mercoledì 8 marzo 2017

Ti ho perso ma ti cerco



La Chiesa come Madre.

(Maria Mourzà) Ben lo sapevano le nostre nonne. Sapevano di appartenere anzitutto alla chiesa, e poi a se stesse. Anzitutto alla chiesa, e poi alla loro casa. Per questo partecipavano di tutto cuore alle sue necessità. Alla costruzione del tempio, alla sua sistemazione, alle collette, ai digiuni, ai vespri, ai sacramenti, alla liturgia. La gente di un tempo sapeva che non vi è altra strada, perché l’altra strada porta a un altro capolinea. Sapevano che la salvezza è solo dentro la nave di Cristo.
La chiesa — attestano i padri — è un grande ospedale in servizio ventiquattro ore su ventiquattro, da duemila anni. Un ospedale in servizio per tutti. Per chi ha un’assicurazione e per chi non ce l’ha. Per i ricchi e per i nullatenenti. Per gente famosa e per gente sconosciuta e marginale. Un grande ospedale in cui si affronta ogni malattia, per quanto avanzata, infettiva e mortale possa essere. Un grande ospedale in cui entri malato e da cui esci sano, come l’emorroissa. Entri persecutore ed esci apostolo, come Paolo. Entri peccatore ed esci santo, come santa Maria Egiziaca. Entri lupo ed esci agnello, come san Mosè l’Etiope. Entri cadavere in decomposizione e, morto da quattro giorni, risorgi, come Lazzaro. Perché nella chiesa non vi è morte. Non vi sono morti. La chiesa è la terra dei viventi, ove c’è vita e sovrabbondanza di vita, cioè Cristo. La chiesa, da secoli, offre gli stessi farmaci, in grado di salvare il mondo; da secoli, essa ha anche gli stessi mirabili risultati: genera santi. In nessun luogo, altrove, nascono santi, se non nella chiesa. Anche altrove troveremo persone buone, santi no. Perché i santi, uomini come noi, che con noi condividono infermità e malattie, sono entrati nella chiesa e si sono consegnati senza riserve alle direttive del medico. E Cristo, che non è solo medico ma anche padre, si consegna a quanti a lui si consegnano. Si china su di loro amorevolmente, totalmente, come solo egli sa; conforta, assiste, cura, santifica e glorifica. Il Cristo misericordioso si fa tutto a tutti per salvare l’uomo.
La chiesa, persino se la rinneghiamo, resta una madre che agogna a raccogliere i suoi figli. Agogna e attende, nella speranza che noi, sia pure dopo anni, torniamo da lei. Ma il nostro ritornare alla chiesa presuppone una consapevolezza: essa non è vuota. Vi è un Padre che ci ama fedelmente, in maniera inalterabile, per sempre. Qualunque sia lo stato in cui ci presentiamo, qualunque sia il luogo da cui proveniamo, per quanto dissoluti possiamo essere stati, c’è un Padre che è uscito in strada e ci aspetta.
Se riuscissimo a dire alla gente quest’unica potente e consolante verità: che nella chiesa dai lacrime e ricevi remissione; che Cristo non si occupa dei nostri peccati ma del nostro pentimento. Se riuscissimo a dire ai giovani di non esitare, qualunque sia il modo in cui hanno vissuto, a far ritorno alla chiesa. Perché la chiesa è madre e, quando a essa torniamo, non indaga per sapere ciò che abbiamo fatto, ma ci guarda negli occhi per vedere ciò che abbiamo sofferto, in quanti frantumi ci siamo ridotti. La vita della chiesa e il suo amore per noi non dipendono né dalla nostra miseria né dalla nostra santità, ma da Cristo.
Se riuscissimo a dire ai nostri figli che il sacerdote, chiunque egli sia, è in grado di fare ciò che nemmeno gli angeli sono in grado di fare: la divina liturgia. E cioè? Cioè: egli fa scendere Dio sulla terra. Fa scendere la Madre di Dio. Fa scendere migliaia di angeli che si accalcano lì, nel tempio, ma che noi non abbiamo occhi per vedere. Questa è la divina liturgia. Uomini e angeli e santi insieme. Vivi e defunti, nonni e bisnonni, i credenti di tutti i secoli. Tutti membri di Cristo. Corpo di Cristo. Ossa di Cristo. Con te che amo e con te che trascuro. Con i familiari e con i nemici. Tutti un corpo solo. Questo succede in ogni liturgia. Questo succede nella chiesa. Per noi. Questa è la chiesa. Madre di una forza illimitata, di una portata illimitata. Basta che ci fidiamo di lei.
I santi, di cui andiamo in cerca bramosi, non piovono dal cielo. Nascono in famiglie. Dietro di loro si nascondono madri e padri e nonne e sorelle la cui vita non era diversa dalla vita della chiesa. Se vogliamo vedere progressi, la nostra vita deve identificarsi con la vita della chiesa.
Viviamo in tempi estremi. Il fiume sembra non avere ritorno. Il peccato si è moltiplicato a dismisura, e di ciò siamo tutti colpevoli. Ci sentiamo innocenti, ma non lo siamo. Tutti abbiamo una quota di responsabilità, anche se non vogliamo riconoscerlo. Per questo piange la chiesa.
Se non ci pentiremo, mai ameremo come ama chi ha ottenuto misericordia, né mai capiremo come ama la chiesa. Si narra di una madre vedova che perse sua figlia adolescente. Se n’era andata nella capitale e viveva in maniera assai libera, in case di piacere. Era impossibile trovarla. In preda alla disperazione, la madre prese una propria fotografia, la ristampò più volte e vi scrisse sotto: «Figlia mia, ti ho persa, ma non dimenticata. Figlia mia, ti ho persa, ma ti cerco». La madre andò a incollarla alle porte delle case di malaffare. Un giorno, dopo anni, la ragazza, entrando in una di queste case, si trovò di fronte alla foto di sua madre. E per la prima volta, dopo anni, nel suo cuore desertificato si aprì una crepa, e cominciarono a sgorgare lacrime. Per la prima volta, dopo anni, gli occhi della figlia scoppiarono a piangere. Per la prima volta, dopo anni, si ricordò della sua origine, della mamma che l’aveva generata, e fece ritorno, per non andarsene mai più.
È quello che anche la chiesa ha fatto per noi. Ha messo ovunque la sua fotografia: le icone, le campane, le ufficiature, il Vangelo, il confessore, la stola santa. Ha messo ovunque la sua fotografia e dice anche a noi le medesime parole: «Figlio mio, ti ho perso, ma non dimenticato. Figlio mio, ti ho perso, ma ti cerco». Nella speranza che si incrini anche il nostro cuore di pietra. Nella speranza che i nostri occhi, inariditi per la “sclerocardia”, effondano lacrime. Nella speranza che ci ricordiamo della nostra origine divina. Nella speranza che facciamo ritorno, dalla madre vera. Dalla madre che salva, compatisce e benedice il mondo. Questa è la chiesa degli apostoli. Questa è la chiesa dei padri. Questa è la chiesa dei santi. È questa chiesa che ha sostenuto l’universo.
L'Osservatore Romano