giovedì 30 marzo 2017

Perché il terreno porti frutto

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L’attenzione al mondo digitale e la tutela dei minori sono alcune delle novità contenute ne Il dono della vocazione presbiterale, la nuova Ratio fundamentalis sulla formazione sacerdotale pubblicata l’8 dicembre scorso dalla Congregazione per i clero. È quanto mette in luce l’ultimo numero della «Civiltà Cattolica» in un articolo di cui pubblichiamo ampi stralci.
(Giovanni Cucci e Hans Zollner) Il tempo successivo all’ordinazione è un tempo di grazia, ma anche un tempo di prova, di immissione nel ministero; è anche, a suo modo, una verifica del lavoro compiuto precedentemente, soprattutto circa i criteri di una maturità affettiva.
Il documento Il dono della vocazione presbiterale invita il neopresbitero a non avere timore di riconoscere le proprie fragilità, perché così esse lo aiuteranno a essere capace di comprensione e di misericordia verso le debolezze altrui. Se non farà questo, il presbitero finirà per diventare un «funzionario del sacro», senza il cuore del pastore. Quando gli affetti vengono esclusi dal percorso formativo, si rischia di ridurre il sacerdozio a una sorta di «professione», di esercizio di un potere socialmente riconosciuto. In questa prospettiva, la dimensione del ruolo diventa la motivazione centrale, nel senso che l’individuo trova in esso, oltre a possibili benefici, una risposta essenziale alla stima di sé, di protezione da paure e insicurezze, cosicché altre motivazioni finiscono per diventare del tutto secondarie, fino a essere irrilevanti.

