mercoledì 8 marzo 2017

La figlia musulmana del Papa




Avvenire

(Stefania Falasca) «Dare più voce e responsabilità alla parte femminile della società significa dare speranza a una società più capace di collaborare per il bene comune, l’integrazione e la riconciliazione». Ne è convinta Shahrazad Houshmand che – laureata in teologia islamica all’Università di Teheran e docente di Studi islamici a Roma presso la Pontificia Università Gregoriana –  è tra le 37 donne appartenenti a diverse professioni, religioni e nazioni della “Consulta femminile” nata nel 2015 all’interno del Pontificio Consiglio della Cultura.
Ieri, in Sala Stampa vaticana, proprio la teologa iraniana ha presentato insieme a Consuelo Corradi, pro-rettore alla ricerca e ai rapporti internazionali della Lumsa nonché coordinatrice della stessa Consulta, e al cardinale Gianfranco Ravasi, lo scopo di questo organismo: quello di lavorare in dialogo con le diversità culturali e  religiose a partire dai contesti in cui le donne operano, nella convinzione che la pluralità è il presupposto dell’azione umana. 
Shahrazad Houshmand ha definito «un parto naturale» la nascita di questo organismo consultivo e operativo all’interno di un dicastero cattolico romano, considerando come la donna nel cristianesimo abbia un ruolo fondamentale sia per la nascita di Gesù – grazie al sì di Maria – sia per il suo annuncio pasquale, perché a una donna venne dato il compito di annunciare la risurrezione. «Ma la stessa vita – ha proseguito – è affidata alla donna, quindi la sua presenza  nella cultura religiosa e umana è naturale. Ogni donna sa che la pienezza della vita si raggiunge quando si va incontro all’altro». «La pace è la costruzione giorno dopo giorno di una cultura che sia a favore della comunità globale – afferma ancora la teologa di Teheran che si definisce «figlia musulmana di papa Francesco». «Anche noi, con le nostre diversità – aggiunge – vogliamo essere questo messaggio: la costruzione di una pace stabile, che non sia solo la mancanza della guerra ma una nuova cultura di accoglienza, perdono, pazienza e di sapienza, che le donne, se seguono la propria natura, sanno apportare». «Esiste un modo di vivere la vita umana proprio delle donne – sottolineato la coordinatrice Consuelo Corradi – non è un discorso ideologico quello che noi portiamo dentro la Consulta. Questo organismo non vuole occuparsi solo di donne, vogliamo parlare di temi universali con lo sguardo femminile». 
Citando il libro biblico della Genesi, il cardinale Ravasi ha detto che «finalmente» si dà al Pontificio Consiglio «l’immagine di Dio» che gli mancava perché «Dio creo l’uomo a sua immagine: maschio e femmina. Non si tratta di seguire l’onda delle recriminazioni, per le quali non ci sarebbe spazio per le donne nella Curia romana», né di fare operazioni di «cosmesi», né di «presenza simbolica nell’orizzonte maschile» e «neppure  di quota rosa». L’obiettivo è un altro: «È una questione di interpretazione, di sguardo, di analisi, di giudizio soprattutto, e anche di proposte – spiega Ravasi –. Ho voluto che su tutte le attività del dicastero ci fosse uno sguardo femminile che offra indicazioni e proposte che non avevamo neppure sospettato». Su tutte le attività si impegnerà la loro presenza a partire dalla prossima plenaria dello stesso pontificio consiglio. 
Per Mariella Enoc, presidente del Cda dell’Ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma, il lavoro da fare, attraverso la possibilità di questo organismo, è quello di «aiutare a far emergere le risorse, le migliori capacità, la possibilità della donna di essere una grande testimone nei contesti nei quali ha di fatto un peso. Cristo ha reso delle donne testimoni in un’epoca in cui le donne non potevano esserlo. È necessario quindi che la Consulta non sia solo un luogo di pensiero, ma porti nei contesti quello che la donna può essere e può fare, non in maniera simbolica ma costruttiva, creando non il confronto ma l’armonizzazione tra l’uomo e la donna. Noi dobbiamo far crescere questa cultura all’interno della Chiesa».

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Vatican Insider 
CITTÀ DEL VATICANO

«Più diamo voce alla parte femminile della società, più possiamo sperare in una società capace di perdonare, pazientare e accogliere», tanto più necessario oggi ad un mondo che «ha bisogno di perdono». Ne è convinta Shahrazad Houshmand, teologa iraniana, membro della Consulta femminile nata nel giugno del 2015 presso il Pontificio consiglio della Cultura e presentato oggi alla stampa alla vigilia della festa delle donne. 
  
