venerdì 10 marzo 2017

Un papa per questo tempo

Un papa per questo tempo
SettimanaNews


(Piero Coda) «Questa non è l’opinione di un papa né un’opzione pastorale tra altre possibili; sono indicazioni della parola di Dio così chiare, dirette ed evidenti che non hanno bisogno di interpretazioni che toglierebbero ad esse forza interpellante. Viviamole “sine glossa”, senza commenti. In tal modo sperimenteremo la gioia missionaria di condividere la vita con il popolo fedele a Dio cercando di accendere il fuoco nel cuore del mondo». Così papa Francesco nella Evangelii gaudium (n. 271), il suo messaggio programmatico. (...)

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Gioia e letizia da Cicerone a Bergoglio. L’importanza di un titolo
(Marcello Semeraro) Gli incipit dei documenti magisteriali hanno sempre un certo valore simbolico. Non solo, però, in quei testi. Si pensi, ad esempio, per entrare nell’ambito della letteratura italiana, al celebre inizio dantesco «Nel mezzo del cammin di nostra vita», oppure al manzoniano «Quel ramo del lago di Como» che a molti studenti rimangono nella memoria per sempre. Il loro significato non è solo identificativo, ma pure per molti aspetti sintetico, com’è — per fare un altro esempio, questa volta preso dall’arte musicale — l’attacco della Quinta di Beethoven: il tema del destino, come si dice comunemente, che poi si dipana nei quattro movimenti che compongono la sinfonia.
Qualcosa del genere avviene anche per gran parte dei testi ecclesiastici, specialmente pontifici, conciliari e, spesso, anche di organismi della Santa Sede.
Nel caso di Papa Francesco, già per Evangelii gaudium si sarà potuto notare l’ispirazione alla Evangelii nuntiandi di Paolo VI. In Amoris laetitia il titolo si muove sulla medesima onda: «La gioia dell’amore che si vive nelle famiglie è anche il giubilo della Chiesa» (n. 1). Il titolo latino, però, fa ricorso alla parola laetitia. Nelle principali lingue occidentali essa è tradotta con gioia, joie, joy (italiano, francese, inglese), Freude (tedesco), alegría (spagnolo), alegria (portoghese). Queste ultime, in particolare, rendono meglio il senso della parola latina.
Infatti, rispetto al termine gaudium (che, come direbbe Cicerone, è segnato dalla serenità e dalla quiete), e pur non distanziandosene, la parola laetitia ha un di più di effervescenza. Isidoro di Siviglia sottolinea nella presenza del dittongo ae il carattere di espansività e esultanza, di creatività e di fecondità proprio della laetitia. Anche per san Tommaso laetitia indica una gioia che quasi esplode dall’interno verso l’esterno e provoca come una dilatazione del cuore: laetitia dicit effectum gaudii in dilatatione cordis; unde dicitur laetitia quasi latitia: exultatio autem effectum ipsius in signis exterioribus, inquantum gaudium interius ad exteriora prorumpens, quodammodo exilit (“letizia significa l’effetto della gioia nella dilatazione del cuore; per questo si dice letizia (laetitia) come se fosse un allargamento (latitia): l’esultanza è poi il suo effetto nei segni esteriori, in quanto la gioia interiore, prorompendo all’esterno, in qualche modo salta fuori”, Super libros Sententiarum, lib. 3 d. 26 q. 1 a. 3 co.).
Queste sottolineature lessicali aprono la via a diverse riflessioni. Anzitutto che non è certo irrilevante il fatto che per la seconda volta in un documento magisteriale Francesco abbia scelto un “attacco” sul tema della gioia. Al riguardo si possono ricordare tre simili precedenti: il discorso di Giovanni XXIII per l’apertura del concilio Vaticano II Gaudet mater ecclesia, “la madre Chiesa si rallegra”; in secondo luogo la costituzione pastorale dello stesso concilio sulla Chiesa nel mondo contemporaneo Gaudium et spes («le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo, e nulla vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore»); infine, l’esortazione apostolica Gaudete in Domino di Paolo VI (9 maggio 1975), della quale vale la pena riprendere almeno queste prime battute: «Facendo sorgere l’uomo entro un universo che è opera di potenza, di sapienza, di amore, Dio, prima ancora di manifestarsi personalmente mediante la rivelazione, dispone l’intelligenza e il cuore della sua creatura all’incontro con la gioia, nello stesso tempo che con la verità. Bisogna dunque essere attenti all’invocazione che sale dal cuore dell’uomo, dall’età dell’infanzia meravigliosa fino a quella della serena vecchiezza, come un presentimento del mistero divino».
In tutte queste ricorrenze la gioia della Chiesa è caratterizzata dalla misericordia — «al tempo presente, la Sposa di Cristo preferisce usare la medicina della misericordia invece di imbracciare le armi del rigore», diceva Giovanni XXIII — ma anche gioia di condivisione per l’incontro con Cristo e pure dell’incontro in quell’humanum che ancora Paolo VI evocò il 4 ottobre 1965 parlando all’assemblea generale delle Nazioni Unite. La ripresa negli incipit da parte di Francesco può essere considerata come un rilancio di questi atteggiamenti della Chiesa.
L’approccio alla realtà della famiglia mediante il rimando non a un concetto, oppure a un dato sociologico o istituzionale bensì a un sentimento fondamentale come la gioia, è da ritenersi esemplare. Per sottolineare il valore non solo teologico di questo approccio alla realtà della famiglia mediante il tema della gioia, mi piace citare quanto scriveva Karl Rahner introducendo un suo libretto dal titolo Amare Gesù: «Le singole parole significano in primo luogo un invito a lasciare che quello cui esse alludono emerga dall’esperienza della propria vita e di qui ci venga incontro. Ognuno di noi può infatti affermare di capire parole come amore, fedeltà, pazienza ecc. non appena le ode. Però deve anche ammettere che capisce realmente tali parole solo colui che, udendole, raccoglie contemporaneamente le esperienze della propria vita con calma, con pazienza, con l’orecchio continuamente teso verso la propria esistenza, così come si raccoglie una chiara acqua sotterranea lasciandola lentamente sgocciolare in una bacinella. Soltanto chi legge in questo secondo modo (appena accennato) capisce realmente e legge con profitto».
