domenica 6 agosto 2017

6 agosto. Trasfigurazione del Signore. Anno A. ambientale, commento al Vangelo e Lectio divina


Trasfigurazione © Marko Ivan Rupnik @ Centro Aletti, chiesa SS. Giacomo e Giovanni, Milano

Proprio nello spaventoso incontro con la gloria di Dio in Gesù
 i tre apostoli devono imparare 
ciò che Paolo dice ai discepoli di tutti i tempi 
nella Prima Lettera ai Corinzi: 
«Noi predichiamo Cristo crocifisso, 
scandalo per i Giudei, stoltezza per i pagani; 
ma per coloro che sono chiamati, 
sia Giudei che Greci, 
predichiamo Cri­sto potenza di Dio [dinamis] e sapienza di Dio». 
Questa «potenza» del regno futuro 
appare loro nel Gesù trasfigurato 
che parla con i testi­moni dell' Antica Alleanza 
della «necessità» della sua passione come via verso la gloria. 

Joseph Ratzinger - Benedetto XVI

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AMBIENTALE
Questa Domenica la Chiesa celebra la Festa della Trasfigurazione del Signore. La liturgia ci propone il Vangelo di Matteo in cui si racconta che Gesù prende con sé Pietro, Giacomo e Giovanni suo fratello e li conduce in disparte, su un alto monte. Qui viene trasfigurato davanti a loro:
“Il suo volto brillò come il sole e le sue vesti divennero candide come la luce. Ed ecco apparvero loro Mosè ed Elia, che conversavano con lui. Prendendo la parola, Pietro disse a Gesù: «Signore, è bello per noi essere qui! Se vuoi, farò qui tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia». Egli stava ancora parlando, quando una nube luminosa li coprì con la sua ombra. Ed ecco una voce dalla nube che diceva: «Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento. Ascoltatelo»”.
Nel Vangelo odierno Gesù sceglie, ancora una volta, i discepoli che gli sono più intimi: Pietro, Giacomo e Giovanni, per condurli sul monte Tabor e trasfigurarsi dinanzi a loro mostrando la sua gloria. Essi, a differenza degli altri, sono resi partecipi dal Signore della sua Trasfigurazione, appunto, dei più grandi miracoli della sua vita pubblica, ed infine della sua preghiera agonica nel Getsemani. Potremmo domandarci un po’ perplessi: “Perché questi privilegi? Il Signore fa preferenze?”. Ma anche in questa circostanza Gesù manifesta la sua giustizia e la sua carità: questi tre discepoli, dopo la sua resurrezione, avranno degli incarichi particolarmente onerosi: Pietro dovrà servire la Chiesa universale, Giacomo di Zebedeo testimonierà fra i primi l’amore a Cristo col martirio, Giovanni suo fratello, sarà l’autore di alcuni brani tra i più significativi della Bibbia, ad esempio, il Prologo del suo Vangelo. Questa predilezione, dunque, è giustificata dalla croce che ciascuno di questi apostoli dovrà portare. Così fa pure con noi: quanto più si fa pesante il nostro carico, o ci attendono delle prove, tanto più Egli ci fa stare con sé e contemplare la sua gloria, comprendere la Scrittura, udire il Padre che ci rassicura invitandoci ad obbedire a suo Figlio. Pietro ha ragione: “È bello stare con Lui!”
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COMMENTO AL VANGELO

