sabato 15 aprile 2017

Veglia Pasquale 2017. Omelia del Papa.

Risultati immagini per resurrezione


Veglia Pasquale nella Notte Santa di Pasqua. Omelia del Santo Padre. "Il palpitare del Risorto è ciò che ci è stato donato e che ci è chiesto di donare a nostra volta come forza trasformatrice, come fermento di nuova umanità"
Sala stampa della Santa Sede 
[Text: Italiano, Français, English, Español, Português] 
Alle ore 20.30 di oggi il Santo Padre Francesco presiede nella Basilica Vaticana, la solenne Veglia nella Notte Santa di Pasqua.Il Rito ha avuto inizio nell’atrio della Basilica di San Pietro con la benedizione del fuoco e la preparazione del cero pasquale. Alla processione verso l’Altare, con il cero pasquale acceso e il canto dell’Exultet, hanno fatto seguito la Liturgia della Parola e la Liturgia Battesimale, – nel corso della quale il Papa amministra i Sacramenti dell’iniziazione cristiana a 11 neofiti provenienti da: Spagna, Repubblica Ceca, Italia, Stati Uniti d’America, Albania, Malta, Malesia e Cina. 
Omelia del Santo Padre
«Dopo il sabato, all’alba del primo giorno della settimana, Maria di Magdala e l’altra Maria andarono a visitare il sepolcro» (Mt 28,1). Possiamo immaginare quei passi…: il tipico passo di chi va al cimitero, passo stanco di confusione, passo debilitato di chi non si convince che tutto sia finito in quel modo… Possiamo immaginare i loro volti pallidi, bagnati dalle lacrime… E la domanda: come può essere che l’Amore sia morto?

A differenza dei discepoli, loro sono lì – come hanno accompagnato l’ultimo respiro del Maestro sulla croce e poi Giuseppe di Arimatea nel dargli sepoltura –; due donne capaci di non fuggire, capaci di resistere, di affrontare la vita così come si presenta e di sopportare il sapore amaro delle ingiustizie. Ed eccole lì, davanti al sepolcro, tra il dolore e l’incapacità di rassegnarsi, di accettare che tutto debba sempre finire così.
E se facciamo uno sforzo con la nostra immaginazione, nel volto di queste donne possiamo trovare i volti di tante madri e nonne, il volto di bambini e giovani che sopportano il peso e il dolore di tanta disumana ingiustizia. Vediamo riflessi in loro i volti di tutti quelli che, camminando per la città, sentono il dolore della miseria, il dolore per lo sfruttamento e la tratta. In loro vediamo anche i volti di coloro che sperimentano il disprezzo perché sono immigrati, orfani di patria, di casa, di famiglia; i volti di coloro il cui sguardo rivela solitudine e abbandono perché hanno mani troppo rugose. Esse riflettono il volto di donne, di madri che piangono vedendo che la vita dei loro figli resta sepolta sotto il peso della corruzione che sottrae diritti e infrange tante aspirazioni, sotto l’egoismo quotidiano che crocifigge e seppellisce la speranza di molti, sotto la burocrazia paralizzante e sterile che non permette che le cose cambino. Nel loro dolore, esse hanno il volto di tutti quelli che, camminando per la città, vedono crocifissa la dignità.
Nel volto di queste donne ci sono molti volti, forse troviamo il tuo volto e il mio. Come loro possiamo sentirci spinti a camminare, a non rassegnarci al fatto che le cose debbano finire così. E’ vero, portiamo dentro una promessa e la certezza della fedeltà di Dio. Ma anche i nostri volti parlano di ferite, parlano di tante infedeltà – nostre e degli altri –, parlano di tentativi e di battaglie perse. Il nostro cuore sa che le cose possono essere diverse, però, quasi senza accorgercene, possiamo abituarci a convivere con il sepolcro, a convivere con la frustrazione. Di più, possiamo arrivare a convincerci che questa è la legge della vita anestetizzandoci con evasioni che non fanno altro che spegnere la speranza posta da Dio nelle nostre mani. Così sono, tante volte, i nostri passi, così è il nostro andare, come quello di queste donne, un andare tra il desiderio di Dio e una triste rassegnazione. Non muore solo il Maestro: con Lui muore la nostra speranza.
