mercoledì 15 marzo 2017

Dare un’anima allo spirito di servizio

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Incontro interreligioso a Loppiano sulla famiglia

«Famiglia: risorsa creativa per il tessuto sociale di ogni popolo» è il titolo dell’incontro organizzato l’11 e il 12 marzo dal Movimento dei focolari a Loppiano, in provincia di Firenze. Un’occasione per ricordare Chiara Lubich nel nono anniversario della morte (14 marzo) e per condividere con un migliaio di persone di tutte le generazioni, cristiane ma anche musulmane, buddiste e indù, il contributo delle famiglie al bene dell’umanità. Pubblichiamo stralci dell’intervento della presidente dei focolari. 
(Maria Voce) Tanti di noi siamo venuti a contatto, in tempi e modi diversi, con il carisma dell’unità, con quel carisma che Dio ha depositato nel cuore di Chiara Lubich e che lei ha trasmesso a piene mani. Esso ci ha forgiati e continua a forgiare ciascuno di noi. Orienta la vita e le scelte fondamentali davanti alle sfide di ogni giorno.
Questo carisma genera il desiderio di guardare il mondo e la storia da una prospettiva diversa, dalla quale possiamo cogliere il legame di ciascuno con l’umanità intera, in un’appartenenza non solo personale e che coinvolge tutto di noi: affetti, relazioni, fragilità, emozioni, sofferenze, impegni, sogni.
Stiamo considerando la famiglia, le nostre famiglie, quel nucleo originario a cui noi tutti apparteniamo. Stiamo prendendo in rilievo quella vita dell’amore che ogni giorno la rinnova e la rialza, la fa risorgere dalle morti piccole o grandi, fa brillare nel suo intimo e fra i suoi componenti la presenza di Dio, di Gesù che si rende presente attirato da quell’amore.
Dio ci chiama a esser padri e madri dell’umanità, a dare il nostro contributo per sostenere e incoraggiare la fraternità universale. Ma quale tipo di famiglia può generare un mondo permeato di fraternità? Solo quella che sa fare suo, per amore, tutto quanto vive la comunità che le è attorno, così da poter dire con verità: «Il mio io è l’umanità» (Chiara Lubich, appunto del 6 settembre 1949). Solo famiglie, seppure fragili e imperfette come siamo nella nostra condizione umana, ma rinnovate dal di dentro in questo modo, possono offrire al mondo quella luce e quell’amore che lo risana, in maniera tale che la società vi trovi il modello nel quale rispecchiarsi. Ne troviamo conferma anche nell’Amoris laetitia: «[…] è proprio la famiglia che introduce la fraternità nel mondo. A partire da questa prima esperienza di fraternità, nutrita dagli affetti e dall’educazione familiare, lo stile della fraternità si irradia come una promessa sull’intera società» (194).
Siete voi, le famiglie, il luogo dove per la prima volta nella vita si beneficia della correzione, necessaria allo sviluppo umano, ma anche del perdono, che dà la forza di cominciare un cammino nuovo superando i propri errori. Questa esperienza pone le basi per l’esercizio della giustizia in casa come nella società. Tutto questo incoraggia ogni componente del nucleo familiare a prendere iniziative per andare incontro ai veri bisogni di quelli che vivono intorno, per esempio stando vicino all’anziano solo, all’amico che ha perso il lavoro, a quei parenti che litigano. È questo un modo per sconfiggere la “chiusura” e alimentare una società responsabile e costruttiva. Valori come la comunione, la solidarietà, lo spirito di sacrificio, la reciprocità, “normali” per così dire nella convivenza familiare, nella maggior parte dei casi possono essere novità dirompenti per le sclerotizzate strutture istituzionali e punti di riferimento per un nuovo ordinamento sociale.
Esistono già strutture e istituzioni preposte a cooperare al bene della comunità e dei singoli. Ho vivo il ricordo di un discorso in cui Chiara ci ha detto: esistono ma «occorre umanizzarle, dar loro un’anima, in modo che lo spirito di servizio raggiunga quell’intensità, quella spontaneità e quella spinta di amore per la persona, che si respira nella famiglia» (Messaggio al Familyfest, 5 giugno 1993). E qui sta l’insostituibile compito delle famiglie, «segno e tipo di ogni altra convivenza umana»: «tenere sempre acceso nelle case l’amore, ravvivando così quei valori che sono stati donati da Dio alla famiglia, per portarli ovunque nella società, generosamente e senza sosta» (ibidem). Il compito è arduo, ma non possiamo farci rubare la speranza, direbbe Papa Francesco, «perché — è lui che parla — se il male ci appare minaccioso e invadente, c’è un bene, un oceano di bene, che opera nel mondo» (Messaggio al quotidiano «La Stampa» per i 150 anni di fondazione, 9 febbraio 2017). Nell’arcipelago di associazioni che costituiscono questo oceano di bene, ci sono anche le famiglie del Movimento dei focolari che portano il loro contributo.
Tutto questo comincia in genere dall’attenzione amorevole con cui una famiglia guarda i bisogni di chi le sta vicino. Mi viene in mente la storia accaduta in una cittadina nei pressi di Chicago. Carole, accorgendosi che varie famiglie avevano problemi simili ai suoi per assistere il figlio David, portatore di grave handicap, ha promosso tutta una serie di attività di socializzazione dei giovani disabili e, attraverso di loro, delle famiglie di tutto il quartiere e poi di tutto il Comune, il quale ha persino ricevuto un premio per gli sviluppi in campo sociale. In Spagna, due coppie, appartenenti al movimento, si guardano attorno nella loro città e, vedendo la necessità di molte famiglie di trovare assistenza per gli anziani, si mettono insieme e aprono una casa di soggiorno e assistenza diurna con venticinque posti. In poco tempo costruiscono una realtà vasta di comunione, coinvolgendo i parenti, il quartiere, l’amministrazione, dando lavoro a diverse persone, aprendo in seguito una seconda casa per le tante richieste, e testimoniando il valore attribuito a ogni persona vista come la vera “miniera”. E «La miniera» è il nome che si sono dati. Poteva sembrare un sogno. Le esperienze ci dicono che è già realtà, a volte piccolissima, appena nata, ma che ha in sé la forza prorompente della vita.
Alimentiamo allora con l’amore questa vita perché invada il mondo. Cominciamo da subito. Andiamo con gioia incontro all’umanità e portiamole il nostro dono. Questo fiore, che ora portiamo fuori, è il simbolo dell’esperienza che abbiamo fatto e che vorremmo portare in tutto il mondo.
L'Osservatore Romano