che è stato omesso dai vangeli di Luca e di Giovanni».
Il Signore, ha affermato il predicatore, «parlerà però in altro modo: con alcuni gesti, come il dono del suo corpo e del suo sangue; con i fatti, attraverso, appunto, la passione; e con il silenzio più che con le parole». Ma «a volte, come si legge nelle storie chassidiche, le parole non servono nemmeno» ha aggiunto, raccontando: «Una volta il Baalschem si fermò sulla soglia di una sinagoga e rifiutò di mettervi piede. “Non posso entrarvi”, disse, “da una parete all’altra e dal pavimento al soffitto è così stipata di insegnamenti e di preghiere che dove ci sarebbe ancora posto per me?”. E notando come coloro che lo circondavano lo guardassero stupefatti, aggiunse: “Le parole che escono dalle labbra dei maestri e di coloro che pregano, ma non da un cuore rivolto al cielo, non salgono in alto, ma riempiono la casa da una parete all’altra e dal pavimento al soffitto”».
«Il significato di un silenzio però — ha osservato Michelini — non è mai scontato e può implicare molte cose, a esempio difficoltà nelle relazioni, rancore, riserve mentali». Mentre «il silenzio di Gesù può essere definito in tre modi: è disarmante, è disarmato, è sereno». Inoltre, ha proseguito il predicatore, «mentre Gesù prepara la sua Pasqua avvengono due cose: altri, stravolgendo il senso di quella festa, si preoccupano che “vada tutto bene”, e quindi pur di non creare problemi di ordine pubblico, decidono di far fuori Gesù “non durante la festa”». E «poi una donna anonima, nel racconto di Matteo, unge il capo di Gesù: si tratta di un gesto di “spreco” che, come ha notato una monaca clarissa, descrive quello che la fondatrice Chiara d’Assisi ha fatto della sua vita, “spezzando duramente nell’angusta solitudine della sua cella l’alabastro del suo corpo, perché l’intero edificio della Chiesa si riempisse degli aromi della sua santità”». 
Però, ha spiegato il francescano, «quel gesto di spreco permette di vedere in quel simbolo lo “spreco” assoluto, quello del Signore Gesù, che tutto si è offerto a noi senza tenere nulla per sé». E «questa donna anonima di Betania è l’unica, diversamente dai discepoli presenti, a capire quello che sta accadendo a Gesù». Tanto che «il Signore la difende e rimprovera i suoi, facendo così entrare i poveri nel banchetto: “I poveri li avete sempre con voi”».
Proprio nella prospettiva di questa meditazione, «pensando al silenzio di Gesù», Michelini ha invitato a chiedersi «in quale modo comunichiamo la nostra fede: se solo con le parole o con la vita». Insomma, ha detto, è opportuno verificare «se la mia vita è evangelizzazione» e anche «di che tipo sono i miei silenzi e, in relazione all’ufficio ecclesiale che svolgo, se sono colpevole di silenzi che non ci sarebbero dovuti essere».
La meditazione sul passo di Matteo porta poi a porre a se stessi un’altra questione: cioè «se noi, in nome di un astratto o ideale senso del sacro, soprattutto noi che dovremmo essere a servizio dell’uomo, anziché entrare nella casa dove si trova Gesù rimaniamo fermi nel palazzo, come quei capi dei sacerdoti e anziani che, pur di far riuscire bene una festa religiosa, mettono a morte un innocente». Infine, ha concluso il religioso, non ci si deve stancare di domandarci «se accogliamo i poveri o preferiamo le parti più congeniali ai noi, ungendo i piedi a Gesù magari con la liturgia e la preghiera», ma tralasciando gli ultimi; senza comunque dimenticare la tentazione opposta, ossia quella di dedicarsi ai poveri dimenticando la preghiera.
L'Osservatore Romano

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Vatican Insider
(Salvatore Cernuzio) Da Plutarco ad Hanna Arendt ed Elie Wiesel, da Tommaso da Celano ai rabbini Hillel e Baal Shem Tow: sono arricchite da preziosi spunti storici le prime meditazioni del francescano padre Giulio Michelini agli Esercizi spirituali di Quaresima del Papa e la Curia. Nella Casa Divin Maestro ad Ariccia, il frate minore sviscera il Vangelo di Matteo per riflettere sul tema della passione, morte e resurrezione di Gesù – che «non sono una fiction», precisa - tratteggiandole come «un grande affresco, di cui si guarda l’insieme per poi rimanere colpiti da un particolare». (...)