«Ed ecco, ci fu un gran terremoto» (Mt 28,2). All’improvviso, quelle donne ricevettero una forte scossa, qualcosa e qualcuno fece tremare il suolo sotto i loro piedi. Qualcuno, ancora una volta, venne loro incontro a dire: «Non temete», però questa volta aggiungendo: «E’ risorto come aveva detto!» (Mt 28,6). E tale è l’annuncio che, di generazione in generazione, questa Notte santa ci regala: Non temiamo, fratelli, è risorto come aveva detto! Quella stessa vita strappata, distrutta, annichilita sulla croce si è risvegliata e torna a palpitare di nuovo (cfr R. Guardini, Il Signore, Milano 1984, 501). Il palpitare del Risorto ci si offre come dono, come regalo, come orizzonte. Il palpitare del Risorto è ciò che ci è stato donato e che ci è chiesto di donare a nostra volta come forza trasformatrice, come fermento di nuova umanità. Con la Risurrezione Cristo non ha solamente ribaltato la pietra del sepolcro, ma vuole anche far saltare tutte le barriere che ci chiudono nei nostri sterili pessimismi, nei nostri calcolati mondi concettuali che ci allontanano dalla vita, nelle nostre ossessionate ricerche di sicurezza e nelle smisurate ambizioni capaci di giocare con la dignità altrui.
Quando il Sommo Sacerdote, i capi religiosi in complicità con i romani avevano creduto di poter calcolare tutto, quando avevano creduto che l’ultima parola era detta e che spettava a loro stabilirla, Dio irrompe per sconvolgere tutti i criteri e offrire così una nuova possibilità. Dio, ancora una volta, ci viene incontro per stabilire e consolidare un tempo nuovo, il tempo della misericordia. Questa è la promessa riservata da sempre, questa è la sorpresa di Dio per il suo popolo fedele: rallegrati, perché la tua vita nasconde un germe di risurrezione, un’offerta di vita che soltanto attende il risveglio.
Ed ecco ciò che questa notte ci chiama ad annunciare: il palpito del Risorto, Cristo vive! Ed è ciò che cambiò il passo di Maria Maddalena e dell’altra Maria: è ciò che le fa ripartire in fretta e correre a dare la notizia (cfr Mt 28,8); è ciò che le fa tornare sui loro passi e sui loro sguardi; ritornano in città a incontrarsi con gli altri.
Come con loro siamo entrati nel sepolcro, così con loro vi invito ad andare, a ritornare in città, a tornare sui nostri passi, sui nostri sguardi. Ognuno di noi è entrato nel proprio sepolcro. Vi invito ad uscire. 

Andiamo con loro ad annunciare la notizia, andiamo… In tutti quei luoghi dove sembra che il sepolcro abbia avuto l’ultima parola e dove sembra che la morte sia stata l’unica soluzione. Andiamo ad annunciare, a condividere, a rivelare che è vero: il Signore è Vivo. E’ vivo e vuole risorgere in tanti volti che hanno seppellito la speranza, hanno seppellito i sogni, hanno seppellito la dignità. E se non siamo capaci di lasciare che lo Spirito ci conduca per questa strada, allora non siamo cristiani.
Andiamo e lasciamoci sorprendere da quest’alba diversa, lasciamoci sorprendere dalla novità che solo Cristo può dare. Lasciamo che la sua tenerezza e il suo amore muovano i nostri passi, lasciamo che il battito del suo cuore trasformi il nostro debole palpito.


