lunedì 13 marzo 2017

Papa Francesco: il discernimento



Il Papa per questo tempo
L'Osservatore Romano 

(Giovanni Maria Vian) Inizia il quinto anno del pontificato e Francesco ha colto di nuovo lo spunto offertogli dalla domanda diretta di un bambino in una parrocchia romana per riflettere sul servizio papale, rispondendo con parole semplici e radicali: «Gesù sceglie chi vuole che faccia il Papa in questo tempo; in un altro tempo sceglie un altro, e un altro, e un altro». Aprendosi subito dopo a una confidenza: «A me piace; e mi piaceva anche quando ero parroco in una parrocchia, rettore della facoltà e anche parroco, tutti e due, mi piaceva tanto. Mi piaceva anche fare scuola di catechesi, la messa ai bambini, mi piaceva. Sempre, essere sacerdote è una cosa che a me è piaciuta tanto».
Questa consapevolezza del Pontefice, semplice e immediata, colpisce perché lascia trasparire una sincerità di vita che si presenta in modo disarmante. «Quello che Dio vuole, quello che il Signore ti dà è bello, perché quando il Signore ti dà un compito da fare — un lavoro, essere pastore di una parrocchia, o di una diocesi o fare il Papa, pastore — lì ti dà un compito» ha aggiunto, incalzando poi i bambini sulla missione dei parroci e dei vescovi: non solo portare la pace, ma «insegnare la parola di Dio, fare la catechesi». Ecco, chi vuole capire davvero Bergoglio deve tenere conto di queste sue risposte, lasciando cadere caricature malevole e «chiacchiere» pericolose perché distruttive, se non addirittura diaboliche, in senso etimologico (diàbolos significa infatti “calunniatore” o “colui che divide”).
Certo, sui media non è facile trovare tutto quello che Francesco dice, ma onestà vorrebbe che almeno i giornalisti e i cosiddetti opinionisti ne tenessero conto per farsi un’idea attendibile di chi davvero il Pontefice è, e per non trasmettere immagini che sono invece lontane dalla realtà. Tanto più che lo stesso Bergoglio aveva delineato, poco prima dell’inizio del conclave, il profilo del nuovo Papa, «un uomo che, attraverso la contemplazione di Gesù Cristo e l’adorazione di Gesù Cristo, aiuti la Chiesa a uscire da se stessa verso le periferie esistenziali». Dunque un Pontefice missionario.
E missionario Francesco si sta confermando ogni giorno che passa, radicato nella preghiera e nella meditazione, come ha spiegato ancora ai bambini desiderosi di conoscerlo davvero, a differenza di tanti adulti. «Un momento molto bello per me — a me piace tanto — è quando posso pregare in silenzio, leggere la Parola di Dio: mi fa bene, mi piace tanto» ha detto, aggiungendo alla fine, per quanti non avessero ancora capito: «E io queste cose le dico ai bambini, ma perché sentano anche i grandi».
A pregare del resto Bergoglio aveva esplicitamente invitato sin dai primi momenti del pontificato quando con i fedeli recitò il Padrenostro, l’Avemaria e il Gloria per Benedetto XVI, chiedendo poi «la preghiera del popolo» per il suo vescovo e concludendo il suo primo indimenticabile discorso con una richiesta poi di continuo ripetuta e con l’annuncio di un gesto anch’esso divenuto familiare: «Pregate per me e a presto! Ci vediamo presto: domani voglio andare a pregare la Madonna, perché custodisca tutta Roma». 


***

Nelle esortazioni apostoliche del Pontefice. Per gustare il Vangelo

(Maurizio Gronchi) Nelle due esortazioni apostoliche di Papa Francesco il tema del discernimento occupa un posto centrale. Discernimento è un termine ricorrente nella tradizione cristiana, specialmente nella teologia morale e nella spiritualità dei gesuiti. Ignazio di Loyola espone ben quattordici «regole per sentire e conoscere in qualche modo le varie mozioni che si producono nell’anima: le buone per accoglierle e le cattive per respingerle». La prima importante indicazione sul discernimento viene da Gesù stesso, che invita le persone a pensare con la propria testa, e a decidersi per il regno di Dio: «Come mai questo tempo non sapete giudicarlo? E perché non giudicate da voi stessi ciò che è giusto?» (Luca, 12, 56-57); «non giudicate secondo le apparenze, ma giudicate con giusto giudizio» (Giovanni, 7, 24).