Immaginiamo, come scrisse Chesterton, di vedere il mondo capovolto: "Se uno ha visto il mondo capovolto, con tutti gli alberi e le torri appesi all’in giù come quando si specchiano in uno stagno, un possibile risultato sarebbe di mettere l’accento sul concetto di dipendenza. La correlazione è latina e letteraria; infatti il terminedipendente propriamente significa appeso"Ecco, contemplando "Gesù trasfigurato davanti a loro", Pietro, Giacomo e Giovanni devono aver fatto un'esperienza simile. Essa è ben rappresentata in moltissima iconografia della "trasfigurazione": Gesù appare "appeso", mentre i tre apostoli lo guardano proprio dal basso, con la testa sul suolo: "avvolti dalla nube luminosa", infatti, all'udire "la voce" del Padre essi "caddero con la faccia a terra". In quei momenti, non stavano guardando il "mondo capovolto"? Sul Tabor quell'uomo, quell'amico e maestro, stava infatti capovolgendo ogni loro idea sull'uomo, sull'amicizia, sulla vita. I loro occhi si erano aperti su un di più che può esplodere nella carne; stavano contemplando una possibilità che appariva loro "appesa" a un biancore e un'intensità che esistono solo in Cielo. Nella sua "trasfigurazione", Gesù stava svelando loro che, nascosta nella carne, esiste una vita che "dipende", nasce dal Cielo e ad esso è legata, "appesa" appunto. Mai visto niente di simile: nella debolezza che, come una "veste", ricopre le ore dell'esistenza, può dunque risplendere una luce mai vista; da ogni colore, anche dal grigio della routine, anche dal rosso della passione e del dolore, anche dal nero della morte e del dolore, può scaturire il "candore" della libertà, della gioia, della pace. Quel "volto" che avevano fissato tante volte, rigato di sudore, corrugato per la fatica, disteso nella gioia, ora "brillava come il sole", ed era un annuncio sconvolgente: la realtà, anche quella più familiare, la realtà delle persone con cui si parla, si cammina, si soffre e si gioisce, si mangia e si beve, non è solo quello che si vede, si ascolta e si tocca. Anzi, essa cela un segreto, pronto a rivelarsi in una "metamorfosi", un "cambio di forma", che è l'originale greco tradotto con "trasfigurazione". L'evento prodigioso al quale i tre apostoli più intimi di Gesù stavano assistendo affermava che soggiace in ciascuno un'identità nascosta, una "forma" diversa da quella che appare ogni giorno. Ma non basta! La trasfigurazione di Gesù desta la storia, risveglia le profezie che sembravano assopite nel ricordo: infatti, "ecco, apparvero Mosè ed Elia che conversavano con Lui". Il destino di tutta la storia della salvezza, il compimento di tutte le Scritture era quel volto radiante e quelle vesti candide. Ciò significa che il destino di ogni evento della vita e il compimento dell'annuncio della Chiesa è la nostra "trasfigurazione". Il "cambio di forma" è la chiamata che ci ha raggiunto, e la nuova forma di essere, ovvero di pensare, di vedere le cose, di parlare, di agire, è l'opera che Dio vuol fare con ciascuno di noi.La "trasfigurazione" è il passaggio dalle nostre opere alle opere di Dio. Un mondo rovesciato, dunque, proprio come scriveva Chesterton a proposito di San Francesco, il santo nel quale si è compiuta al meglio la "trasfigurazione": "Se in uno dei suoi strani sogni san Francesco avesse visto la città di Assisi capovolta, sarebbe stata perfettamente uguale a se stessa, tranne che per il fatto di essere capovolta... San Francesco avrebbe potuto amare la sua cittadina quanto l’amava prima, o forse anche di più; ma pur amandola di più, l’essenza del suo amore sarebbe stata diversa. Avrebbe potuto vedere e amare ogni tegola dei tetti spioventi e ogni uccello posato sui bastionima li avrebbe visti in una prospettiva nuova e soprannaturale di costante pericolo e dipendenzaInvece di essere semplicemente fiero della sua città perché forte e salda, avrebbe ringraziato Dio onnipotente perché non l’aveva lasciata cadere, avrebbe ringraziato Dio perché non lasciava cadere l’intero cosmo come un vaso di cristallo che si infrangesse in una miriade di stelle cadenti". Così anche i tre apostoli avevano visto la realtà da una "nuova prospettiva soprannaturale e di grande pericolo": erano ebrei, e per questo portavano dentro l'esperienza della precarietà vissuta nel deserto, dove "Dio onnipotente non aveva lasciato cadere" il Popolo. Per questo, di fronte a quel rovesciamento di prospettiva, è risuonata in loro la Pasqua, e il "cambiamento di forma" di cui Israele aveva esperienza: dalla schiavitù alla libertà, dalla sottomissione al giogo del faraone al cammino nel deserto sino alla libertà della Terra promessa. E, al centro di quell'esperienza, il Sinai e il dono della Legge, perché fosse osservata da un popolo diverso da tutti gli altri. 