«Abbiamo aspettato un po’ per incontrarvi perché volevamo che il gruppo fosse un vero gruppo», ha spiegato ai giornalisti la coordinatrice Consuelo Corradi, prorettore alla ricerca e ai rapporti internazionali della università Lumsa, nel meeting point presentato in Sala Stampa vaticana dalla vice-direttrice Paloma Ovejero: «In questo anno e mezzo ci siamo conosciute, sono nati gruppi tematici, abbiamo lavorato insieme». E oggi, alle porte dell’8 marzo, la presentazione alla stampa con il cardinale presidente del dicastero vaticano, Gianfranco Ravasi, che per l’occasione ha interrotto il ritiro spirituale di Quaresima con il Papa e la Curia («Io sono ufficialmente ad Ariccia, questa è bilocazione, dovuta alla giornata di domani…», ha scherzato). La Consulta femminile, ha detto il porporato citando il libro biblico della Genesi, «finalmente» dà al pontificio consiglio «l’immagine di Dio» che gli mancava («Dio creo l’uomo a sua immagine: maschio e femmina li creò»): non si tratta di una risposta alle «recriminazioni» femministe, né di «cosmesi» o di «quote rosa» ma di introdurre «lo sguardo femminile» su tutte le attività del dicastero e la loro presenza a partire dalla prossima plenaria dello stesso Pontificio Consiglio. 
  
Chiamata a presentare l’iniziativa in introduzione dell’incontro con i giornalisti, Shahrazad Houshmand, come una ventina di altri membri della consulta (manager come la presidente dell’ospedale Bambino Gesù, Mariella Enoc, artisti come l’attrice Nancy Brilli, scienziate, religiose, teologhe, imprenditrici), si è poi fermata a rispondere alle domande dei giornalisti. Laureata in teologia islamica nella città santa di Qom e all’università di Teheran, in teologia cattolica presso la Pontificia Università Lateranense, la donna insegna Studi Islamici e Lingua e Letteratura Persiana presso l'università La Sapienza e la Pontificia Università Gregoriana, è componente del Consiglio per l'Islam presso il Ministero dell'Interno, e membro, tra l’altro, del centro per il dialogo interreligioso del movimento dei Focolari. Come membro della Consulta presentata oggi ha sottolineato a più riprese il contributo che le donne possono dare per la pace in un mondo attraversato da tensioni e discriminazioni. 
  
«C’è un poeta persiano che si chiama Ferdowsi, che ha vissuto mille anni fa ed è il padre della lingua persiana, che ha scritto: se il governo del mondo era affidato alle donne, tutte queste guerre potevano essere evitate. Paolo VI diceva che la pace non è la mancanza della guerra, Papa Francesco dice che la pace è la costruzione giorno dopo giorno di una cultura che sia a favore della comunità globale. Anche noi, con le nostre diversità, vogliamo essere questo messaggio: la costruzione di una pace stabile, che non sia solo la mancanza della guerra ma una nuova cultura di accoglienza, perdono, pazienza e anche sapienza». 
  
Eppure Marine Le Pen in Francia e Frauke Petry in Germania, due donne, guidano il fronte per così dire meno pacifico della politica europea. Al tempo stesso ci sono donne come la Cancelliera tedesca Angela Merkel impegnate in una politica di segno opposto. Le donne si pongono su tutto il ventaglio del tema della pace e della riconciliazione… 
  
«Il Corano scrive che il peccato non è stato portato nel mondo attraverso la donna, ma da Adamo, e la donna è scivolata dietro l’uomo… Penso che, come vediamo in tutta la storia, una donna non prende un’arma per uccidere, se non raramente per una difesa familiare, ma a portare l’arma e la guerra per uccidere sono stati più gli uomini. In quest’ottica penso che a volte anche la donna “scivola” su questo pensiero. E invece la natura della donna è accogliente, biologicamente la donna accoglie, nutre e protegge, e allora se torna alla sua stessa natura dovrebbe essere costruttrice di pace e riconciliazione, e non fonte di divisione». 
  
Vista la sua esperienza, può questa Consulta avere qualche ruolo nei rapporti tra la Santa Sede e l’islam, in particolare l’islam sciita, e con l’Iran? 
  
«Io sono assolutamente fiduciosa che la storia la creano gli individui. Se noi siamo qui è perché crediamo che la costruzione di ponti e l’incontro tra culture e religioni è assolutamente possibile. Ha detto Hans Kueng che la pace tra gli Stati non può avvenire se non tramite la pace tra le religioni. In quest’ottica la mia presenza simboleggia anche questo: che deve esserci pace tra le religioni per arrivare alla pace tra le nazioni». 
  