San Paolo così sintetizza il processo che regola l’esistenza cristiana: «esaminate ogni cosa, tenete ciò che è buono» (1 Tessalonicesi, 5, 21), e san Giovanni raccomanda: «Carissimi, non prestate fede a ogni ispirazione, ma mettete alla prova le ispirazioni, per saggiare se provengono veramente da Dio» (1 Giovanni, 4, 1). La Chiesa non fa altro che avanzare sulla stessa strada: la vita del credente necessita di quella sapienza che lo Spirito santo dona a chi si pone in ascolto della voce di Dio. 
Nel magistero recente il tema del discernimento ha assunto una rilevanza evidente: esso rappresenta non solo una metodologia pastorale, ma costituisce una vera e propria indicazione dottrinale. Gli elementi fondativi del discernimento, dal punto di vista ecclesiologico, si trovano in Evangelii gaudium; la sua declinazione pastorale, nella prospettiva della teologia morale, è reperibile in Amoris laetitia.
Il primo dato messo in chiara luce da Evangelii gaudium corrisponde all’esercizio della sinodalità, intesa come la partecipazione di ogni Chiesa locale al processo di discernimento che vede centro e periferia in dialogo fecondo e armonico. Alle Chiese particolari e ai rispettivi episcopati locali, infatti, compete il «discernimento di tutte le problematiche che si prospettano nei loro territori», nella logica di una «salutare “decentralizzazione”» (Evangelii gaudium, 16). La stessa esortazione, peraltro corredata dai vari interventi degli episcopati mondiali, dà testimonianza dell’ascolto e dell’accoglienza da parte del Papa dei contributi di «ciò che lo Spirito dice alle Chiese» (Apocalisse, 2, 7), mostrando che su questa strada occorre procedere.
Questa prima indicazione relativa all’esercizio del discernimento afferisce alla responsabilità sinodale, che ogni Chiesa particolare condivide con le altre, cum Petro et sub Petro. Quanto il Papa raccomanda, in effetti, è un processo già in atto nei due documenti che andiamo considerando. In Evangelii gaudium l’esercizio della sinodalità — oltre che per la citazione diretta degli episcopati mondiali — è attestato dalla recezione delle proposizioni della precedente assemblea sinodale ordinaria sulla nuova evangelizzazione (2012), dalla quale il documento prende spunto per procedere oltre. Amoris laetitia ne dà prova ancor più esplicita grazie alla doppia consultazione del popolo di Dio (avvenuta mediante due questionari) e le relazioni conclusive delle due assemblee sinodali sulla famiglia (straordinaria 2014, ordinaria 2015), il cui frutto è raccolto e integrato nell’esortazione postsinodale.
La seconda indicazione di carattere teologico riguarda il rapporto tra centro del Vangelo e quegli aspetti periferici non sostanziali che, nel corso del tempo, si sono talmente radicati da diventare prevalenti. Nella predicazione talvolta capita di dare maggior rilievo alla «trasmissione disarticolata di una moltitudine di dottrine che si tenta di imporre a forza di insistere» (Evangelii gaudium, 35), invece di concentrarsi sull’essenziale, su ciò che è più bello, attraente e quindi necessario. Tutte le verità rivelate procedono dalla stessa sorgente divina e sono da credere con la medesima fede, tuttavia alcune di esse esprimono più direttamente il cuore del Vangelo, che consiste nella «bellezza dell’amore salvifico di Dio manifestato in Gesù Cristo morto e risorto» (Evangelii gaudium, 36). A questo centro vitale della fede si collegano i diversi contenuti da credere; ciò vale sia per i dogmi definiti solennemente sia per gli insegnamenti della Chiesa, anche di carattere morale, al cui vertice sta la misericordia (cfr. Evangelii gaudium, 37). Come afferma il Vaticano II, esiste una «gerarchia» delle verità della dottrina cattolica (cfr. Unitatis redintegratio, 11), che non attribuisce la medesima importanza, in modo indistinto, alle varie verità di fede, il cui senso è attinto dal rapporto che hanno con il centro del Vangelo.