È forse per questa ragione che all’inizio dell’esortazione apostolica Amoris laetitia Francesco raccomanda: «Non consiglio una lettura generale affrettata. Potrà essere meglio valorizzata, sia dalle famiglie sia dagli operatori di pastorale familiare, se la approfondiranno pazientemente una parte dopo l’altra, o se vi cercheranno quello di cui avranno bisogno in ogni circostanza concreta. È probabile, ad esempio, che i coniugi si riconoscano di più nei capitoli quarto e quinto, che gli operatori pastorali abbiano particolare interesse per il capitolo sesto, e che tutti si vedano molto interpellati dal capitolo ottavo. Spero che ognuno, attraverso la lettura, si senta chiamato a prendersi cura con amore della vita delle famiglie, perché esse “non sono un problema, sono principalmente un’opportunità”» (n. 7).
Ciò premesso, personalmente ritengo che per Francesco la scelta della gioia quale via per entrare nella realtà grande dell’«amore nella famiglia» (come spiega il sottotitolo di Amoris laetitia) sia teologicamente e spiritualmente fondata. Teologicamente, perché quello che caratterizza la religione cristiana — potremmo tranquillamente dire giudeo-cristiana — è appunto la gioia: «Vi annuncio una grande gioia» annuncia ai pastori l’angelo del Signore (Luca, 2, 10). Il cristiano, per altro verso, è colui che all’invito di Gesù risponde con la gioia, come Zaccheo (cfr. Luca, 19, 5-6). La scelta mi pare pure spiritualmente fondata alla luce della formazione ignaziana del Papa.
Gli Esercizi spirituali di sant’Ignazio, infatti, altro non sono che una pedagogia per giungere alla verdadera alegría: una “gioia” che è il riflesso psicologico della comunione con Dio, della grata percezione di quanto egli opera nell’uomo e del fatto di sentirsi amato da Dio. L’espressione “Padre che mi vuole bene” è ricorrente nel linguaggio di Francesco. Un esempio potrà essere l’omelia di Santa Marta del 14 marzo 2016 a commento del salmo 22: «“Il Signore è il mio pastore, non manco di nulla. Su pascoli erbosi mi fa riposare, ad acque tranquille mi conduce, rinfranca l’anima mia”. È l’esperienza del Signore che mi vuole bene e che è sempre accanto a me. Qualcuno, però, potrebbe obiettare: “Ma Padre, questo sembra una telenovela, perché ci sono tante cose brutte nella vita!”. Invece, da parte sua, il poeta del salmo continua: “Mi guida per il giusto cammino a motivo del suo nome: anche se vado per una valle oscura, non temo alcun male perché tu sei con me”». E all’Angelus del 26 febbraio scorso ha detto: «Al di sopra di tutto c’è un Padre amoroso che non si dimentica mai dei suoi figli: affidarsi a lui non risolve magicamente i problemi, ma permette di affrontarli con l’animo giusto, coraggiosamente, sono coraggioso perché mi affido al mio Padre che ha cura di tutto e che mi vuole tanto bene».
In secondo luogo, la titolazione di Amoris laetitia mette in luce che il suo oggetto non è primariamente la famiglia, o il matrimonio. C’è già, ed è abbondante, un magistero pontificio sul matrimonio e sulla famiglia! Al riguardano, i numeri 67-70 richiamano gli ultimi interventi di questo tipo, a cominciare dal Vaticano II con Gaudium et spes (numeri 47-52), poi con l’Humanae vitae di Paolo VI, quindi con la Familiaris consortio di Giovanni Paolo II e infine Benedetto XVI con la Caritas in veritate. D’altra parte la stessa Amoris laetitia dedica al sacramento del matrimonio i numeri 71-75, che costituiscono un passaggio certamente sintetico, ma denso e preciso.
L’esortazione Amoris laetitia, però, ha un altro scopo. Lo troviamo dichiarato, in sintonia con i padri sinodali, al numero 200: «Si tratta di far sperimentare che il Vangelo della famiglia è gioia che “riempie il cuore e la vita intera” perché in Cristo siamo “liberati dal peccato, dalla tristezza, dal vuoto interiore, dall’isolamento”». Domanda ultima dell’esortazione, dunque, è: come sarà possibile portare gioia nella famiglia?
Francesco, con la sua esortazione apostolica quasi imita Gesù che dice ai discepoli: «Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena» (Giovanni, 15, 11). Dov’è questa gioia? In tutte le realtà cui, anche se in modo appena abbozzato e perfino sfigurato, è possibile dare, o è dato, il nome di famiglia. Citando i vescovi del Cile, Francesco scrive: «“Non esistono le famiglie perfette che ci propone la pubblicità ingannevole e consumistica. In esse non passano gli anni, non esistono le malattie, il dolore, la morte [...]. La pubblicità consumistica mostra un’illusione che non ha nulla a che vedere con la realtà che devono affrontare giorno per giorno i padri e le madri di famiglia”. È più sano accettare con realismo i limiti, le sfide e le imperfezioni, e dare ascolto all’appello a crescere uniti, a far maturare l’amore e a coltivare la solidità dell’unione, accada quel che accada» (n. 135; cfr. n. 57). Al n. 76, citando prima la relatio synodi e poi Familiaris consortio, aveva scritto: «“Il Vangelo della famiglia nutre pure quei semi che ancora attendono di maturare, e deve curare quegli alberi che si sono inariditi e necessitano di non essere trascurati”, in modo che, partendo dal dono di Cristo nel sacramento, “siano pazientemente condotti oltre, giungendo ad una conoscenza più ricca e ad una integrazione più piena di questo Mistero nella loro vita”».
Aggiungo, da ultimo, che insieme col dono della gioia, Amoris laetitia vuole incoraggiare all’espansività; ossia incoraggiare la famiglia a una gioia capace di essere generativa. Basta citare il n. 80, dove si legge che «fin dall’inizio l’amore rifiuta ogni impulso di chiudersi in se stesso e si apre a una fecondità che lo prolunga oltre la sua propria esistenza»; oppure il n. 94, dove Francesco cita sant’Ignazio di Loyola: «L’amore si deve porre più nelle opere che nelle parole» e lo commenta così: «In questo modo può mostrare tutta la sua fecondità, e ci permette di sperimentare la felicità di dare, la nobiltà e la grandezza di donarsi in modo sovrabbondante, senza misurare, senza esigere ricompense, per il solo gusto di dare e di servire». Al n. 165, poi, si legge: «L’amore dà sempre vita». Sono le parole che danno inizio al capitolo quinto, dedicato all’amore che diventa fecondo. Sembra di risentire san Tommaso: la letizia è la gioia quando si espande.

