giovedì 14 settembre 2017

Dono e vocazione della sessualità nel magistero dell’Amoris laetitia

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di ETTORE MALNATI*

L’«Amoris laetitia» al capitolo VII dedica un paragrafo sull’educazione sessuale che può giustamente essere letto anche nei confronti della consapevolezza di questo dono, da parte degli sposi e di tutti coloro che, con responsabilità vogliono cogliere la «vocazione» della sessualità. 

Il magistero pontificio contemporaneo nell’enciclica «Deus caritas est» ha offerto alcuni spunti per un’antropologia capace di educare all’affettività, ponendo la riflessione su un progetto biblico di persona quale immagine e somiglianza di Dio nella sua complessità fisica e spirituale. Secondo questo progetto biblico, l’amore che nasce tra un uomo ed una donna bypassa la mera passionalità e viene invece focalizzato il rapporto ontologico che vi è tra sessualità umana e il Dio-Amore. Per coloro che si impegnano a cogliere questo aspetto dell’antropologia la Deus caritas est chiede di leggere l’amore che nasce tra un uomo e una donna non come un qualche cosa che solo ha origine «dal pensare e dal volere, ma in un certo qual modo s’impone all’essere umano» (1). 

È la logica del «lasciarsi amare». Quest’ottica che fu sempre della prerogativa della teologia cattolica, invece di aver «avvelenato l’eros», come sostiene F. Nietzsche, o «averlo rifiutato come tale», lo ha «purificato per donare all’uomo non il piacere di un istante, ma un certo pregustamento del vertice dell’esistenza, di quella beatitudine a cui tutto il nostro essere tende» (2). 

L’antropologia della Genesi nel presentare con il proprio genere letterario l’esigenza di una relazionalità identitativa per l’uomo, rimanda al Creatore l’iniziativa di venire incontro alla non positiva situazione di solitudine in cui l’uomo si è trovato (Gn 2,18) e gli dona «un aiuto simile a lui» (Gn 2,18). Il racconto biblico è diretto: Jahwè Dio «costruì la costola» che aveva tolto all’uomo e ne formò la donna che presenta all’uomo, che con stupore esclama: «Questa volta è osso dalla mie ossa, carne dalla mia carne. La si chiamerà donna, perché dall’uomo è stata tolta» (Gn 2,23). Con la creazione dell’uomo e della donna a sua immagine e somiglianza «Dio corona e porta a perfezione l’opera delle sue mani. Egli chiama l’uomo e la donna ad una speciale partecipazione del suo amore ed insieme del suo potere di Creatore e Padre mediante la loro libera e responsabile cooperazione a trasmettere il dono della vita» (3). 

La sessualità dell’antropologia cristiana, legata ovviamente al concetto di «Persona» in sé, per sé e in relazione, non è impoverimento dell’«originario fenomeno umano che è l’amore» (4), ma consapevolezza che l’amore abbraccia anche la corporeità e che il corpo è reso partecipe dell’amore spirituale. Secondo questa prospettiva di un’antropologia- io direi - compiuta o completa nella sua dimensione bipolare estrinseca ma necessaria a entrambi i soggetti maschio e femmina, la persona umana in quanto spirito incarnato, è chiamata all’amore in ragione proprio di questa sua totalità unificata, che porta alla realizzazione bipolare (uomo e donna), facendo di essi una carne sola. Questa nuova realtà che si viene a costituire, con il libero e responsabile consenso per un desiderio di amare offerto e accolto, costituisce, per ciascuna delle persone, una vera «novità» o alterità, dove la sessualità è qualificante nell’accogliere e donare nuove identità reciprocamente oblative e proiettate verso la vita e la crescita del rapporto coniugale nella reciproca fedeltà e attenzione. 

L’antropologia cristiana conferisce alla sessualità la qualifica di componente non epidermica ma fondamentale della personalità che viene a costituire una parte preponderante dello sviluppo integrale della persona e del suo processo educativo. «Dal sesso derivano infatti alla persona umana le caratteristiche che sul piano biologico, psicologico e spirituale la costituiscono uomo e donna, condizionando così grandemente l’iter del suo sviluppo verso la maturità ed il suo inserimento nella società» (5). 

Giustamente l’«Amoris laetitia», facendo eco al documento conciliare «Gravissimum educationis» sottolinea l’importanza di una formazione al dono della sessualità all’interno della coppia dove una parte importante ce l’ha anche il pudore quale «difesa naturale della persona che protegge la propria interiorità ed evita di trasformarsi in un puro oggetto. Senza il pudore, possiamo ridurre l’affetto e la sensualità a ossessioni che ci concentrano solo sulla genitalità, su morbosità che deformano la nostra capacità di amare e su diverse forme di violenza sessuale che portano ad essere trattati in modo inumano e danneggiare gli altri» (6). 