L’esercizio del discernimento, alla luce della gerarchia delle verità, evita il rischio di concentrarsi sulle periferie dottrinali, lasciandosi piuttosto nutrire dalla sostanza viva del Vangelo. Talvolta può accadere di dare maggior rilievo alla prudenza e alla temperanza che alla giustizia e alla carità. «Lo stesso succede quando si parla più della legge che della grazia, più della Chiesa che di Gesù Cristo, più del Papa che della Parola di Dio» (Evangelii gaudium, 38). Diversamente, «ogni verità si comprende meglio se la si mette in relazione con l’armoniosa totalità del messaggio cristiano, e in questo contesto tutte le verità hanno la loro importanza e si illuminano reciprocamente» (Evangelii gaudium, 39). Anziché un castello di carte, fondato su opzioni ideologiche, la vita cristiana è risposta di amore libero e responsabile all’amore gratuito, immeritato e incondizionato di Dio: ogni virtù è al servizio di questa risposta di amore. Non di rado, invece, capita che la vita cristiana venga presentata e percepita come adesione più a un insieme di regole e di precetti che non a un cuore rinnovato dalla grazia di Dio: preveniente, concomitante e conseguente ogni nostro agire. Senza la fiducia nel primato della grazia, la religione rischia di trasformarsi in schiavitù, anziché in esperienza di libertà e d’amore.
La visione di «una Chiesa in uscita» (cfr. Evangelii gaudium, 20-24), presente nella prima esortazione apostolica di Papa Francesco, è sostenuta da una chiara priorità: la Chiesa di cui parla è il Popolo di Dio, che si articola in varie strutture, tutte chiamate a una effettiva e permanente conversione, al fine di lasciarsi trasformare dall’amicizia del suo Signore, che la attira entro la propria dimensione esodale. Di conseguenza, il dinamismo missionario costitutivo dell’essenza ecclesiale comporta la costante ricerca delle strade sulle quali lo Spirito conduce i credenti in Cristo: è qui che si è chiamati a discernere, per saper scegliere con il cuore aperto allo Spirito santo e ai fratelli. Ciò che qui il Papa intende offrire va «nella linea di un discernimento evangelico. È lo sguardo del discepolo missionario» (Evangelii gaudium, 50), obbediente al comando di Gesù: «Sia invece il vostro parlare sì, sì; no, no; il di più viene dal maligno» (Matteo, 5, 37). L’autentico discernimento si concretizza perciò nel coraggio di dire: «no a un’economia dell’esclusione», «no alla nuova idolatria del denaro», «no a un denaro che governa invece di servire», «no all’inequità che genera violenza», «no all’accidia egoista», «no al pessimismo sterile», «no alla mondanità spirituale», «no alla guerra tra di noi». Per essere invece capaci di dire: «sì alla sfida di una spiritualità missionaria», «sì alle relazioni nuove generate da Gesù Cristo». Mentre la lista dei no è più lunga, quella dei sì è concentrata sull’essenziale. La spiritualità missionaria e la novità delle relazioni in Cristo permettono di trasformare le sfide in opportunità anziché temerle come minacce.
Dal punto di vista propriamente teologico, l’esortazione Amoris laetitia fa propria una significativa scelta dei padri sinodali: il rapporto tra i semi del Verbo e le situazioni imperfette è la chiave cristologica adeguata per comprendere, tra continuità e novità, l’ordine della creazione e quello della redenzione. Il tema dei semi del Verbo permette di assumere uno sguardo positivo anche nei confronti delle esperienze familiari incompiute, imperfette, ferite. «Il discernimento della presenza dei semina Verbi nelle altre culture (cfr. Ad gentes, 11) può essere applicato anche alla realtà matrimoniale e familiare» (Amoris laetitia, 77); «Lo sguardo di Cristo, la cui luce rischiara ogni uomo (cfr. Giovanni, 1, 9; Gaudium et spes, 22) ispira la cura pastorale della Chiesa verso i fedeli che semplicemente convivono o che hanno contratto matrimonio soltanto civile o sono divorziati risposati» (Amoris laetitia, 78). Correlativamente, Amoris laetitia indica nella pedagogia divina la modalità con cui la Chiesa mostra il volto paziente e amoroso di Dio, che accompagna e sostiene la fragilità di tutti i suoi figli lungo il cammino della vita, offrendo loro la sua grazia. 