Per un ebreo, quel cammino di libertà abbracciato alla Torah era la "bellezza". Per questo Pietro dice a Gesù: "Signore, è bello per noi essere qui! Se vuoi, farò qui tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia". Non era semplicemente un voler catturare quel momento estatico. Pietro intuiva che ciò che stava accadendo aveva relazione con l'esperienza del suo popolo, per questo vorrebbe costruire tre "capanne", come ogni ebreo fa durante la festa di Succot, Le tende, o capanne, infatti sono il segno della permanenza del popolo nel deserto. E proprio in quel momento, quando cioè Pietro ha intuito cosa stava accadendo, mentre "stava ancora parlando, una nube luminosa li coprì con la sua ombra. Ed ecco una voce dalla nube che diceva: «Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento. Ascoltatelo»". Dalla stessa "nube" che aveva guidato gli israeliti durante i quarant'anni dell'Esodo, la voce del Padre ripete agli Apostoli quello che aveva annunciato nel deserto: "Questi è il Figlio mio, l’eletto; ascoltatelo!". Tra una mormorazione e l'altra, tra le maglie di una debolezza infinita, ogni ebreo aveva fatto l'incomparabile esperienza di poter (e dover) vivere del solo cibo della Parola di Dio, capace di trasformare la roccia in acqua. Pietro, attento ai segni come ogni buon ebreo, aveva saputo riconoscere in quell'evento il compimento dell'Esodo del suo Popolo; su quel Monte Dio aveva di nuovo parlato, ed era di una "bellezza" mai contemplata. Era "bello" quel momento, era "bello" starci dentro, ma che schianto... L'urto di quell'epifania non poteva non stordire le povere carni degli apostoli. In un momento era apparsa dinanzi a loro la visione della Verità, di ciò che di autentico, glorioso, ovvero di peso, consistente, si cela nella realtà. Ma ciò significava anche "precarietà", la stessa vissuta dal popolo nel deserto, identica a quella di Assisi rovesciata, "in costante pericolo e dipendenza". Vivere una vita trasfigurata contempla anche accettare la propria debolezza, e la "dipendenza" da Dio. Essere cristiani significa essere istante dopo istante "appesi" al Cielo, perché i "pericoli" sono "costanti". E il filo che ci lega al Padre, quello al quale siamo "appesi" per vivere in pienezza ogni frammento della nostra vita, è l"ascolto" del Figlio amato di Dio. Non c'è altro cammino sul quale trasfigurare la nostra realtà in un0identità celeste, in un amore oltre la morte, che "ascoltare" Cristo. Sul Tabor iniziava per gli apostoli, come per ciascuno di noi, un cammino nuovo, che li avrebbe condotti con Gesù al Calvario. Un altro Monte, dove si sarebbe compiuto il rovesciamento di ogni realtà, la trasfigurazione della morte in un'esplosione di luce. E' il cammino che Dio ha preparato anche per noi nella Chiesa. Essa è la Madre di ogni trasfigurazione, perché nel suo seno si compie il mistero accaduto sul Tabor. In essa possiamo "ascoltare" le Parole del Figlio che "cambiano forma" al nostro essere, sino a farci "brillare come il sole", rivestiti delle vesti battesimali "candide" di misericordia. Coraggio, il Signore si "avvicina" a noi anche oggi, e ci "tocca", attraverso i sacramenti. E ci dice di "alzarci, di risuscitare e di non temere". E' questa la "trasfigurazione" che ci attende: risorgere dalla morte dei nostri peccati, dalla schiavitù alla menzogna, alla concupiscenza, all'egoismo, per essere trasformati in puro amore. Siamo chiamati a vivere come uomini trasformati dalla Grazia, che camminano nel mondo a testa in giù, indicando a tutti dove guardare: al Cielo, dove ogni uomo è appeso pur non sapendolo. Basta mostrarglielo, come ha fatto Gesù ai suoi apostoli.


