domenica 2 aprile 2017

Il futuro dell’Europa nella memoria delle sue radici



(Bruno Forte, Arcivescovo di Chieti-Vasto) Sabato 25 marzo è stato celebrato in Campidoglio il sessantesimo anniversario della firma dei Trattati di Roma, atto ufficiale di avvio del processo d’integrazione europea. Era un lunedì, quel 25 marzo del 1957, quando i ministri degli esteri di cinque paesi (Italia, Francia, Germania Ovest, Belgio, Paesi Bassi e Lussemburgo) apposero le firme sui documenti a fondamento dell’odierna Unione: il trattato costitutivo della Comunità economica europea (Cee) e il quello che stabiliva la Comunità europea dell’energia atomica (Euratom). 
La Dichiarazione di Roma, sottoscritta in occasione del sessantesimo dai rappresentanti dei ventisette Paesi che costituiscono oggi l’Unione, ribadisce il valore fondamentale dell’unità europea, la necessità dello sviluppo del mercato unico e le urgenze relative a quattro priorità da affrontare insieme: la sicurezza, la crescita, il “welfare” e la difesa. Nel sottolineare con orgoglio come l’Unione sia oggi “una grande potenza economica, con livelli di protezione sociale e welfare senza uguali nel mondo”, la Dichiarazione evidenzia come essa abbia promosso il progresso economico e sociale, così come la coesione e la convergenza delle nazioni che ne fanno parte, rispettando la diversità dei sistemi nazionali e operando in base al principio di sussidiarietà, nel pieno rispetto, cioè, delle sovranità dei singoli Paesi membro nelle tematiche non specificamente comuni. L’uscita della Gran Bretagna dall’Unione, sebbene sia stata avvertita da molti come una ferita inferta alle conquiste acquisite, non è stata menzionata, evidentemente perché non viene considerata né un freno, né un ostacolo al cammino in corso. Nel campo della politica estera e del commercio, infine, la Dichiarazione rilancia l’impegno per “un’Europa più forte sulla scena globale”.
Come tutto questo sarà possibile? La risposta che solo un’unione politica potrà farlo è legittima. Una tale unione, tuttavia, non si realizzerà senza la riscoperta delle ragioni morali e spirituali che sono a fondamento dell’Europa unita. A rilanciare queste ragioni è di stimolo ed aiuto quanto Papa Francesco ha detto ricevendo i capi di Stato e di Governo dell’Unione Europea alla vigilia della celebrazione del sessantesimo. Dopo aver ribadito l’affetto e l’attenzione della Santa Sede verso l’Europa tutta e i singoli Paesi che ne fanno parte, il Papa ha affermato: “Ritornare a Roma sessant’anni dopo non può essere solo un viaggio nei ricordi, quanto piuttosto il desiderio di riscoprire la memoria vivente di quell’evento per comprenderne la portata nel presente. Occorre immedesimarsi nelle sfide di allora, per affrontare quelle dell’oggi e del domani… Dopo gli anni bui e cruenti della Seconda Guerra Mondiale, i leader di quel tempo hanno avuto fede nella possibilità di un avvenire migliore... Il ricordo delle passate sventure e delle colpe commesse sembra averli ispirati e donato loro il coraggio necessario per dimenticare le vecchie contese e pensare e agire in modo veramente nuovo per realizzare la più grande trasformazione dell’Europa”. Il Papa ha quindi insistito sul fatto che l’Europa non può ridursi a un insieme di regole da osservare o a un prontuario di protocolli e procedure da seguire. Citando Alcide de Gasperi, uno dei Padri fondatori dell’Unione, Francesco ha aggiunto: “(L’Europa) è una vita, un modo di concepire l’uomo a partire dalla sua dignità trascendente e inalienabile e non solo come un insieme di diritti da difendere o di pretese da rivendicare. All’origine dell’idea d’Europa vi è la figura e la responsabilità della persona umana col suo fermento di fraternità evangelica, […] con la sua volontà di verità e di giustizia acuita da un’esperienza millenaria” (A. De Gasperi, La nostra patria Europa. Discorso alla Conferenza Parlamentare Europea, 21 aprile 1954).