L'Osservatore Romano


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Bruno Forte: «Nonostante le ferite, vale la pena scommettere sulla famiglia» 
RomaSette 
Il segretario del Sinodo dei vescovi intervenuto a un incontro a San Salvatore in Lauro sull’Amoris laetitia. «I dubbi presentano dubbi su chi li ha sollevati» -- «Francesco cerca di unire la testimonianza di un’assoluta fedeltà alla verità del Vangelo con una grande carità verso le persone concrete cui il Vangelo viene annunciato». Monsignor Bruno Forte, arcivescovo di Chieti-Vasto e segretario del Sinodo dei vescovi sulla famiglia, spiega perché le critiche al Papa su alcuni punti dell’Amoris laetitia non hanno ragione di esistere. (...)


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SettimanaNews
(Lorenzo Prezzi) È passato come l’invito a prendersi cura anche dei conviventi, delle unioni di fatto. Parlando a 300 parroci chiamati a un seminario di formazione sul nuovo processo matrimoniale (Roma, 22-25 febbraio 2017), papa Francesco li ha invitati ad accogliere «quei giovani che preferiscono convivere senza sposarsi». «Anche queste persone sono amate dal cuore di Cristo. Abbiate verso di loro uno sguardo di tenerezza e di compassione». In realtà, la questione riguardava l’applicazione delle nuove norme nel processo di riconoscimento della nullità matrimoniale, e più generalmente, del discernimento pastorale in ordine alla famiglia