***
Traduzione in lingua francese 
«Après le sabbat, à l’heure où commençait à poindre le premier jour de la semaine, Marie Madeleine et l’autre Marie vinrent pour regarder le sépulcre» (Mt 28, 1). Nous pouvons imaginer ces pas…: le pas typique de celui qui va au cimetière, un pas fatigué de confusion, un pas affaibli de celui qui ne se convainc pas que tout soit fini de cette manière… Nous pouvons imaginer leurs visages pâles, baignés de larmes… Et la question : comment est-ce possible que l’Amour soit mort?
À la différence des disciples, elles sont là – comme elles ont accompagné le dernier soupir du Maître sur la croix et puis Joseph d’Arimathie pour lui donner une sépulture -; deux femmes capables de ne pas fuir, capables de résister, d’affronter la vie telle qu’elle se présente et de supporter la saveur amère des injustices. Et les voici, devant le sépulcre, entre la douleur et l’incapacité de se résigner, d’accepter que tout doive finir ainsi pour toujours.
Et si nous faisons un effort d’imagination, dans le visage de ces femmes, nous pouvons trouver les visages de nombreuses mères et grand-mères, le visage d’enfants et de jeunes qui supportent le poids et la douleur de tant d’injustices si inhumaines. Nous voyons reflétés en eux les visages de ceux qui, marchant par la ville, sentent la douleur de la misère, la douleur de l’exploitation et de la traite. En eux, nous voyons aussi les visages de ceux qui font l’expérience du mépris, parce qu’ils sont immigrés, orphelins de patrie, de maison, de famille; les visages de ceux dont le regard révèle solitude et abandon, parce qu’ils ont les mains trop rugueuses. Elles reflètent le visage de femmes, de mères qui pleurent en voyant que la vie de leurs enfants reste ensevelie sous le poids de la corruption qui prive de droits et brise de nombreuses aspirations, sous l’égoïsme quotidien qui crucifie et ensevelit l’espérance de beaucoup, sous la bureaucratie paralysante et stérile qui ne permet pas que les choses changent. Dans leur douleur, elles ont le visage de tous ceux qui, en marchant par la ville, voient leur dignité crucifiée.
Dans le visage de ces femmes, il y a de nombreux visages, peut-être trouvons-nous ton visage et le mien. Comme elles, nous pouvons nous sentir poussés à marcher, à ne pas nous résigner au fait que les choses doivent finir ainsi. Certes, nous portons en nous une promesse et la certitude de la fidélité de Dieu. Mais aussi nos visages parlent de blessures, parlent de nombreuses infidélités – les nôtres et celles des autres – parlent de tentatives et de batailles perdues. Notre coeur sait que les choses peuvent être autres, mais sans nous en rendre compte, nous pouvons nous habituer à cohabiter avec le sépulcre, à cohabiter avec la frustration. De plus, nous pouvons arriver à nous convaincre que c’est la loi de la vie, en nous anesthésiant grâce à des évasions qui ne font rien d’autre qu’éteindre l’espérance mise par Dieu dans nos mains. Ainsi sont, tant de fois, nos pas, ainsi est notre marche, comme celle de ces femmes, une marche entre le désir de Dieu et une triste résignation. Ce n’est pas uniquement le Maître qui meurt: avec lui meurt notre espérance.
«Et voilà qu’il y eut un grand tremblement de terre» (Mt 28, 2). Subitement, ces femmes ont reçu une forte secousse, quelque chose et quelqu’un a fait trembler la terre sous leurs pieds. Quelqu’un, encore une fois, est venu à leur rencontre pour leur dire : ‘‘N’ayez pas peur’’, mais cette fois-ci en ajoutant: ‘‘Il est ressuscité comme il l’avait dit’’. Et voici l’annonce dont, de génération en génération, cette Nuit nous fait le don : N’ayons pas peur, frères, il est ressuscité comme il avait dit ! La vie arrachée, détruite, annihilée sur la croix s’est réveillée et arrive à frémir denouveau (Cf. R. Guardini, Il Signore, Milano, 1984, p. 501). Le fait que le Ressuscité frémit s’offre à nous comme un don, comme un cadeau, comme un horizon. Le fait que le Ressuscité frémit est ce qui nous est donné et qu’il nous est demandé de donner à notre tour comme force transformatrice, comme ferment d’une nouvelle humanité. Par la Résurrection, le Christ n’a pas seulement ôté la pierre du sépulcre, mais il veut aussi faire sauter toutes les barrières qui nous enferment dans nos pessimismes stériles, dans nos mondes de calculs conceptuels qui nous éloignent de la vie, dans nos recherches obsessionnelles de sécurité et dans les ambitions démesurées capables de jouer avec la dignité des autres.