LECTIO DIVINA


“Trasfigurati dalla Gioia”: S.Ecc. Mons. Francesco Follo, Osservatore permanente della Santa Sede all’UNESCO, a Parigi, commenta le letture de la XVIII° Domenica del Tempo Ordinario (rito romano: Dn 7,9-10.13-14; Sal 96; 2Pt 1,16-19; Mt 17,1-9) et della Domenica IX dopo Pentecoste – Trasfigurazione (Rito ambrosiano: 2Pt 1,16-19; Sal 96; Eb 1,2b-9; Mt 17,1-9).
“Con l’invito a pregare per essere trasfigurati dalla Gioia”, precisa Mons. Follo.
Come Lettura Patristica, propone una omelia di San Leone Magno (400 – 460).
Trasfigurati dalla Gioia
1) Trasfigurazione di Cristo e nostra.
Oggi il Vangelo ci presenta l’evento della Trasfigurazione, partendo dal fatto che “Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e li condusse in disparte, su un alto monte” (Mt 17,1) a pregare (Lc 9,28).  Mentre pregava, Cristo risplendette e rivelò ai discepoli eletti di essere luce da luce ineffabile e che più grandi Profeti erano con lui.
Dio è luce, e Gesù  dona ai suoi amici più intimi l’esperienza di questa luce, che dimora in Lui. Così, dopo questo avvenimento, Egli sarà in loro luce interiore, capace di proteggerli dagli assalti delle tenebre. Anche nella notte più oscura, Gesù è la lampada che non si spegne mai. Sant’Agostino riassume questo mistero con una espressione bellissima, dice: «Ciò che per gli occhi del corpo è il sole che vediamo, lo è (Cristo) per gli occhi del cuore» (Sermo 78, 2: PL 38, 490).
Sul Tabor, monte sul quale Cristo sale per pregare, il Figlio di Dio fatto uomo, mostra che è la preghiera a “provocare” la splendida visione di ciò che Lui è e di quello a cui siamo destinati ad essere. Mentre si manifesta la verità divino-umana di Cristo avviene anche una trasfigurazione dei discepoli: “Si tratta infatti della trasfigurazione di Nostro Signore Gesù Cristo, ma è quella soprattutto dei discepoli che vi assistevano, trasfigurazione che era per loro una certa visione della Divinità, un’immagine del mondo futuro, un preludio della venuta gloriosa del Signore” (Gregorio Palamas).
A noi in preghiera -come ai tre Apostoli come circa duemila anni sul monte Tabor, monte della preghiera,  Gesù si mostra trasfigurato, luminoso, bellissimo. Anche a noi, testimoni scelti dal suo amore, il Signore manifesta la sua gloria, e quel corpo che gli è comune col resto degli uomini, lo illumina di tale fulgore, che il suo volto si fa splendente come il sole e le sue vesti divengono candide come la neve.
L’importante che anche noi saliamo con il Figlio di Dio, l’Amato, sul monte a pregare.
La montagna nella Bibbia rappresenta il luogo della vicinanza con Dio e dell’incontro intimo con Lui; il luogo della preghiera, dove stare alla presenza del Signore.
Saliamo anche noi con Cristo sul “monte” della preghiera, per contemplare sul suo volto umano la luce gloriosa di Dio.
Saliamo con Cristo sulla montagna per trovare noi stessi  in Cristo e ascoltare Lui, perché nel luogo della vicinanza con Dio c’è pure dato lo spazio del silenzio dove percepiamo meglio la Sua voce.
Questo nostro salire per incontrare Dio non ci stacca dalla terra, anzi ci spinge a “scendere dalla montagna” e “ritornare” in basso, nella pianura, dove incontriamo sorelle e fratelli appesantiti da fatiche, malattie, ingiustizie, ignoranze, povertà materiale e spirituale. A questi nostri fratelli e sorelle che sono in difficoltà, siamo chiamati a portare i frutti dell’esperienza che abbiamo fatto con Dio, condividendo la grazia ricevuta la parola ascoltata” (Papa Francesco).
Questa parola è un suono carico di una presenza da accogliere con devozione e amore. E’ molto importante  l’invito del Padre: “Questo è il mio Figlio, l’Amato, ascoltatelo” (Mt 17, 6).
Noi, discepoli di Gesù oggi, siamo chiamati ad essere persone che ascoltano la sua voce e prendono sul serio le sue parole.