Da questa visione dell’Unione conseguono gli elementi costitutivi della vitalità europea: il primo di essi è la solidarietà. “La Comunità economica europea - affermava il Primo Ministro lussemburghese Joseph Bech - vivrà e avrà successo soltanto se, durante la sua esistenza, resterà fedele allo spirito di solidarietà europea che l’ha creata e se la volontà comune dell’Europa in gestazione sarà più potente delle volontà nazionali” (Discorso pronunciato in occasione della firma dei Trattati di Roma, 25 marzo 1957). Dalla solidarietà nasce la capacità di aprirsi agli altri: citando l’allora Cancelliere tedesco Konrad Adenauer, il Vescovo di Roma ha sottolineato come fosse ben chiara nei Padri fondatori l’importanza di lavorare per un’Europa unita e aperta. “Oggi si è persa la memoria di quella fatica… Laddove generazioni ambivano a veder cadere i segni di una forzata inimicizia, ora si discute di come lasciare fuori i ‘pericoli’ del nostro tempo: a partire dalla lunga colonna di donne, uomini e bambini, in fuga da guerra e povertà, che chiedono solo la possibilità di un avvenire per sé e per i propri cari”. Il riferimento ai rigurgiti egoistici dei nazionalismi esasperati, che vanno emergendo nell’Europa attuale, è evidente e suona come una chiara denuncia. A fronte dell’immenso beneficio dei decenni di coesistenza pacifica - “il più lungo tempo di pace degli ultimi secoli” -, la cecità di alcuni sembra dimenticare che senza la pace e la reciproca accoglienza non si è in grado di costruire un avvenire per nessuno. Francesco ha sottolineato come lo spirito di servizio e la passione politica dei Padri fondatori dell’Europa unita nascessero da una precisa e condivisa consapevolezza: “All’origine della civiltà europea si trova il cristianesimo, senza il quale i valori occidentali di dignità, libertà e giustizia risultano per lo più incomprensibili”. È quanto aveva più volte affermato Giovanni Paolo II: “L’anima dell’Europa rimane unita, perché vive gli identici valori cristiani e umani, come quelli della dignità della persona umana, del profondo sentimento della giustizia e della libertà, della laboriosità, dello spirito d’iniziativa, dell’amore alla famiglia, del rispetto della vita, della tolleranza, del desiderio di cooperazione e di pace, che sono le note che la caratterizzano” (Santiago de Compostela, 9 novembre 1982). Certo, non si può trascurare come negli ultimi sessant’anni il mondo sia cambiato e sembri essersi affievolita la speranza che animò la ricostruzione postbellica e il processo fondativo dell’Unione Molteplici sono oggi i fattori di crisi: ogni crisi, però, porta con sé sfide e opportunità nuove, che potranno essere colte e valorizzate se si ritornerà insieme ai principi fondatori della casa comune europea. “L’Europa ritrova speranza - ha detto Papa Francesco - quando l’uomo è il centro e il cuore delle sue istituzioni... Affermare la centralità dell’uomo significa anche ritrovare lo spirito di famiglia, in cui ciascuno contribuisce liberamente secondo le proprie capacità e doti alla casa comune...”. Il futuro dell’Europa si fonda insomma sulla memoria delle sue radici, a condizione che questa si traduca in rinnovata passione morale, in sogno e impegno condivisi, in “armonia nella quale il tutto è in ognuna delle parti, e le parti sono - ciascuna con la propria originalità - nel tutto”. Possibilità concreta o utopia? L’immediato futuro darà la risposta, che dovrà passare attraverso la decisione e il cuore di ciascun cittadino europeo.

Il Sole 24 Ore, Domenica 2 Aprile 2017