Lorsque le Grand Prêtre, les chefs religieux en complicité avec les romains avaient cru pouvoir tout calculer, lorsqu’ils avaient cru que le dernier mot était dit et qu’il leur revenait de le déterminer, Dieu fait irruption pour bouleverser tous les critères et offrir ainsi une nouvelle possibilité. Dieu, encore une fois, vient à notre rencontre pour établir et consolider un temps nouveau, le temps de la miséricorde. C’est la promesse faite depuis toujours, c’est la surprise de Dieu pour son peuple fidèle: réjouis-toi, car ta vie cache un germe de résurrection, un don de vie qui attend d’être réveillé.
Et voici ce que cette nuit nous appelle à annoncer: le frémissement du Ressuscité, Christ est vivant! Et c’est ce qui a changé le pas de Marie Madeleine et de l’autre Marie: c’est ce qui les fait repartir en hâte et les fait courir pour apporter la nouvelle (cf. Mt 28, 8); c’est ce qui les fait revenir sur leurs pas et sur leurs regards; elles retournent en ville pour rencontrer les autres.
Comme avec elles, nous sommes entrés dans le sépulcre, ainsi avec elles, je vous invite à aller, à revenir en ville, à revenir sur nos propres pas, sur nos regards. Allons avec elles annoncer la nouvelle, allons… Partout où il semble que le tombeau a eu le dernier mot et où il semble que la mort a été l’unique solution. Allons annoncer, partager, révéler que c’est vrai: le Seigneur est vivant. Il est vivant et veut ressusciter dans beaucoup de visages qui ont enseveli l’espérance, ont enseveli les rêves, ont enseveli la dignité. Et si nous ne sommes pas capables de laisser l’Esprit nous conduire par ce chemin, alors nous ne sommes pas chrétiens.
Allons et laissons-nous surprendre par cette aube différente, laissons-nous surprendre par la nouveauté que seul le Christ peut offrir. Laissons sa tendresse et son amour guider nos pas, laissons le battement de son coeur transformer notre faible frémissement.
Traduzione in lingua inglese 

“After the Sabbath, as the first day of the week was dawning, Mary Magdalene and the other Mary went to see the tomb” (Mt 28:1). We can picture them as they went on their way… They walked like people going to a cemetery, with uncertain and weary steps, like those who find it hard to believe that this is how it all ended. We can picture their faces, pale and tearful. And their question: can Love have truly died?
Unlike the disciples, the women are present – just as they had been present as the Master breathed his last on the cross, and then, with Joseph of Arimathea, as he was laid in the tomb. Two women who did not run away, who remained steadfast, who faced life as it is and who knew the bitter taste of injustice. We see them there, before the tomb, filled with grief but equally incapable of accepting that things must always end this way.
If we try to imagine this scene, we can see in the faces of those women any number of other faces: the faces of mothers and grandmothers, of children and young people who bear the grievous burden of injustice and brutality. In their faces we can see reflected all those who, walking the streets of our cities, feel the pain of dire poverty, the sorrow born of exploitation and human trafficking. We can also see the faces of those who are greeted with contempt because they are immigrants, deprived of country, house and family. We see faces whose eyes bespeak loneliness and abandonment, because their hands are creased with wrinkles. Their faces mirror the faces of women, mothers, who weep as they see the lives of their children crushed by massive corruption that strips them of their rights and shatters their dreams. By daily acts of selfishness that crucify and then bury people’s hopes. By paralyzing and barren bureaucracies that stand in the way of change. In their grief, those two women reflect the faces of all those who, walking the streets of our cities, behold human dignity crucified.