L’educazione sessuale è importante e necessaria in modo particolare oggi che si tende a banalizzare e impoverire la sessualità. Ciò però dovrebbe avvenire «nel quadro di un’educazione all’amore e alla reciproca donazione. In tal modo il linguaggio della sessualità non si vede tristemente impoverito, ma illuminato. L’impulso sessuale può essere coltivato in un percorso di conoscenza di sé e nello sviluppo di una capacità di dominio di sé, che possono aiutare a far emergere capacità preziose di gioia e di incontro amoroso» (7). In tal senso è importante puntare, su un percorso educativo sia per le coppie che per le singole persone. Si nota invece spesso che, in alcuni percorsi di educazione sessuale di coppia, il fulcro sta «nell’invito a proteggersi, cercando un sesso sicuro…[Ciò] trasmette un atteggiamento negativo verso la naturale finalità procreativa della sessualità, come se un eventuale figlio fosse un nemico dal quale doversi proteggere. Così si promuove l’aggressività narcisistica invece dell’accoglienza. È irresponsabile ogni invito agli adolescenti a giocare con i loro corpi e i loro desideri, come se avessero la maturità, i valori, l’impegno reciproco e gli obiettivi propri del matrimonio. Così li si incoraggia allegramente ad utilizzare l’altra persona come oggetto di esperienze per compensare carenze e gravi limiti. È importante invece insegnare un percorso sulle diverse espressioni dell’amore, sulla cura reciproca, sulla tenerezza rispettosa, sulla comunicazione ricca di senso. Tutto questo, infatti, prepara ad un dono di sé integro e generoso che si esprimerà, dopo un impegno pubblico, nell’offerta dei corpi. L’unione sessuale nel matrimonio apparirà così come segno di un impegno totalizzante, arricchito da tutto il cammino preceduto» (8). 

Il magistero post-conciliare e in modo particolare l’«Humanae vitae» di Paolo VI e i documenti di Giovanni Paolo II come la «Familiaris consortio», la «Veritatis splendor» e l’«Evangelium vitae», hanno indicato l’inscindibilità tra i significati unitivo e procreativo della sessualità coniugale intesi come atto unitivo che qualifica «il mutuo aiuto» ed è aperto alla vita. «La fecondità è un dono, un fine dell’atto coniugale: infatti l’amore coniugale tende per sua natura ad essere fecondo» (9) quindi «qualsiasi atto matrimoniale deve rimanere aperto alla trasmissione della vita» (10). 

«Questa dottrina… è fondata sulla connessione inscindibile, che Dio ha voluto e che l’uomo non può rompere di sua iniziativa, tra i due significati dell’atto coniugale: il significato unitivo e il significato procreativo» (11). È quindi «esclusa ogni azione sessuale tra i due coniugi che, o in previsione dell’atto coniugale, o nel suo compimento, o nello sviluppo delle sue conseguenze naturali, si proponga, come scopo o come mezzo per impedire la procreazione» (12). 

La sessualità esercitata tra i coniugi nell’atto unitivo conforme ai criteri oggettivi della morale può anche avvalersi dei «metodi di regolazione delle nascite basati sull’auto-osservazione e il ricorso ai periodi infecondi… Tali metodi rispettano il corpo degli sposi, incoraggiano tra loro la tenerezza e favoriscono l’educazione ad una libertà autentica» (13). 

La sessualità nella vita di una coppia è un fattore importante se viene vissuta nella libertà senza forzature nella dignità del rapporto, nella consapevolezza del dono e lontano da un erotismo che non è prospettiva qualitativa dell’atto unitivo, ma spesso è mero appagamento che svilisce l’amore coniugale. La sessualità va vissuta come dono in una gestualità oblativa, nella dignitosa libertà di donarsi nell’unione dei corpi, per crescere nell’amore aperto al dono della vita, con la consapevolezza legata al senso di responsabilità dei coniugi nel volerlo secondo i criteri morali. 

Note  
1) BENEDETTO XVI, lett enc Deus caritas est n.3  
2) Idem n.4  
3) GIOVANNI PAOLO II, es. ap. Familiaris consortio n.28  
4) BENEDETTO XVI, lett enc Deus caritas est n.8  
5) CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Dichiarazione circa alcune questioni di etica sessuale: persona umana (1975) n.1  
6) FRANCESCO, esort. ap. Amoris laetitia n. 282  
7) Idem n. 280  
8) Idem n.283  
9) CATECHISMO DELLA CHIESA CATTOLICA n.2366  
10) PAOLO VI, lett enc. Humanae vitae n.11  
11) Idem n.12  
12) Idem n. 14c  
13) Idem n.17  

* Vicario episcopale per il laicato e la cultura - diocesi di Trieste