lunedì 3 aprile 2017

Nuove comunità: numeri e sfide

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Settimana 



di: Lorenzo Prezzi

Vengono chiamate “Nuove forme di vita consacrata”, nuove comunità, esperienze di vita comune dentro i movimenti ecclesiali ecc. Stanno cambiando il panorama della vita religiosa tradizionale e sono ormai parte della coscienza ecclesiale. Se in Italia sono noti particolarmente i focolari, i memores Domini (Comunione e liberazione), la Comunità di Villaregia, la Comunità dei figli di Dio (fondata da don Ivo Barsotti) o la Fraternità francescana di Betania ecc., non sono meno rilevanti quelle di origine francese come Chemin Neuf, Emmanuel, Beatitudini, Fondation pour un monde nouveau, spagnola come Adsis, tedesca come Integrirte Gemeinde.


In un primo censimento di G. Rocca (Primo censimento delle nuove comunità, Urbaniana University Press, Roma 2010), si offrono informazioni dirette su 775 nuove fondazioni, a cui si aggiungono alcuni elementi di conoscenza per altre 56. Di queste, 205 sono statunitensi, 200 italiane, 161 francesi, 47 canadesi, 44 brasiliane, 20 spagnole.
Consapevolmente provvisorio, il panorama conosce nell’ultimo ventennio una progressiva stabilizzazione (approvazione di statuti e Costituzioni), l’emersione di scandali e relativi provvedimenti (Legionari, Comunità di San Giovanni ecc.: sono 70 le forme di commissariamento e 15 le indagini sui fondatori, decise dalla Congregazione per la vita consacrata e gli istituti di vita apostolica), un più ampio riconoscimento nelle Chiese locali.
L’emergere dei movimenti e delle nuove comunità incrocia una crisi evidente della vita consacrata, soprattutto nelle sue forme di «fondazioni sociali» proprie dell’800. Situazione simile ai quattro momenti critici e creativi della vita consacrata: la nascita fra IV e VII secolo, gli ordini mendicanti (XII sec.), le congregazioni della Riforma cattolica (XVI sec.), le congregazioni «sociali» (XIX sec.).
Ma il movimento non è uniforme anche nell’ultimo secolo e mezzo. La vita consacrata conosce un livello modesto fino agli ultimi decenni dell’800 e impenna i suoi numeri dal secondo al settimo decennio del ’900.
Le suore arrivano in Italia a 170.000, i religiosi a 35.000. Negli ultimi cinquant’anni vi è un calo pronunciato. Le religiose non superano le 85.000 unità e i religiosi sono circa 25.000. Uno scossone che vede progressivamente estinguere molte delle recenti tradizioni (opere e modi di vita) e il contemporaneo crescere di nuovi modelli.
Il recente documento della Congregazione per la vita consacrata Per vino nuovo, otri nuovi (cf. Settimananews, “Consacrati: è tempo di vino nuovo”) tende a rafforzare e a confermare le novità introdotte, modificando e adeguando le forme strutturali. La dinamica demografica, la visione secolarizzata dell’esistenza, la priorità dei progetti personali su quelli comunitari, le modifiche di un credere con minore consistenza confessionale ed ecclesiale rendono più rare le vocazioni a servizi ecclesiali definitivi come quello religioso e sacerdotale (cf. Giovanni Dal Piaz, “Crisi delle vocazioni: la rivoluzione silenziosa”, in Settimananews).
Inoltre, anche per chi coltiva una vocazione “esigente”, le scelte possibili si sono ampliate: volontariato, nuove comunità, movimenti, diaconato, eremitismo, monachesimo diocesano, fraternità laicale ecc. Le onde del nuovo e del tradizionale si stanno mescolando. Risulta insufficiente la lettura della crisi fuori dal contesto complessivo, come è ormai archiviata l’idea di una “sostituzione” delle nuove fondazioni e comunità rispetto ai precedenti modelli di vita consacrata.
Apprezzamenti e cautela
Nel loro insieme, forme antiche e recenti di consacrazione custodiscono il tema del carisma fondazionale e condiviso all’interno dell’esperienza ecclesiale. Secondo la lettera della Congregazione per la dottrina della fede Iuvenescit Ecclesia (giugno 2016), le sue caratteristiche maggiori sono quattro:
l’irrinunciabilità dei doni carismatici («gli autentici carismi vanno considerati come doni di importanza irrinunciabile per la vita e la missione ecclesiale», n. 9),
la co-essenzialità fra doni gerarchici e carismatici («è possibile riconoscere una convergenza del recente magistero ecclesiale sulla co-essenzialità fra doni gerarchici e carismatici», n. 10),