The faces of those women mirror many other faces too, including perhaps yours and mine. Like them, we can feel driven to keep walking and not resign ourselves to the fact that things have to end this way. True, we carry within us a promise and the certainty of God’s faithfulness. But our faces also bear the mark of wounds, of so many acts of infidelity, our own and those of others, of efforts made and battles lost. In our hearts, we know that things can be different but, almost without noticing it, we can grow accustomed to living with the tomb, living with frustration. Worse, we can even convince ourselves that this is the law of life, and blunt our consciences with forms of escape that only serve to dampen the hope that God has entrusted to us. So often we walk as those women did, poised between the desire of God and bleak resignation. Not only does the Master die, but our hope dies with him.
“And suddenly there was a great earthquake” (Mt 28:2). Unexpectedly, those women felt a powerful tremor, as something or someone made the earth shake beneath their feet. Once again, someone came to tell them: “Do not be afraid”, but now adding: “He has been raised as he said!” This is the message that, generation after generation, this Holy Night passes on to us: “Do not be afraid, brothers and sisters; he is risen as he said!” Life, which death destroyed on the cross, now reawakens and pulsates anew (cf. ROMANO GUARDINI, The Lord, Chicago, 1954, p. 473). The heartbeat of the Risen Lord is granted us as a gift, a present, a new horizon. The beating heart of the Risen Lord is given to us, and we are asked to give it in turn as a transforming force, as the leaven of a new humanity. In the resurrection, Christ rolled back the stone of the tomb, but he wants also to break down all the walls that keep us locked in our sterile pessimism, in our carefully constructed ivory towers that isolate us from life, in our compulsive need for security and in boundless ambition that can make us compromise the dignity of others.
When the High Priest and the religious leaders, in collusion with the Romans, believed that they could calculate everything, that the final word had been spoken and that it was up to them to apply it, God suddenly breaks in, upsets all the rules and offers new possibilities. God once more comes to meet us, to create and consolidate a new age, the age of mercy. This is the promise present from the beginning. This is God’s surprise for his faithful people. Rejoice! Hidden within your life is a seed of resurrection, an offer of life ready to be awakened.
That is what this night calls us to proclaim: the heartbeat of the Risen Lord. Christ is alive! That is what quickened the pace of Mary Magdalene and the other Mary. That is what made them return in haste to tell the news (Mt 28:8). That is what made them lay aside their mournful gait and sad looks. They returned to the city to meet up with the others.
Now that, like the two women, we have visited the tomb, I ask you to go back with them to the city. Let us all retrace our steps and change the look on our faces. Let us go back with them to tell the news In all those places where the grave seems to have the final word, where death seems the only way out. Let us go back to proclaim, to share, to reveal that it is true: the Lord is alive! He is living and he wants to rise again in all those faces that have buried hope, buried dreams, buried dignity. If we cannot let the Spirit lead us on this road, then we are not Christians.
Let us go, then. Let us allow ourselves to be surprised by this new dawn and by the newness that Christ alone can give. May we allow his tenderness and his love to guide our steps. May we allow the beating of his heart to quicken our faintness of heart.
Traduzione in lingua spagnola 

«En la madrugada del sábado, al alborear el primer día de la semana, fueron María la Magdalena y la otra María a ver el sepulcro» (Mt 28,1). Podemos imaginar esos pasos…, el típico paso de quien va al cementerio, paso cansado de confusión, paso debilitado de quien no se convence de que todo haya terminado de esa forma… Podemos imaginar sus rostros pálidos… bañados por las lágrimas y la pregunta, ¿cómo puede ser que el Amor esté muerto?
