domenica 26 marzo 2017

Lunedì della IV settimana del Tempo di Quaresima. Commento al Vangelo


La Parola di Dio ci spinge a cambiare 
il nostro concetto di realismo:
realista è chi riconosce nel Verbo di Dio 
il fondamento di tutto.

Benedetto XVI


Dal Vangelo secondo Giovanni, 4,43-54

In quel tempo, Gesù partì dalla Samaria per andare in Galilea. Ma egli stesso aveva dichiarato che un profeta non riceve onore nella sua patria. Quando però giunse in Galilea, i Galilei lo accolsero con gioia, poiché avevano visto tutto quello che aveva fatto a Gerusalemme durante la festa; anch’essi infatti erano andati alla festa.
Andò dunque di nuovo a Cana di Galilea, dove aveva cambiato l’acqua in vino. Vi era un funzionario del re, che aveva un figlio malato a Cafarnao. Costui, udito che Gesù era venuto dalla Giudea in Galilea, si recò da lui e lo pregò di scendere a guarire suo figlio poiché stava per morire. Gesù gli disse: “Se non vedete segni e prodigi, voi non credete”. Ma il funzionario del re insistette: “Signore, scendi prima che il mio bambino muoia”. Gesù gli risponde: “Va’, tuo figlio vive”. Quell’uomo credette alla parola che gli aveva detto Gesù e si mise in cammino. Proprio mentre scendeva, gli vennero incontro i servi a dirgli: “Tuo figlio vive!”. S’informò poi a che ora avesse cominciato a star meglio. Gli dissero: “Ieri, un’ora dopo mezzogiorno la febbre lo ha lasciato”. Il padre riconobbe che proprio in quell’ora Gesù gli aveva detto: “Tuo figlio vive”, e credette lui con tutta la sua famiglia.
Questo fu il secondo miracolo che Gesù fece tornando dalla Giudea in Galilea.



***

Essendo un allenamento a vivere bene, la Quaresima ci insegna l'atteggiamento adeguato da assumere dinanzi agli eventi che odorano di morte, come quello in cui si è imbattuto il "funzionario del re". Abbiamo anche noi un "figlio" che "sta per morire". E' a "Cafarnao", la Patria di Gesù che lo aveva rifiutato. Per questo sta per morire. Come "il figlio" di Dio che è in noi, in agonia perché non abbiamo accolto il Signore nella nostra vita, che non abbiamo voluto lasciare che fosse, sino in fondo, la sua. Forse siamo nella Chiesa, eppure proprio la prossimità con Gesù ci ha fatto scivolare in un rapporto superficiale con Lui. Ci siamo abituati al suo amore, non ci stupiamo più per le Grazie con le quali ci accompagna istante dopo istante. Le liturgie, la Parola di Dio, lo straordinario miracolo della luce di Pasqua che illumina la vita, la possibilità di essere perdonati e ricominciare, tutto è divenuto scontato, come un rumore di sottofondo della vita. Per questo non abbiamo saputo discernere i sintomi della malattia che aggrediva il "figlio" somigliante a Dio, capace di amare e donarsi: disattenzioni ai bisogni della moglie, piccoli egoismi nei confronti del marito, insofferenza crescente agli atteggiamenti lunatici dei figli, giudizi che covano da tempo, chiacchiere alle spalle dei fratelli, "constatazioni" per carità, mica pregiudizi; e poi accidia nella preghiera, attaccamento al denaro, e quel sottile e pernicioso senso di frustrazione accolto e coccolato, sino a farci sentire incompresi dal mondo intero. Il demonio, subdolamente, si è infilato nei pertugi lasciati incustoditi dalla superficialità della routine con cui viviamo la relazione con Cristo, e così ci ha chiusi lentamente nella prigione dell'orgoglio. E ora è ira travolgente a ogni inconveniente, parole pesanti in risposta alle incomprensioni del coniuge, chiusura netta a ogni richiesta dei figli, avarizia nevrotica, rancori verso chiunque. Il "figlio" ha perso le sembianze del Padre, no possiamo amare salendo sulla Croce che la storia ci presenta. Sì, guarda bene, e vedrai che stai morendo anche tu in quel giudizio. Ma Gesù, in questo tempo di Grazia, torna "di nuovo" a "Cana di Galilea, dove aveva cambiato l'acqua in vino", scende cioè ancora nella nostra vita per riaccendere la memoria degli inizi, dei primi "segni" che hanno cambiato la nostra vita grigia in gioia; quando abbiamo ascoltato e accolto la sua Parola sperimentandone il potere rigenerante. Torna per guarirci, compiendo in noi "quello che ha fatto a Gerusalemme", ovvero purificarci scacciando venditori e cambiavalute dal nostro cuore, per ricostruire in noi il suo Tempio e fare Pasqua con noi. Accorriamo allora, a "chiedergli" di "scendere" nei nostri peccati. E' vero, siamo ancora molto capricciosi, la nostra fede è infantile e per "credere" abbiamo ancora bisogno di "vedere segni e prodigi". Ma Gesù ci conosce, e, come già alle nozze, si lascia di nuovo strappare il suo potere, per condurci alla fede adulta. Per questo, con misericordia infinita, ci annuncia ancora la sua Parola, offrendoci un "secondo segno" per convertirci e credere: Lui oggi resuscita in noi l'amore del Figlio di Dio! Confessati, vai all'eucarestia, mettiti in ginocchio e prega e supplica. "Ascolta" la Parola di Gesù che la Chiesa ti predica; e "obbedisci", "mettiti in cammino" come il "funzionario del re", per andare a sperimentare che è vera e compie ciò che annuncia. Scendi in questa Quaresima la scala dell'umiltà che conduce alle acque del battesimo. Ci attende una notte da attraversare, e in essa trepidazione, speranza, desiderio, stanchezza, scoramento, per incontrare finalmente la luce della resurrezione, la vita nuova in Cristo. Ci è dato un tempo, come quello nel quale il Signore aveva inviato quel padre: ogni giorno della nostra vita, sulla cui soglia Gesù ci accoglie per inviarci nella vita a crescere nella fede sperimentando il potere della sua Parola: "Và, tuo figlio vive". Vive e saprà perdonare. Vive e si offrirà sul letto della malattia. Vive e si aprirà alla vita. Vive e si umilierà accettando i limiti della vecchiaia. Vive e amerà, passando con Cristo dalla morte alla vita. Ogni giorno è un appuntamento al quale siamo invitati per riconoscere che, "proprio nell'istante" in cui ci è stata annunciata e abbiamo obbedito, la Parola aveva "già" operato il prodigio. La fede adulta che vince il mondo e accompagna ad essa anche la nostra "famiglia" è quella che spera contro ogni speranza. "Andiamo" allora appoggiati alla Parola di Gesù, per guarire il "figlio" che è in noi, ma anche i nostri "figli" nella carne, perché la loro fede dipende dalla nostra conversione. Prega per loro e vedrai con gli occhi soprannaturali che proprio mentre ti stavi rivolgendo a Cristo, tuo figlio ha cominciato a tornare in sé, anche se esteriormente stava conducendo la solita vita. Questa è la fede adulta, che è come un trapano che perfora la carne i suoi criteri, illuminando la ragione. La fede che si sperimenta empiricamente, "orologio alla mano", perché Dio è puntuale offrendoci i "segni" di vita nella morte che solo la fede sa discernere, per schiudere al mondo la speranza del Cielo.