la permanenza o stabilità (benché i dono carismatici «nelle loro forme storiche non siano mai garantiti per sempre, la dimensione carismatica non può mai mancare alla vita e alla missione della Chiesa» n. 13),
il riferimento al ministero petrino (n. 21 valorizzando «quel peculiare principio di unità che è il ministero petrino»).
Riconoscimento e discernimento verso le nuove comunità vanno di pari passo. Nella post-sinodale Vita consecrata si dice: «L’originalità delle nuove comunità consiste nel fatto che si tratta di gruppi composti da uomini e donne, da chierici e laici, da coniugati e celibi, che seguono un particolare stile di vita, talvolta ispirato all’una o all’altra forma tradizionale o adattato alle esigenze della società oggi. Anche il loro impegno di vita evangelica si esprime in forme diverse, mentre si manifesta, come orientamento generale, un’intensa aspirazione alla vita comunitaria, alla povertà e alla preghiera. Al governo partecipano chierici e laici, in base alle loro competenze, e il fine apostolico si apre alle istanze della nuova evangelizzazione» (n. 62).
Nel recente dialogo del papa con l’Unione dei superiori maggiori (USG), ripreso da Civiltà Cattolica nel suo n. 4000, Francesco si esprime così: «Ma mi preoccupa un’altra cosa: il sorgere di alcuni nuovi istituti religiosi che sollevano alcune preoccupazioni. Non dico che non debbano esserci nuovi istituti religiosi! Assolutamente no. Ma in alcuni casi mi interrogo su che cosa stia accadendo oggi. Alcuni di esse sembrano una grande novità, sembrano esprimere una grande forza apostolica, trascinando tanti e poi… falliscono. A volte, si scopre persino che dietro c’erano cose scandalose… Ci sono piccole fondazioni nuove che sono davvero buone e che fanno sul serio. Vedo che dietro queste buone fondazioni ci sono, a volte, anche gruppi di vescovi che accompagnano e garantiscono la loro crescita. Però ce ne sono altre che nascono non da un carisma dello Spirito Santo, ma da un carisma umano, da una persona carismatica che attira per le sue doti umane di fascinazione. Alcune sono, potrei dire, “restaurazioniste”: esse sembrano dare sicurezza e invece danno solo rigidità».
Il caso Brasile
Tornando ai numeri e all’effervescenza delle nuove comunità, va detto che ciò che sappiamo è ancora largamente approssimativo. In Francia i tentativi di nuove fondazioni è arrivato a 700, ma un normale processo di sedimentazione ne ha già fatto scomparire molte. Anche delle 775 registrate, diverse sono già scomparse. Ciò non toglie lo stupore della loro fecondità imprevista.
In un recente articolo di L. González-Quevedo su Civiltà Cattolica (n. 4002, 11 marzo 2017) si parla delle nuovo fondazioni di vita comune in Brasile, calcolandone circa 800. Nate all’incrocio del rinnovamento carismatico, della sollecitazioni delle nuove Chiese evangelicali, della filiazione da “nuove comunità” nate altrove e di iniziative fondazionali originate da ceppi più tradizionali, esse rappresentano una presenza ecclesiale nuova e consistente.
Dall’articolo citato traggo alcune informazioni relative a una decina di esse.
Canção nova è stata fondata nel 1978 da un salesiano (Ionas Abib) ed è la più diffusa fra le nuove comunità. Conta 1.348 membri consacrati (763 nelle comunità di vita e 585 nelle comunità di alleanza): 47 sono i sacerdoti. Il canale televisivo che porta lo stesso nome è diffuso in tutto il paese. Nella sua sede centrale passano all’anno un milione di persone circa e la comunità è presente in cinque paesi.
Shalom è stata fondata nel 1982 dal giovane M. Lauro de Azevedo e da Maria Emmir Nougueira. Conta 4.000 membri e 40.000 aderenti. Il festival da loro organizzato (Halleluya) raccoglie quasi un milione di persone.
Recado nasce nel 1984 da un gruppo musicale. Il suo fondatore è Luiz Carvalho, attivo all’interno del Rinnovamento carismatico. Ha come compito la formazione di artisti cattolici che evangelizzino attraverso le arti.
Arca dell’Alleanza nasce nel 1986, fondata da Elias Dimas dos Santos. Caratterizzata da una pratica di povertà radicale è dedita alla preghiera e all’apostolato. Molto coltivata la devozione al Sacro Cuore e a Maria.
