martedì 29 agosto 2017

Riforma liturgica post-Concilio, un dono da vivere

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TRIESTE

Una parola chiara sul valore della Riforma liturgica sentita da lontano (San Pio X, Pio XII), auspicata dai Padri Conciliari e attuata da Paolo VI, l’ha detta Papa Francesco nell’udienza ai partecipanti della Settimana Liturgica Nazionale il 24 agosto 2017. La necessità che la liturgia fosse un’opportunità per il Popolo di Dio nell’esprimere l’adorazione, la lode e la supplica a Dio nella lingua corrente, fu già auspicata da un pastore e cultore dell’antica liturgia, come il Beato cardinale Schüster e dallo stesso Papa Pio XII che, oltre alle riforme della Settimana Santa, aveva provveduto ad inserire nel Rituale la lingua corrente.  

Vi erano poi sacerdoti e laici che seguivano con interesse il “movimento liturgico” e si era diffuso in molte parrocchie la “Messa dialogata” con la lettura del Vangelo in lingua parlata con commenti e canti, non solo in latino. Papa Giovanni XXIII fece il primo “aggiornamento” della Messa che poi si perfezionò dopo la costituzione Sacrosanctum Concilium con la costituzione apostolica Missale Romanum di Paolo VI, datata 3 aprile (Giovedì santo) 1969 ed entrata in vigore per tutta la Chiesa latina la prima Domenica di Avvento, il 30 novembre dello stesso anno. 

La costituzione apostolica Missale Romanum inizia proprio citando la Riforma della celebrazione della Messa, promulgata nel 1570 da S. Pio V «per ordine del Concilio di Trento» [1] che ha soppresso sia il Messale del 1474 che i modi di celebrare in vigore in diverse Chiese o regioni che non avessero una significativa vetustità. Rimase il rito della Chiesa Ambrosiana, il Mozarabico a Toledo, venne soppresso il rito vetusto Aquileiese, vennero lasciate in essere certe particolarità del Rituale della diocesi di Ratisbona. 

Paolo VI in questo documento assicura che la «revisione del Messale Romano non è stata improvvisata: le hanno aperta la via i progressi che la scienza liturgica ha compiuto negli ultimi quattro secoli» [2], ma anche l’esplicito volere del Concilio Vaticano II quando afferma: «L'ordinamento rituale della Messa sia riveduto in modo che appaia più chiaramente la natura specifica delle singole parti e la loro mutua connessione, e sia resa più facile la partecipazione pia e attiva dei fedeli» [3] ed inoltre perché «la mensa della parola di Dio sia preparata ai fedeli con maggiore abbondanza» [4] ed infine perché «venga redatto un nuovo rito della concelebrazione da inserirsi nel pontificale e nel Messale romano» [5]. 

Proprio nello spirito ecumenico, senza nulla togliere alla Tradizione latina, l’Ordinario della Messa venne arricchito di altre Eulogie, oltre al Canone Romano, come previso nella Chiese d’Oriente, sia Cattoliche che Ortodosse. Paolo VI ci tiene a sottolineare che «le norme liturgiche del Concilio di Trento sono state, dunque su molti punti, completate e integrate dalle norme del Concilio Vaticano II; il Concilio ha così condotto a termine gli sforzi fatti per accostare i fedeli alla liturgia, sforzi condotti per quattro secoli e con più intensità in un’epoca recente, grazie soprattutto allo zelo liturgico promosso da S. Pio X e dai suoi successori» [6]. 

Queste, in breve, le motivazioni della Riforma liturgica atte a sottolineare la dinamica attualità del mistero di Cristo con la «ripresentazione» [7] dei frutti della passione, morte, resurrezione e ascensione di Cristo, unico Redentore e Salvatore dell’umanità nel rapporto con Dio. La celebrazione eucaristica è sacramento e mistero che si esprime nella confessione di un popolo peccatore e santo, che si abbevera alla Parola di Dio, si conforta nella comune professione di fede, si nutre della reale presenza del Corpo e sangue di Cristo, cioè del suo essersi offerto una volta per tutte, e parte da quel mistico incontro per essere sale e luce di evangelizzazione e di umana attenzione che, con Cristo, in Cristo e per Cristo, diviene carità e speranza per il mondo. Senza eucarestia non c’è Chiesa e senza Chiesa non c’è Eucarestia.  