A diferencia de los discípulos, ellas están ahí —como también acompañaron el último respiro de su Maestro en la cruz y luego a José de Arimatea a darle sepultura—; dos mujeres capaces de no evadirse, capaces de aguantar, de asumir la vida como se presenta y de resistir el sabor amargo de las injusticias. Y allí están, frente al sepulcro, entre el dolor y la incapacidad de resignarse, de aceptar que todo siempre tenga que terminar igual.
Y si hacemos un esfuerzo con nuestra imaginación, en el rostro de estas mujeres podemos encontrar los rostros de tantas madres y abuelas, el rostro de niños y jóvenes que resisten el peso y el dolor de tanta injusticia inhumana. Vemos reflejados en ellas el rostro de todos aquellos que caminando por la ciudad sienten el dolor de la miseria, el dolor por la explotación y la trata. En ellas también vemos el rostro de aquellos que sufren el desprecio por ser inmigrantes, huérfanos de tierra, de casa, de familia; el rostro de aquellos que su mirada revela soledad y abandono por tener las manos demasiado arrugadas. Ellas son el rostro de mujeres, madres que lloran por ver cómo la vida de sus hijos queda sepultada bajo el peso de la corrupción, que quita derechos y rompe tantos anhelos, bajo el egoísmo cotidiano que crucifica y sepulta la esperanza de muchos, bajo la burocracia paralizante y estéril que no permite que las cosas cambien. Ellas, en su dolor, son el rostro de todos aquellos que, caminando por la ciudad, ven crucificada la dignidad.
En el rostro de estas mujeres, están muchos rostros, quizás encontramos tu rostro y el mío. Como ellas, podemos sentir el impulso a caminar, a no conformarnos con que las cosas tengan que terminar así. Es verdad, llevamos dentro una promesa y la certeza de la fidelidad de Dios. Pero también nuestros rostros hablan de heridas, hablan de tantas infidelidades, personales y ajenas, hablan de nuestros intentos y luchas fallidas. Nuestro corazón sabe que las cosas pueden ser diferentes pero, casi sin darnos cuenta, podemos acostumbrarnos a convivir con el sepulcro, a convivir con la frustración. Más aún, podemos llegar a convencernos de que esa es la ley de la vida, anestesiándonos con desahogos que lo único que logran es apagar la esperanza que Dios puso en nuestras manos. Así son, tantas veces, nuestros pasos, así es nuestro andar, como el de estas mujeres, un andar entre el anhelo de Dios y una triste resignación. No sólo muere el Maestro, con él muere nuestra esperanza.
«De pronto tembló fuertemente la tierra» (Mt 28,2). De pronto, estas mujeres recibieron una sacudida, algo y alguien les movió el suelo. Alguien, una vez más salió, a su encuentro a decirles: «No teman», pero esta vez añadiendo: «Ha resucitado como lo había dicho» (Mt 28,6). Y tal es el anuncio que generación tras generación esta noche santa nos regala: No temamos hermanos, ha resucitado como lo había dicho. «La vida arrancada, destruida, aniquilada en la cruz ha despertado y vuelve a latir de nuevo» (cfr R. Guardini, El Señor). El latir del Resucitado se nos ofrece como don, como regalo, como horizonte. El latir del Resucitado es lo que se nos ha regalado, y se nos quiere seguir regalando como fuerza transformadora, como fermento de nueva humanidad. Con la Resurrección, Cristo no ha movido solamente la piedra del sepulcro, sino que quiere también hacer saltar todas las barreras que nos encierran en nuestros estériles pesimismos, en nuestros calculados mundos conceptuales que nos alejan de la vida, en nuestras obsesionadas búsquedas de seguridad y en desmedidas ambiciones capaces de jugar con la dignidad ajena.
Cuando el Sumo Sacerdote y los líderes religiosos en complicidad con los romanos habían creído que podían calcularlo todo, cuando habían creído que la última palabra estaba dicha y que les correspondía a ellos establecerla, Dios irrumpe para trastocar todos los criterios y ofrecer así una nueva posibilidad. Dios, una vez más, sale a nuestro encuentro para establecer y consolidar un nuevo tiempo, el tiempo de la misericordia. Esta es la promesa reservada desde siempre, esta es la sorpresa de Dios para su pueblo fiel: alégrate porque tu vida esconde un germen de resurrección, una oferta de vida esperando despertar.