Amoris laetitia usa il verbo discernere principalmente nel capitolo VIII, collocandolo nel titolo in mezzo ad altri due verbi: accompagnare e integrare la fragilità. Quando l’amore non corrisponde più alla forma del sacramento nuziale, la Chiesa si prende cura di queste persone ferite, perché possano ritrovare la via del Vangelo, alla luce del primato della grazia di Dio che mai abbandona. Perciò, «il discernimento deve aiutare a trovare le strade possibili di risposta a Dio e di crescita attraverso i limiti» (Amoris laetitia, 305). Per accompagnare e integrare le persone che vivono in situazioni cosiddette “irregolari” è necessario che i pastori le guardino in faccia una per una. Il documento dice: «I presbiteri hanno il compito di “accompagnare le persone interessate sulla via del discernimento secondo l’insegnamento della Chiesa e gli orientamenti del Vescovo”» (Amoris laetitia, 300). In questo processo di discernimento «sarà utile fare un esame di coscienza, tramite momenti di riflessione e di pentimento. I divorziati risposati dovrebbero chiedersi come si sono comportati verso i loro figli quando l’unione coniugale è entrata in crisi; se ci sono stati tentativi di riconciliazione; come è la situazione del partner abbandonato; quali conseguenze ha la nuova relazione sul resto della famiglia e la comunità dei fedeli; quale esempio essa offre ai giovani che si devono preparare al matrimonio» (ibidem). Al termine di questo processo spirituale, che ha sempre come meta l’integrazione, non c’è comunque l’accesso dei sacramenti della riconciliazione e dell’eucaristia. La decisione individuale, in certe condizioni di essere o meno nella condizione di ricevere i sacramenti, merita rispetto e attenzione. 
Al discernimento personale — che avviene in foro interno e in modo riservato — deve affiancarsi il discernimento comunitario, che coinvolge la comunità cristiana nell’impegnativo compito dell’integrazione. Infatti, la partecipazione alla vita della Chiesa dei fedeli che vivono situazioni difficili può trovare notevoli resistenze proprio all’interno della comunità, là dove alcuni sono tentati di reagire come il figlio maggiore della parabola dei due figli: sembra che venga loro tolto qualcosa quando il fratello minore viene accolto dal padre misericordioso. Al riguardo, l’esortazione offre una chiara indicazione: «Ai divorziati che vivono una nuova unione, è importante far sentire che sono parte della Chiesa, che “non sono scomunicati” e non sono trattati come tali, perché formano sempre la comunione ecclesiale Queste situazioni “esigono un attento discernimento e un accompagnamento di grande rispetto, evitando ogni linguaggio e atteggiamento che li faccia sentire discriminati e promovendo la loro partecipazione alla vita della comunità. Prendersi cura di loro non è per la comunità cristiana un indebolimento della sua fede e della sua testimonianza circa l’indissolubilità matrimoniale, anzi essa esprime proprio in questa cura la sua carità» (Amoris laetitia, 243).
Gli elementi teologici del discernimento — in Evangelii gaudium: il cuore del Vangelo e le periferie dottrinali; in Amoris laetitia: il discernimento dei semi del Verbo — e le indicazioni pastorali sul discernimento spirituale — personale e comunitario — offrono un solido quadro dottrinale per una rinnovata esistenza cristiana: è la strada sulla quale Papa Francesco invita il popolo di Dio a incamminarsi, per gustare la bellezza della gioia del Vangelo e dell’amore nella famiglia.
L'Osservatore Romano