La Riforma liturgica del Concilio Vaticano II aveva davanti a sé questa prospettiva che in molta parte si è realizzata, grazie a quelle Chiese e Comunità che ne hanno accolto lo spirito ed il metodo senza aperturismi banalizzanti o integralismi museali. La Riforma liturgica del Concilio Vaticano II è stata un grande dono che ha reso il Popolo di Dio maggiormente partecipe dell’azione liturgica necessariamente presieduta dal ministro ordinato, ma celebrata da tutta l’assemblea orante.  

Se, come afferma Papa Francesco, i «libri liturgici promulgati dal Beato Paolo VI (sono stati) ben accolti dagli stessi Vescovi che furono presenti al Concilio» [8] vi fu sempre una “fronda” che cercò in vari modi di screditare la bontà e l’ortodossia di questa Riforma e questo modo “aggiornato” di pregare senza alterare l’essenza sacramentale e tradire la Tradizione. Infatti, sottolinea Papa Francesco, con la Riforma liturgica del Concilio Vaticano II, «si tratta di esprimere in maniera rinnovata la perenne vitalità della Chiesa in preghiera» [9], avendo premura che «i fedeli non assistano come estranei e muti spettatori a questo mistero di fede, ma comprendendolo bene per mezzo dei riti e delle preghiere, partecipino all’azione sacra, consapevolmente, piamente, attivamente» [10]. 

La Riforma liturgica post-conciliare, pur non avendo ancora cinquant’anni, molti frutti ha già portato, come auspicava il Movimento liturgico. Certo vi è ancora da lavorare «in particolare riscoprendo i motivi delle decisioni compiute… superando letture infondate e superficiali, ricezioni parziali e prassi che la sfigurano. Non si tratta – afferma Papa Francesco- di ripensare la Riforma rivedendone le scelte (altare verso il popolo, comunione sulla mano, preghiera dei fedeli, scambio della pace, pluralità delle Eulogie, lingua parlata ecc., ndr) quanto di conoscerne meglio le ragioni sottese, anche tramite la documentazione storica, come di interiorizzarne i principi ispiratori e di osservare la disciplina che la regola» [11].  

Papa Francesco ci tiene a sottolineare anche che «per sua natura la liturgia è infatti “popolare” e non clericale, essendo (…) un’azione per il popolo, ma anche del popolo. (…) La portata “popolare” della liturgia ci ricorda che essa è inclusiva e non esclusiva, fautrice di comunione con tutti senza tuttavia omologare, poiché chiama ciascuno, con la sua vocazione e originalità, a contribuire nell’edificare il corpo di Cristo: L’Eucaristia non è un sacramento “per me”, è il sacramento di molti che formano un solo corpo, il santo popolo fedele di Dio. Non dobbiamo dimenticare –dice Papa Francesco- che è anzitutto la liturgia ad esprimere la pietas di tutto il popolo di Dio, prolungata poi da pii esercizi e devozioni che conosciamo con il nome di pietà popolare» [12]. 

Sappiano le Comunità cristiane vivere in modo riconoscente e responsabile questo prezioso tesoro che lo Spirito ha suggerito ai maestri della fede radunati in Concilio. Giustamente S. Giovanni Paolo II disse ai giovani francesi in occasione dell’anniversario dell’accoglienza della fede cristiana di quel Popolo: La Chiesa che offre i mezzi della salvezza efficaci a me, non è la Chiesa di ieri o di domani, ma la Chiesa di oggi. 
   
* Vicario episcopale per il laicato e la cultura della Diocesi di Trieste 



NOTE    
[1] Concilio Tridentino, Sessione XXII 
[2] Paolo VI, cost. ap. Missale Romanum 
[3] Concilio Vaticano II, cost lit Sacrosanctum Concilium n.50 
[4] Idem n.51 
[5] Idem n.57 
[6] Paolo VI, cost. ap. Missale Romanum 
[7] Paolo VI, termine da lui coniato e usato nell’enciclica Mysterium fidei 
[8] Francesco, udienza 68esima Settimana Liturgica Nazionale, 24 agosto 2017 
[9] idem 
[10] Concilio Vaticano II, cost lit Sacrosanctum Concilium n.50 
[11] Francesco, udienza 68esima Settimana Liturgica Nazionale, 24 agosto 2017  
[12] idem