2) Origine e destino.
A questo punto, credo sia utile ricordare che lo scopo principale della Trasfigurazione, fu ed è di permettere al cuore dei discepoli (e al nostro cuore) di non scandalizzarsi quando la Croce sfigura l’umanità di Cristo. Questa manifestazione di luce e di verità è voluta perché l’umiliazione della imminente passione volontaria di Cristo non turbasse la fede di coloro ai quali era stata rivelata la grandezza della sua dignità nascosta. Non è un caso che il racconto della Trasfigurazione sia collocato dal Vangelo durante l’ascesa di Gesù a Gerusalemme, in un contesto di passione annunciata ai discepoli. Lo ha ben compreso la liturgia della Chiesa d’Oriente, che nel Kondakion (testo poetico-musicale liturgico) della festa canta: “I discepoli, per quanto ne erano capaci, contemplavano la tua gloria, Signore, affinché nell’ora della croce comprendessero che la tua passione era volontaria”.  San Gregorio di Nazianzo vide giustamente nella Trasfigurazione la sintesi del Vangelo, l’annuncio del mistero pasquale: annunciato davanti alla Chiesa, raffigurata da Pietro, Giacomo e Giovanni, e davanti all’Antico Testamento: la Legge (rappresentata da Mosé) e i profeti (rappresentati da Elia), apparsi a condividere la gloria del Figlio di Dio.
Va pure ricordato che il fatto della Trasfigurazione è fondamento della speranza della Chiesa: infatti “l’intero Corpo mistico di Cristo diventava consapevole della trasformazione che gli era riservata e le membra potevano ripromettersi la partecipazione a quella gloria, che avevano vista risplendere nel capo (San Leone Magno,  Sermo LI, 2-3, 5-8: PL 54, 310-313). Dunque, la trasfigurazione è un mistero centrale nella fede cristiana, caparra della resurrezione e profezia della trasfigurazione di ogni carne, di ciascuno di noi in Dio. Gesù sul Tabor, monte della preghiera, mostra chi è e che “traeva quello splendore dalla propria natura; perciò non aveva bisogno di pregare per far risplendere di luce divina il suo corpo ma, pregando, non fece altro che indicare l’origine sua e il destino nostro: lo splendore di Dio che rischiara e sostiene con la luce del suo volto, come è detto nel Vangelo: “I giusti splenderanno come il sole nel regno del Padre loro” (Mt 13, 43) (Sant’Ambrogio da Milano).
Sorpresi dalla gioia della trasfigurazione del Figlio di Dio e di noi  discepoli ci viene spontaneo fare nostra l’esclamazione di San Pietro: “Signore è bello per noi stare qui; se vuoi farò qui tre tende, una per te, una per Mosè e una per Elia”(Mt 17, 4). Ma dando ascolto a Cristo che manifesta l’amore di Dio capiremmo che non ha senso preparare una tenda terrena a colui che abita nei cieli. Il Redentore non è venuto per avere una casa sulla terra, Lui che non volle possedere neanche una pietra su cui posare il capo. Non è venuto per abitare sulla terra in una casa costruita da noi ma per sollevarci nella dimora che Lui ci ha preparato lassù.
“E’ bello per noi stare qui”. Certo, è bello restare con Cristo sul monte, ma è di gran lunga più bello andare là dove saremo veramente felici, nella patria eterna. Se è bella questa gioia momentanea, pensiamo quanto più bella sarà la felicità eterna. Se ci fa gioire la vista dell’umanità di Cristo anche se per breve tempo rivestita di gloria, proviamo a immaginare quale e quanta sarà la gioia che colmerà la nostra anima nella contemplazione eterna dell’Amore eterna che per sempre ci tiene nelle sue braccia.
Ma prima, come Cristo ha patito per noi, così anche noi dobbiamo soffrire per Lui. E’ davvero necessario che, scendendo a valle, noi gli siamo compagni nella passione affinché, dopo, possiamo essere partecipi della sua gloria. Là egli stesso accoglierà ciascuno di noi e quanti amiamo nelle tende eterne. Là, veramente, sono preparate non tre tende, una per Cristo, una per Mosè e una per Ella, ma una sola tenda, per il Padre, per il Figlio e per lo Spinto Santo: e questa tenda sarai tu stesso. Allora “Dio sarà tutto in tutti” (1 Cor 15,28), quando, come leggiamo nell’Apocalisse: “La dimora di Dio sarà con gli uomini ed essi saranno suo popolo ed egli sarà Dio-con- loro” (Ap 21,3). In quanto battezzati siamo già questa dimora, questo Tempio dello Spirito Santo. E per vivere questo essere dimora divina guardiamo alla testimonianza profetica delle vergini consacrate. Queste donne con il loro “proposita” hanno accolto completamente Cristo abbandonandosi totalmente a Lui e  affi­dandosi alla potenza del suo amore. Continuano ad accoglierlo collaborando attivamente con lui portando il suo a­more incarnato e redentivo nel mondo dove lavorano. dell’Incarnazione redentrice. Non cessano mai di accoglierlo nella loro vita, ascoltando nella preghiera e servendolo tra i loro fratelli e sorelle in umanità. Queste consacrate testimoniano che La trasfigurazione non è un avvenimento che arriva a un certo momento dell’esistenza, dopo la morte, ma dal momento che si aderisce a Gesù. Dal momento di questa adesione a Cristo c’è una trasformazione costante. Più si accoglie il suo amore e più ci si trasforma, di gloria in gloria, cioè si rende visibile l’amore ricevuto, comunicandolo agli altri.