Opera di Maria nasce a Recife nel 1990 da Gilberto Gomes Barbosa. Il suo carisma è l’evangelizzazione. Conta 35 case in Brasile e 3 all’estero. È presente in 11 paesi.
Pantokrator nasce a Campinas nel 1990 da Andrés Luis Botelho de Andrade. Il suo carisma è vivere una santità nella vita ordinaria. Si rifà alla spiritualità carmelitana. I consacrati sono 132, i formandi 146.
Betel nasce nel 1991, fondata da José Omar Rodrigues Medeiros. Vicina alla spiritualità ignaziana, è caratterizzata dalla contemplazione di Gesù nel suo rapporto con il Padre e con i fratelli. Ha 15 membri e 10 in formazione.
Luce della vita si avvia nel 1997 con Luiz Antônio de Paula. Il suo carisma è essere luce per illuminare col fulgore della santità. È attiva nel recupero dei tossicodipendenti e, al suo interno, si sta sviluppando un ramo femminile. 78 i consacrati.
Cefas viene fondata nel 2002 da Ângela Tait. Evangelizza attraverso gli esercizi spirituali, aiutando le persone a discernere la volontà di Dio. È presente in tre città e ha 30 membri.
In una prima valutazione dei vescovi del paese (1994) il giudizio positivo viene accompagnato dal monito relativo alla limitata attenzione sociale con il ricorso sistematico a forme devozionali della tradizione.
In saggi successivi, comunità come Toca de Assis sono qualificate come medioevali e post-moderne allo stesso tempo.
Devoti e post-moderni
Nel loro complesso le forme nuove di vita consacrata hanno consapevolezza dell’appartenenza ecclesiale. Privilegiano l’emergenza della nuova evangelizzazione, attraverso «scuole di fede», incontri ed esercizi, nell’uso dei media (radio, internet e televisione) e nello slancio missionario. Sono disponibili ai grandi appuntamenti come le Giornate mondiali della gioventù o le nuove forme di missione (festival, di strada ecc.). Devozioni tradizionali si accompagnano alla cura per la Scrittura. Molto attente alla guarigione interiore e al clima festoso della vita comune e della fede, combinano in maniera esigente contemplazione e azione in un rigore di vita apprezzabile. Danno grande spazio e responsabilità al laicato. I fondatori sono spesso laici e laiche.
A testimonianza – come scrive Amedeo Cencini su Testimoni (4/2017, p. 19) – che la crisi «non è fatale e obbligatoria, non è della vita consacrata in sé, in quanto tale, ma probabilmente di un certo modo d’intenderla e viverla». Come se le nuove fondazioni «infondessero nuova fiducia alla vita consacrata tradizionale, invitandola a farla finita di piangersi addosso per la crisi vocazionale». Particolarmente sottolineata è la dimensione carismatica e il ruolo dello Spirito Santo nella vita del credente.
Non mancano i punti critici, come il sentimentalismo, il fondamentalismo teologico, il fanatismo irrazionale. Molto insistito il ricorso a eventi straordinari (guarigioni e simili) e poca attenzione ai momenti duri della vita cristiana, alle notti della fede. Qualche volta l’esperienza spirituale del fondatore è fragile e l’accento va tutto sul servizio pastorale. La mancanza di normative canoniche lascia eccessivi margini di incertezza (coinvolgimento di sposati, scarso rigore nella condivisione di vita fra maschi e femmine). Casi gravi e recenti hanno sollevato il tema dei fondatori, la confusione fra radicalità e ritorno al passato (tradizionalismo e anticoncilio). L’eccessiva autoreferenzialità rende fragile la formazione, dove talora manca la distinzione tra foro interno e foro esterno.
Conseguente è l’invito a un più accurato discernimento anche a livello di Chiesa locale e a determinare le norme a livello di Chiesa universale. Sono utili da ricordare i criteri che la Iuvenescit Ecclesia indica per i movimenti: * primato della vocazione di ogni cristiano alla santità;
  • impegno alla diffusione missionaria del Vangelo;
  • confessione della fede cattolica;
  • testimonianza di una comunione fattiva con tutta la Chiesa, sia universale che locale;
  • riconoscimento e stima della reciproca complementarietà di altre componenti carismatiche nella Chiesa;
  • accettazione dei momenti di prova nel discernimento dei carismi;
  • presenza di frutti spirituali come la preghiera, la vita sacramentale, le vocazioni;
  • dimensione sociale dell’evangelizzazione.