In tal modo si finisce per diventare psicologicamente «identificati con il ruolo» che ci si trova a svolgere, a scapito dei valori di cui il ruolo dovrebbe essere una modalità di espressione. In tal caso, infatti, la persona sarà preoccupata non di essere coerente con i valori propri della scelta compiuta, ma delle possibili gratificazioni che vi potrebbe ottenere, da cui è sempre più dipendente, fino a non avvertire che alcuni gesti e azioni stridono in modo impressionante con la propria vocazione. E così, a una pratica «di facciata», avvertita chiaramente da coloro con cui la persona entra in relazione, non corrisponde un’adesione di mente e di cuore, perché «l’individuo dipende da fattori esterni: l’ottenere una ricompensa o l’evitare una punizione o il mantenere una relazione gratificante con una persona o con un gruppo».
Per questo è importante che fin dalle prime tappe della formazione il candidato si faccia conoscere e sia disponibile a compiere un cammino di conoscenza di sé a livello spirituale e affettivo, che è il vero luogo dell’incontro con il Signore. Senza una relazione affettiva con il Signore, altre voci risuoneranno nel cuore del presbitero, riproponendo le classiche tentazioni, poste da satana a Gesù, dell’avere, del potere e dell’apparire (Il Dono della vocazione presbiterale, 84 d-e).
Tra le novità presenti nel documento, particolarmente degna di nota è l’indicazione che viene dal numero 202: «Massima attenzione dovrà essere prestata al tema della tutela dei minori e degli adulti vulnerabili, vigilando con cura che coloro che chiedono l’ammissione in un seminario o in una casa di formazione, o che già presentano la domanda per ricevere gli ordini, non siano incorsi in alcun modo in delitti o situazioni problematiche in questo ambito». Per questo, prosegue il documento, si richiede una cura particolare nei confronti di coloro che sono stati vittime di abusi. Viene stabilito inoltre che il percorso formativo preveda lezioni e corsi circa la protezione di minori, «dando anche rilievo alle aree di possibile sfruttamento o di violenza, come a esempio la tratta dei minori, il lavoro minorile e gli abusi sessuali sui minori o sugli adulti vulnerabili».
Questo paragrafo si inserisce all’interno di alcune linee fondamentali enunciate dalla Ratio. Anzitutto, la necessità di una vera prova dell’idoneità dei candidati quando entrano in seminario: mentre è dato per scontato che persone con tendenze pedofiliche debbano essere escluse dall’ammissione, è importante ricordare che persone che sono state abusate molto spesso dimostrano segni di particolari difficoltà relazionali ed emotive. Essere stato abusato non esclude categoricamente dall’ammissione, ma il rischio di una fragilità psichica specifica deve essere preso in seria considerazione. Si deve inoltre tener conto del fatto che molte persone abusate rimuovono completamente il trauma, mentre altre sentono tanta vergogna da non riuscire a parlarne; conseguentemente alcuni seminaristi abusati «riscoprono» l’evento traumatico durante gli anni di formazione, e quindi questo elemento deve essere affrontato e gestito in modo appropriato nell’accompagnamento, sia nel forum internum sia nel forum externum, e normalmente anche tramite un approccio psicoterapeutico.
Tutto il documento insiste sulla competenza e capacità dei formatori di accompagnare i seminaristi e i giovani sacerdoti nel loro cammino di crescita, specialmente in riferimento a tematiche ed esperienze difficili della loro vita. È chiaro che non tutti potranno avere una competenza specifica nel campo della traumatologia o della psicoterapia, però tutti i formatori dovrebbero avere almeno una conoscenza sufficiente per individuare segni chiari di un passato traumatico e la capacità di reagire adeguatamente, proponendo interventi — anche con esperti per determinate questioni — quando emergono situazioni particolari.
Va anche precisato che non ci si deve limitare al solo ambito psichico della formazione umana, ma anche al possesso delle conoscenze necessarie che daranno ai formatori una sicurezza sufficiente per saper gestire questi casi con la dovuta compostezza e determinazione. In questa linea si dovrà prestare un’attenzione sostenuta nel tempo, da integrarsi con altri aspetti della formazione, anche ricorrendo a vari strumenti (a esempio, ritiri, conferenze, workshop). Tutto questo dovrebbe rendere chiaro che nella vita umana gli aspetti fisici, psichici e spirituali sono necessariamente connessi e possono o sostenersi o, nel caso negativo, ostacolarsi a vicenda. Parlare di tutela dei minori significa anche affrontare il problema dell’inculturazione — sottolineata nella Ratio — che richiede un’attenta riflessione su tematiche delicate, il cui significato è strettamente legato alla conoscenza, oltre che delle persone, anche della diversità di luoghi, di contesti educativi e sociali in cui si svolgono le attività pastorali. Ne segnaliamo alcune: con quali criteri può essere giudicato «normale» il contatto fisico in ciascuna cultura e come questa specificità si relaziona con i confini il cui superamento possa essere considerato dalla comunità di riferimento come «un abuso»? Come si può collegare l’attenzione e l’impegno verso le persone più vulnerabili — i poveri, i rifugiati, i meno educati — che caratterizza il ministero sociale, educativo e spirituale di molte Chiese in Africa, Asia e America latina e l’attenzione particolare nei confronti dei giovani che sono esposti a tanti tipi di abuso: sessuale (inclusa la prostituzione minorile), emotivo, di lavoro forzato, di violenza fisica, fino a essere costretti a combattere come bambini-soldato nelle guerre, e nelle lotte civili?
Si ribadisce infine la dimensione informatica e digitale di tali problematiche. Nel mondo del web e dei social media in cui crescono oggi i giovani di tutto il mondo, l’educazione dei seminaristi — anche nei seminari minori — all’uso appropriato e misurato di internet è una delle sfide maggiori. Questo non riguarda soltanto il rischio che seminaristi o giovani sacerdoti frequentino siti (pedo)pornografici, ma anche tutte le problematiche legate a fenomeni come le chat, il sexting (l’inviare o il richiedere foto o video con l’esposizione dei genitali), il sextortion (il ricatto a sfondo sessuale). Qui non si tocca solo la domanda della possibile trasgressione sessuale (con minori o adulti), ma sono in gioco molteplici aree delicate della vita di una persona giovane: identità, identità sessuale, capacità relazionale, stabilità emotiva, orientamento valoriale. Anche se non esplicitata, questa attenzione intorno alla protezione dei minori ha bisogno di una motivazione spirituale. Si dovrà trovare una base teologica in un linguaggio comprensibile per esprimere la convinzione che il messaggio di Gesù valga oggi più che mai: «Lasciate che i bambini vengano a me: a chi è come loro appartiene il regno dei cieli» (Marco, 10, 15).
L'Osservatore Romano