Lettura Patristica
San Leone Magno (400 – 460)
Sermo 38 [51], 2-3.5

       [Il Salvatore] insegnò che coloro che avessero in mente di seguirlo debbono rinunciare a se stessi e tenere in poco conto la perdita dei beni materiali in vista di quelli eterni; infatti, salverà sicuramente la propria anima chi non avrà avuto paura di perderla per Cristo (Mt 16,25).
Era per altro necessario che gli apostoli concepissero davvero nel loro cuore quella forte e beata fermezza, e non tremassero di fronte alla rudezza della croce che dovevano assumersi occorreva che non arrossissero minimamente del supplizio di Cristo, né che stimassero vergogna per lui la pazienza con la quale doveva subire gli strazi della sua Passione senza perdere la gloria della sua potestà. Cosi, Gesù prese con sé Pietro, Jc e Giovanni suo fratello (Mt 17,1), e, dopo aver salito con essi l’erta di un monte appartato, si manifestò loro nello splendore della sua gloria; infatti, benché avessero compreso che la maestà di Dio era in lui, ignoravano ancora la potenza detenuta da quel corpo che celava la Divinità. Ecco perché aveva promesso in termini netti e precisi “che alcuni dei discepoli non avrebbero gustato la morte prima di aver visto il Figlio dell’uomo venire nel suo regno” (Mt 16,28), cioè nello splendore regale che egli voleva rendere visibile a quei tre uomini, in modo conveniente alla natura umana da lui assunta. Infatti, in ciò che attiene la visione ineffabile e inaccessibile della Divinità in sé, visione riservata ai puri di cuore (Mt 5,8) nella vita eterna, esseri ancora rivestiti di carne mortale non avrebbero potuto in alcun modo né contemplarla né vederla.
Il Signore svela dunque la sua gloria alla presenza di testimoni scelti e illumina questa comune forma mortale di splendore tale che il suo viso diviene simile al sole e le sue vesti sono paragonabili al bianco della neve (Mt 17,2). Senza dubbio, la Trasfigurazione aveva soprattutto lo scopo di rimuovere dal cuore dei discepoli lo scandalo della croce, affinché l’umiltà della Passione volontariamente subita non turbasse la fede di coloro ai quali sarebbe stata rivelata l’eccellenza della dignità nascosta.
Con eguale previdenza, egli dava però nel contempo un fondamento alla speranza della santa Chiesa, in modo che il corpo di Cristo conoscesse di quale trasformazione sarebbe stato gratificato, e i membri si sforzassero da sé di partecipare all’onore che aveva rifulso nel Capo. A tal proposito, il Signore stesso aveva detto, parlando della maestà del suo avvento: “Allora i giusti risplenderanno come il sole nel regno del loro Padre” (Mt 13,43); e il beato apostolo Paolo afferma la stessa cosa in questi termini: “Stimo, infatti, che le sofferenze del tempo presente non siano da paragonare con la gloria di cui saremo rivestiti” (Rm 8,18); e ancora: “Voi infatti siete morti e la vostra vita è nascosta con Cristo in Dio; quando Cristo sarà manifestato, egli che è la vostra vita, anche voi sarete manifestati con lui nella gloria“(Col 3,3-4).
Animato da questa rivelazione dei misteri, preso da disprezzo per i beni di questo mondo e da disgusto per le cose terrene lo spirito dell’apostolo Pietro era come rapito in estasi nel desiderio dei beni eterni; pieno di gioia per quella visione, si augurava di abitare con Gesù in quel luogo in cui la sua gloria si era così manifestata, costituendo tutta la sua gioia; così disse: “Signore è bello per noi restar qui; se vuoi facciamo qui tre tende, una per te, una per Mosè e una per Elia” (Mt 17,4). Ma il Signore non rispose a quella proposta, volendo dimostrare non certo che quel desiderio fosse cattivo, bensì che era fuori posto il mondo, infatti, non poteva essere salvato se non dalla morte di Cristo e l’esempio del Signore invitava la fede dei credenti a comprendere che, senza arrivare a dubitare della felicità promessa, dobbiamo tuttavia, in mezzo alle tentazioni di questa vita, chiedere la pazienza prima della gloria; la felicità del Regno non può, in effetti, precedere il tempo  della sofferenza