sabato 8 aprile 2017

La morte: un luogo per l'amore

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“Gesù disse: ‘È compiuto!’” (Gv 19,30). Quello che i capi dei giudei avevano in mente da settimane è stato perpetrato: Gesù è morto con la complicità dell’occupante romano, per una parvenza di legalità; di fatto, freddamente assassinato. E “loro” si sentono sollevati. Con questa morte si volta pagina, definitivamente. Non è forse l’esito normale del processo che quel disgraziato stesso aveva imprudentemente innescato? Assassinio politico, come avevano suggerito alle orecchie compiacenti di Pilato (“Non abbiamo altro re che Cesare”:Gv 19,15), mentre per i giudei si tratta piuttosto di un omicidio religioso, la giusta punizione per una bestemmia: “Noi abbiamo una Legge e secondo la Legge deve morire, perché si è fatto Figlio di Dio” (Gv 19,7).
Per la cerchia di Gesù, invece, questa morte è una sventura sconcertante e totalmente incomprensibile. È accaduto l’irreparabile, si è posto fine, brutalmente, a tante speranze. Le parole amare dei due pellegrini di Emmaus riflettono pochi giorni dopo quella che deve essere stata la loro delusione: “Quell’uomo era un profeta … ma i nostri capi l’hanno fatto condannare a morte e l’hanno crocifisso. E noi che speravamo che fosse il liberatore di Israele!” (cf. Lc 24,19-20).
Sollievo per gli uni, crudele delusione per gli altri. Nessuno di questi due stati d’animo riesce comunque a rendere pienamente conto di ciò che in realtà è avvenuto. Qualunque morte rimane difficile da decifrare, talora sfiora lo scandalo.Ogni sofferenza umana ci lascia con un’impressione di ingiustizia, soprattutto quando si tratta di un innocente; a maggior ragione quando si tratta di Gesù, per coloro che a lui si sono affidati. E ancora, più che per chiunque altro per la vergine Maria, sua madre, il cui cuore è stato trafitto da una spada (cf. Lc 2,35). Contemplando quel Gesù che essa tiene sulle ginocchia ha saputo vedere più lontano di quel corpo assassinato ed esangue? Ha intuito che per Dio non esiste l’irreparabile? Il vangelo non rivela nulla di lei in quel giorno, e nessuno potrà dire qualcosa di più che il suo muto dolore. Tre giorni dopo la vergine Maria vedrà e comprenderà, e con lei gli apostoli, che l’esecuzione di quella condanna a morte del Figlio di Dio era certamente una fine, ma la fine della morte stessa; che si era definitivamente voltata pagina, certo, ma affinché Dio potesse inscrivervi una storia radicalmente nuova. Che quella morte in sé, malgrado le apparenze contrarie, non aveva nulla a che vedere con l’ostilità che si era accumulata attorno a Gesù, che non era il prodotto dell’odio, ma, paradossalmente, anche un frutto dell’amore; che non era un assassinio politico, né l’uccisione di un fanatico religioso, ma semplicemente un gesto di tenerezza; che in Gesù, all’improvviso, la morte, fino a quel punto così oscura, così ingiusta, era divenuta il luogo in cui, più che in qualsiasi altro, si poteva “amare fino alla fine”. Che la morte, ogni morte, poteva da quel momento diventare una morte d’amore, e che lo sarebbe diventata comunque un giorno, anche agli occhi di coloro che in quel momento, come gli apostoli e come la vergine Maria, non potevano ancora comprendere tutto.
La morte: un luogo per l’amore. Gesù aveva lasciato chiaramente intendere che tale sarebbe stata la sua morte, per amore degli uomini e per amore del Padre: “Non c’è amore più grande che dare la propria vita per coloro che si amano” (cf. Gv 15,13). E prima di lasciare il luogo dell’ultima cena per avviarsi verso il giardino dell’agonia dice: “Bisogna che il mondo sappia che io amo il Padre, e come il Padre mi ha comandato, cosi io agisco. Alzatevi, andiamo via di qui” (Gv 14,31). La sua fu una morte all’incrocio di questi due amori. E dal momento che l’amore è sempre più forte della morte, agli occhi di coloro che l’hanno già attraversata con Gesù, vista dall’altro versante, la morte non esiste più. Come avvenne per Gesù, così anche coloro che muoiono in lui con la loro morte distruggono la morte.
Nella sera del venerdì santo possiamo solo intuirlo; accanto al corpo morto di Gesù, e dinanzi al velo che ogni morte costituisce ancora per i nostri occhi, possiamo intravedere a distanza l’amore e la gloria che sono già al di là di essa.