Non vi sentite, voi donne della Consulta, una “foglia di fico” del Vaticano? 
  
«No, come vede anche dalla biografia nella Consulta ci sono donne di grande coraggio e di grande presenza sociale. Non ci tiriamo indietro, siamo donne che crediamo nel bene sociale, siamo tutte attivissime. E se anche il cardinale ha aperto questa porta verso di noi, saremo molto presenti». 
  
In questo momento negli Stati Uniti di Donald Trump c’è un tema di discriminazione nei confronti di Paesi a maggioranza islamica: questa Consulta può essere un messaggio che supera il Vaticano ed è indirizzato al mondo intero? 
  
«La fisica spiega che la luce anche se piccola si diffonde negli spazi grandi. Allora anche se la nostra luce non è grande, illumina, si fa vedere e dà il messaggio che le donne sono capaci, nonostante le loro diversità di conoscenza, di scienza, di cultura, di lingua e anche di religione di collaborare pienamente e amichevolmente per il bene comune». 
  
La Vergine Maria può essere un ponte tra cristiani e musulmani? 
  
«Questo è un punto che mi interessa in modo particolare. Il Libano è un esempio: se il Libano, nonostante la variegata presenza di cristiani e musulmani, ha stabilito un giorno come festa nazionale di tutti i cittadini che è l’annunciazione di Maria il 25 marzo. È già un segno grande che la figura di Maria può essere non solo un ponte, ma un’autostrada gigante tra islam e cristianesimo». 
  
Come è percepito Papa Francesco dalle donne musulmane? 
  
«Papa Francesco è stimato e amato dai musulmani, non solo dalle donne, perché la sua parola è attentissima alla sofferenza dell’altro e alla vita dell’altro, chiunque egli sia. Non guarda il volto dell’altro solo perché cristiano o cattolico, guarda alla sofferenza del mondo, non dice solo “i cristiani sono perseguitati” ma parla della sofferenza dell’essere umano, ed è questo che lo fa amare molto dai musulmani, comprese le donne musulmane, compresa me che mi sento una figlia musulmana di Papa Francesco». 
  
Qual è la sua opinione sulla violenza nei confronti delle donne? 
  
«La parola “zalim” e la parola “mazlum” hanno la stessa radice, colui che compie violenza e colui che subisce violenza. Chi impone un’ingiustizia non ci riuscirebbe se l’altra parte non lo accettasse: da questo punto di vista c’è una responsabilità femminile se la donna ha accettato la sottomissisione o l’essere messa da parte. Però questo non basta a chiarire da che parte è la maggiore colpevolezza. Il fatto è che la nostra unica salvezza è collaborare tutti insieme nessuno escluso, donne e uomini, colpevoli buoni e santi, credenti e non credenti. Oggi la nostra epoca ci sta scuotendo per un risveglio globale, a livello di ogni individuo, che possa portare ad una rinascita insieme». 
  
Qual è la situazione della donna nel mondo islamico? 
  
«L’idea coranica sulla donna è un’idea che cerca di dare grande valore e dignità alla donna, ma quanto è stata messa in pratica nella storia è un altro discorso, come avviene anche nel mondo cristiano. È anche vero che oggi tante donne musulmane soffrono, ma è anche vero che è in generale la donna oggi a soffrire: purtroppo la violenza sulla donna non conosce né religione, né tradizione, né lingue. Purtroppo in Italia ogni due giorni una donna viene uccisa. Allora anche qui bisognerebbe fare un lavoro globale. Ci sono donne musulmane di grande presenza sociale e culturale e scientifica nel mondo musulmano ma purtroppo in Occidente non hanno molta voce, ci sono addirittura donne presidente della Repubblica o primo ministro come in Bangladesh, Indonesia o Pakistan. Più diamo voce alla parte femminile della società, più possiamo sperare in una società capace di perdonare, pazientare e accogliere, perché il perdono è necessario oggi nella nostra società ed ha più valore femminile: la madre riesce più facilmente a perdonare il figlio del padre. Diamo più voce alla donna e aiutiamo così sia le donne msulmane che le donne del mondo tutto che anche gli uomini». 
  
Nel diffondere la fede che ruolo possono avere le donne musulmane a prendere le distanze dal fondamentlismo radicale di alcuni ambienti? 
  
«Il perdono, lo ripeto, è più forte nella parte femminile. Basandoci sulla natura del perdono e della pazienza della donna possiamo arrivare anche a questo»