Y eso es lo que esta noche nos invita a anunciar: el latir del Resucitado, Cristo Vive. Y eso cambió el paso de María Magdalena y la otra María, eso es lo que las hace alejarse rápidamente y correr a dar la noticia (cf. Mt 28,8). Eso es lo que las hace volver sobre sus pasos y sobre sus miradas. Vuelven a la ciudad a encontrarse con los otros.
Así como ingresamos con ellas al sepulcro, los invito a que vayamos con ellas, que volvamos a la ciudad, que volvamos sobre nuestros pasos, sobre nuestras miradas. Vayamos con ellas a anunciar la noticia, vayamos… a todos esos lugares donde parece que el sepulcro ha tenido la última palabra, y donde parece que la muerte ha sido la única solución. Vayamos a anunciar, a compartir, a descubrir que es cierto: el Señor está Vivo. Vivo y queriendo resucitar en tantos rostros que han sepultado la esperanza, que han sepultado los sueños, que han sepultado la dignidad. Y si no somos capaces de dejar que el Espíritu nos conduzca por este camino, entonces no somos cristianos.
Vayamos y dejémonos sorprender por este amanecer diferente, dejémonos sorprender por la novedad que sólo Cristo puede dar. Dejemos que su ternura y amor nos muevan el suelo, dejemos que su latir transforme nuestro débil palpitar.
Traduzione in lingua portoghese 

«Terminado o sábado, ao romper do primeiro dia da semana, Maria de Magdala e a outra Maria foram visitar o sepulcro» (Mt 28, 1). Podemos imaginar aqueles passos: o passo típico de quem vai ao cemitério, passo cansado da confusão, passo debilitado de quem não se convence que tudo tenha acabado assim. Podemos imaginar os seus rostos pálidos, banhados pelas lágrimas. E a pergunta: Como é possível que o Amor tenha morrido?
Ao contrário dos discípulos, elas ali vão, como já acompanharam o último respiro do Mestre na cruz e, depois, a sepultura que Lhe deu José de Arimateia; duas mulheres capazes de não fugir, capazes de resistir, de enfrentar a vida tal como se apresenta e suportar o sabor amargo das injustiças. Ei-las chegar diante do sepulcro, divididas entre a tristeza e a incapacidade de se resignarem, de aceitarem que tudo tenha sempre de acabar assim.
E, se fizermos um esforço de imaginação, no rosto destas mulheres podemos encontrar os rostos de tantas mães e avós, os rostos de crianças e jovens que suportam o peso e o sofrimento de tanta desumana injustiça. Nos seus rostos, vemos refletidos os rostos de todos aqueles que, caminhando pela cidade, sentem a tribulação da miséria, a tribulação causada pela exploração e o tráfico humano. Neles, vemos também os rostos daqueles que experimentam o desprezo, porque são imigrantes, órfãos de pátria, de casa, de família; os rostos daqueles cujo olhar revela solidão e abandono, porque têm mãos com demasiadas rugas. Refletem o rosto de mulheres, de mães que choram ao ver que a vida dos seus filhos fica sepultada sob o peso da corrupção que subtrai direitos e quebra tantas aspirações, sob o egoísmo diário que crucifica e sepulta a esperança de muitos, sob a burocracia paralisadora e estéril que não permite que as coisas mudem. Na sua tristeza, elas têm o rosto de todos aqueles que, ao caminhar pela cidade, veem a dignidade crucificada.
No rosto destas mulheres, há muitos rostos; talvez encontremos o teu rosto e o meu. Como elas, podemos sentir-nos impelidos a caminhar, não nos resignando com o facto de que as coisas devem acabar assim. É verdade que trazemos dentro uma promessa e a certeza da fidelidade de Deus. Mas também os nossos rostos falam de feridas, falam de muitas infidelidades – nossas e dos outros –, falam de tentativas e de batalhas perdidas. O nosso coração sabe que as coisas podem ser diferentes; mas, quase sem nos apercebermos, podemos habituar-nos a conviver com o sepulcro, a conviver com a frustração. Mais ainda, podemos chegar a convencer-nos de que esta seja a lei da vida anestesiando-nos com evasões que nada mais fazem que apagar a esperança colocada por Deus nas nossas mãos. Muitas vezes, são assim os nossos passos, é assim o nosso caminhar, como o destas mulheres, um caminhar por entre o desejo de Deus e uma triste resignação. Não morre só o Mestre; com Ele, morre a nossa esperança.
«Nisto, houve um grande terremoto» (Mt 28, 2). De improviso, aquelas mulheres receberam um forte estremeção, algo e alguém fez tremer o solo sob os seus pés. Mais uma vez, alguém vem ao encontro delas dizendo: «Não tenhais medo», mas desta vez acrescentando: «Ressuscitou, como tinha dito». E tal é o anúncio com que nos presenteia, de geração em geração, esta Noite Santa: Não tenhamos medo, irmãos! Ressuscitou como tinha dito. A vida arrancada, destruída, aniquilada na cruz despertou e volta a palpitar de novo (cf. R. Guardini, Il Signore, Milão 1984, 501). O palpitar do Ressuscitado é-nos oferecido como dom, como presente, como horizonte. O palpitar do Ressuscitado é aquilo que nos foi dado, sendo-nos pedido para, por nossa vez, o darmos como força transformadora, como fermento de nova humanidade. Com a Ressurreição, Cristo não deitou por terra apenas a pedra do sepulcro, mas quer fazer saltar também todas as barreiras que nos fecham nos nossos pessimismos estéreis, nos nossos mundos conceptuais bem calculados que nos afastam da vida, nas nossas obcecadas buscas de segurança e nas ambições desmesuradas capazes de jogar com a dignidade alheia.
Quando o sumo sacerdote, os chefes religiosos em conivência com os romanos pensaram poder calcular tudo, quando pensaram que estava dita a última palavra e que competia a eles estabelecê-la, irrompe Deus para transtornar todos os critérios e, assim, oferecer uma nova oportunidade. Uma vez mais, Deus vem ao nosso encontro para estabelecer e consolidar um tempo novo: o tempo da misericórdia. Esta é a promessa desde sempre reservada, esta é a surpresa de Deus para o seu povo fiel: alegra-te, porque a tua vida esconde um germe de ressurreição, uma oferta de vida que aguarda o despertar.
Eis o que esta noite nos chama a anunciar: o palpitar do Ressuscitado, Cristo vive! E foi isto que mudou o passo de Maria de Magdala e da outra Maria: é o que as faz regressar à pressa e correr a dar a notícia (Mt 28, 8); é o que as faz voltar sobre os seus passos e sobre os seus olhares; regressam à cidade para se encontrar com os outros.
Como entramos com elas no sepulcro, assim vos convido a irmos também com elas, a regressarmos à cidade, a voltarmos sobre os nossos passos, sobre os nossos olhares. Vamos com elas comunicar a notícia, vamos… a todos aqueles lugares onde pareça que o sepulcro tenha a última palavra e onde pareça que a morte tenha sido a única solução. Vamos anunciar, partilhar, revelar que é verdade: o Senhor está Vivo. Está vivo e quer ressurgir em tantos rostos que sepultaram a esperança, sepultaram os sonhos, sepultaram a dignidade. E, se não somos capazes de deixar que o Espírito nos conduza por esta estrada, então não somos cristãos.
Vamos e deixemo-nos surpreender por esta alvorada diferente, deixemo-nos surpreender pela novidade que só Cristo pode dar. Deixemos que a sua ternura e o seu amor movam os nossos passos, deixemos que o pulsar do seu coração transforme o nosso ténue palpitar.